XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

PECORE, MONETE E FIGLI

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Domenica scorsa Gesù diceva, a chi lo seguiva, che se non amava Lui più della madre, del padre, delle sorelle, dei fratelli, di tutti e addirittura della propria vita non poteva essere suo discepolo. Abbiamo capito che la sua richiesta non era per dare meno a qualcuno e di più a Lui, ma per trovare quella pienezza in grado di nutrire e dare forza al nostro amore, che è tale solo perchè è sempre totale. Solo che la totalità non è facile da supportare e sopportare, per questo ci va grande attenzione per Colui che è in grado di offrire pienezza continua a chi lo rende Signore della propria vita e in grado di amare non solo a parole.

Interessante diventa allora  il Vangelo di oggi, che forse doveva essere letto come introduzione a quello della scorsa domenica, dove emerge una cosa bellissima: Gesù che ti chiede di amarlo di più, è anzitutto Colui che per primo ama te più di tutti gli altri, nella tua singolarità, e lo racconta con l’esempio del pastore che va alla ricerca della pecora smarrita e della donna che perde la moneta e si mette a cercarla affannosamente, oppure del Padre che aspetta il ritorno del figlio per farlo riappropriare di tutta la sua dignità, della sua vita e del suo posto nel mondo. 

Cercare, trovare … la Storia della salvezza inizia con la ricerca di Dio che non vede Adamo ed Eva nel giardino perchè si erano nascosti, e domanda loro: “Adamo, Eva, dove siete?” … Oggi lo fa anche con noi: “Luigi, dove sei? Perchè ti nascondi? Perchè non hai fiducia in me?” … se avrò il coraggio di uscire dal cespuglio dietro il  quale mi sono rintanato, trovando il Padre ritroverò anche me stesso, perchè la cosa che a volte non capiamo, è che tutto quello che noi facciamo per Dio, o meglio, Gli permettiamo di fare a noi, non è per Lui, non ne ha bisogno, ma esclusivamente per noi. 

E allora torniamo in questo abbraccio che continua a cercarci, non ne saremo delusi, anzi, la nostra vita si riprenderà e troverà una nuova identità. Il pastore continua a cercare. La brava massaia continua a mettere sottosopra la casa, il Padre mi aspetta sul ciglio della strada di casa: “DOVE SEI?” … “DOVE SONO?”. 

 Concludo con le parole sempre altamente poetiche – e dunque realistiche – di Ermes Ronchi: “Il Padre che tutto abbraccia è ridotto ad essere nient’altro che questo: braccia eternamente aperte, ad attenderci su ogni strada d’esilio, su ogni muretto di pozzo in Samaria, ai piedi di ogni albero di sicomoro: la casa del Padre confina con ogni nostra casa. È “giusto” il Padre in questa parabola? No, non è giusto, ma la giustizia non basta per essere uomini e tanto meno per essere Dio. La sua giustizia è riconquistare figli, non retribuire le loro azioni. L’amore non è giusto, è una divina follia. La parabola racconta un Dio scandalosamente buono, che preferisce la felicità dei suoi figli alla loro fedeltà, che non è giusto ma di più, è esclusivamente buono”.