XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, b

 SCUTA! 

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Sembra una domanda da niente quella che lo scriba rivolge a Gesù, ma per uno che si barcamenava dal mattino alla sera tra 10 comandamenti, 365 precetti e 248 prescrizioni che dovevano servire a cercare e definire in modo sempre più preciso il senso del comando di Dio, chiedere quale sia IL PIÚ IMPORTANTE significa: “qual è quella unica parola, quel comando, quell’orientamento dal quale dipende tutto il resto?”.

Significativo chiederlo al Signore, che aveva la pretesa di essere IL Figlio di Dio, dunque Colui che viveva come il Padre, che lo conosceva, che ne poteva parlare a pieno titolo. Ancora più sorprendente  che Gesù riduca tutto quel dedalo intricatissimo di numeri e collegamenti a  un unico comandamento sorgivo: quello dell’amore di Dio, del prossimo e di se stessi, che soltanto nella loro unità possono salvaguardare il gesto del dono della propria vita. Perchè se non so amare me stesso non so amare neanche il mio prossimo, e se non so amare il mio prossimo – volto visibile dell’invisibile presenza di Dio – non posso neanche dire di amare il Signore.

Altra cosa interessante: siamo davanti a un comandamento. Di solito quando si da un comando si usa l’imperativo; ebbene, nella formulazione del comando non compare a proposito dell’amore, che viene coniugato al futuro (“amerai”), ma a proposito dell’ascolto: “Ascolta, Israele!”. Come dire: se non c’è un ascolto non c’è amore, e se non c’è amore … non nascono neanche le storie d’amore, ossia quelle delle nostre umanissime vite. “Che cosa mi dice questo testo? Che cosa dico io a “lui”, partendo dalla mia esperienza di vita? Cosa mi suggerisce, mi smuove, mi propone … mi irrita?”. 

TRENTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, B

E LUCE FU!

 

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Leggevo questa settimana – a proposito dei testi e delle parole che “incontriamo” quotidianamente – che davanti a un libro, un articolo, una citazione dovremmo chiederci: “che cosa mi dice questo testo? Che cosa dico io a “lui”, partendo dalla mia esperienza di vita? Cosa mi suggerisce, mi smuove, mi propone … mi irrita?”. Sarebbe bello che capitasse così anche quando ci mettiamo all’ascolto del Vangelo, affinché diventi per noi esperienza di scambio e arricchimento costante.

Cosa mi dice Bartimeo? Mi racconta tante cose. Mi parla di un uomo che non vede più bene come una volta, forse perchè la vita cambia il modo di guardare, a volte corregge  e meraviglia, apre orizzonti stupendi, ma altre volte rovina la vista del cuore, a volte acuisce lo sguardo e tante volte lo appanna, lo offusca a causa delle incomprensioni, delle ambiguità, degli errori che si fanno. Bartimeo mi dice il coraggio e la voglia di guarire, di non fermarsi sul ciglio della strada ma di alzare sempre di più la voce affinché un Salvatore gli possa permettere di vedere in modo nuovo. É bellissima questa caparbietà che non si arrende neanche di fronte a quelli che gli dicono di stare zitto. Se i suoi occhi non funzionano la sua voce è bella squillante, prorompente e alimentata da un desiderio che gli permette di superare ogni ostacolo per raggiungere il sentire di Gesù, che diventa un ascolto e una risposta.

Cosa dico io a Bartimeo? Dico che gli assomiglio e che la vita ci rende quasi tutti uguali a lui nel nostro bisogno di”sentire” un Salvatore che non ci lascia, ma ci accompagna e ci salva soprattutto a partire dall’accoglienza di una Parola, che non è come le altre, ma unica, perchè pronunciata da Lui e accolta da me, e quindi trasformata e trasformante, frutto di un incontro, a mia misura, personalizzata. Dico a Bartimeo che l’invito del Maestro ad avere coraggio, ad alzarmi e a rispondere al suo appello può diventare anche per me, ogni giorno, una fonte di guarigione grandiosa se la mia memoria, attenta e ben radicata nella realtà, farà continuamente professione di fede in questo maestro portatore di fuoco luminoso e caloroso, indicatore  di sentieri e di futuri, divisore da tutto ciò che porta divisione nella mia vita. Quante  cose ti dico, caro Bartimeo!

E allora i suggerimenti diventano tanti, il cuore batte (e quando si smuove il cuore iniziano a muoversi le mani) e la vita accoglie quella proposta che non trovava da nessun’altra parte. Proviamo anche noi, proviamo sempre a farci queste domande ogni volta che ascoltiamo il Vangelo per capire che il solo fatto di gettare via i mantelli delle nostre sicurezze, balzare in piedi e andare verso Gesù, – anche se non ci vediamo ancora e non siamo ancora guariti –  è  già l’inizio del miracolo, quello di cui avevamo bisogno. Se ci credo, posso andare, perchè “la mia fede mi ha salvato”! 

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DIVIETO DI PICCOLEZZA


In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Di solito leggiamo questa pagina e pensiamo che Gesù voglia sempre che viviamo scomparendo in sordina, diciamo “con grande umiltà” (!) … ; in realtà le cose non stanno così se leggiamo il Vangelo. La domanda di Giacomo e Giovanni sull’avere un posto importante, a destra e a sinistra del Signore, non viene mortificata, tant’è che ai due e ai loro colleghi apostoli Gesù indica proprio come fare per “diventare grande” e “essere il primo”.

Il problema è che il percorso immaginato dai dodici non corrisponde alla strada indicata dal Maestro! Infatti nel Regno di Dio diventa grande ed è primo colui che non ha paura di diventare ultimo per quello che crede e mette a disposizione la propria vita per il bene di tutti. Colui che non “si serve” degli altri, ma si tira su le maniche per  “servire” con spirito di apertura e dedizione, confidente nella potenza del seme e del futuro, più che nella capacità delle proprie mani. Quando qualcuno nella nostra storia si impegna a vivere così permette anche a tanti altri di acquisire nuove posizioni sulla scacchiera del mondo.

Peccato che non lo si creda! Peccato che ci si distingua numericamente tra grandi e piccoli, tra primi e ultimi, tra G8, G20, L20 (otto grandi, venti grandi, ultimi (Last) 20) … ma noi non siamo numeri, siamo persone! Benedetti coloro che riportano alla mente e al cuore questa priorità del Vangelo, in grado di aprire strade nel deserto e respiri nella torrida atmosfera dove l’ossigeno che fa palpitare il cuore sembra essere arrivato alla fine.

E allora sì: Dio ci ha creati per farci grandi, per affidarci la Creazione: nell’avvicendarsi dei tempi e delle stagioni, collegare il cuore, l’intelligenza e le mani alla fonte  della Buona Notizia di una vita migliore per tutti, e a disposizione di un desiderio divino così grande, diventa il motore di un rinnovamento che a partire dal coraggio di diventare servi (ossia motivati, predisposti, disponibili e a disposizione) di questa grande intenzione può cambiare tutto il mondo.  Ben venga la nostra aspirazione a non essere persone di successo ma di valore! Per noi e per gli altri. 

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

VERO TESORO … 

DAL VANGELO SECONDO MARCO

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

La pagina del Vangelo di oggi lascia un retrogusto di amarezza. In fondo, diciamocelo, ci sentiamo un po’ tutti come questo “tale”, che correndo verso Gesù e inginocchiandosi ai suoi piedi gli chiede cosa fare per possedere la vita eterna (ossia di una qualità in grado di travalicare ogni limite e ristrettezza). La risposta di Gesù, però, lo mette davanti al grande bivio della “differenza” in grado di aprire strade nuove e diverse, che portano a una qualità esistenziale dei giorni mai assaporata prima, al prezzo, però, di abbandonare certi attaccamenti e sicurezze con le quali ci sentiamo “a posto”, ma che sentiamo chiaramente non in grado di mantenere quello che promettono: ci manca qualcosa,  un’ulteriorità, una sete di infinito  non ancora stata raggiunta.  

Sovente, però,  l’esito delle nostre reazioni assomiglia tanto a quello del Vangelo: “scuro in volto”, il tale rifiuta la proposta di Gesù – di lasciare qualcosa per avere tutto in cambio e seguirLo – e se ne torna rattristato sulla solitaria strada della sua domanda di vita insoddisfatta. E ti senti come lui… 

Il Vangelo qui allude alle ricchezze che possono diventare, anziché un possesso a servizio di una qualità buona e libera della vita, delle sequestratrici impietose  che si impossessano di te. E quella che ti sembrava una vita libera si trasforma in una corsa all’accaparramento e all’accumulo destinato a non saziare la fame della pancia del tuo cuore. 

A volte pare che Gesù ti dica delle cose precise quando leggi il Vangelo, che la Sua Parola sia proprio come la parola descritta dalla Lettera agli Ebrei: “Essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. Arriva proprio lì. Dove risiede la mia verità.  Dove è in potenza la mia novità, la mia rinascita e  manca quel piccolo passo, quella piccola deviazione che non si  riesce a prendere.

E allora ti rimetti a pensare, a dirti quello che i discepoli, sconcertati, come noi, chiedono a Gesù: “e chi può essere salvato?”. Bellissima la risposta di Gesù: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
In questo modo il Vangelo, diventa di nuovo la franca dichiarazione del nostro bisogno di ricevere la salvezza, proprio perchè consapevoli che da soli non ce la possiamo dare; d’altronde domenica scorsa Gesù ce l’aveva detto: “se non ritornerete come bambini non entrerete nel Regno di Dio”, e i bambini non sono “coloro che vivono perchè ricevono”? La risposta di Gesù non diventa un invito alla stasi o al gioco del ribasso, ma l’incoraggiamento a rialzarsi ogni giorno cercando e trovando in Lui – a partire dal fattibile e dal possibile dei nostri limiti e delle nostre sconfinate ricchezze – una vita immensa come l’eterno. Indefinibile, solo da accogliere continuamente, ogni giorno e in barba a ogni stanchezza e sconforto.