Quarta domenica del tempo ordinario

Spiriti …

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

 “Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava … “

Penso a sto poveretto che era posseduto dallo spirito impuro (uno spirito di morte, di male) e penso a come gli abbia dato fastidio il maestro, scoprendo che non era solo un maestro, ma un INSEGNANTE, ossia uno che LASCIAVA UN SEGNO (DENTRO). E i segni – contrariamente alle parole vuote dei professorini petulanti, che vogliono solo che tu ripeta le cose che sanno loro e non che impari qualcosa – segnano! Penso al grande fastidio provato davanti a Gesù, come quello che proviamo noi quando qualcuno – mentre dormiamo beati cullati dal buio che ci circonda e abbandonati sotto morbide e calde coperte – sposta le tende, alza le tapparelle e apre la finestra.

“Sveglia, ora di alzarsi, di vivere!”

Reazione: “Sei venuto a rovinarci!” … Finezza ed educazione impongono al Vangelo di esprimersi attraverso un linguaggio “religiosamente” corretto … noi diciamo: “che gran rompi … “ . Ecc. ecc. ecc…

In realtà l’uomo posseduto dallo spirito del male non aveva capito – e continua a non capire dopo tanti millenni di liturgie ineccepibilmente eseguite (ma drasticamente vuote) – che Gesù non è venuto a rovinare noi, ma a rovinare ciò che ci rovina! 

E lo fa di sabato. Non avrebbe potuto! Il sabato non si guarisce, tant’è  che se leggete il capitolo di Marco fino al termine,  portano a Gesù “tutti i malati” al calar del sole, ossia alla fine del Santo Giorno del Riposo: vietato lavorare, curare, accogliere, amare, camminare! (Sabato per l’uomo o uomo per il sabato?) E lo fa in una sinagoga. Nel luogo del culto, del confronto e dell’ascolto della Torah (la Legge di Dio) … in un luogo santo.

Domenica scorsa ci diceva di “seguirlo”, di “stare con Lui”; oggi ce lo ripete, cominciando dal luogo del “nostro” culto, che non è tanto la Chiesa del Divin Maestro, ma il nostro cuore che sinceramente si apre per accogliere la parola della liberazione. 

Oppure no, a continuare a far finta di niente. 

TERZA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

APOSTOLI “sicut in quantum”… 

Dal Vangelo secondo Marco

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui. 

Il mio anziano professore di latino, quando facevi un compito che non lo soddisfaceva (ma quando mai lo soddisfaceva?), era solito esprimere il giudizio sul lavoro in questione dicendo: “sicut in quantum”, ossia: “hai dato tanto e io ti restituisco tanto” …  in realtà suonava come : “insomma, così così”. Un modo per dire: “poteva andare meglio, non sei stato all’altezza!” e i tuoi tre errori si trasformavano in un suo bel cinque! 

Penso a Gesù e penso ai discepoli che sceglie: Gesù non era certamente un professore che restituiva in base a quello che riceveva, non era un uomo del “sicut in quantum”. Pietro: “testa dura”, “de coccio”; Giacomo e Giovanni: i “figli del tuono”: irrequieti, passionali e reattivi, quasi … isterici; Tommaso: primo discepolo “non credente” se non ci mette il dito (una sorta di antesignano dei praticanti che non credono); Giuda Iscariota: … lasciamo perdere, peggio di così non di può! … 

Eppure li ha scelti “il maestro” … e ci aveva passato tutta la notte in preghiera …

Che consolante sapere che la Chiesa – la comunità dei discepoli di Gesù che avrebbero riempito lo spazio e il tempo “oltre” e “a partire da” Lui – sia proprio stata affidata alle loro mani. 

Discepoli che sono tali perchè “stanno con Lui” e fanno di Lui il motivo del loro “andare”, il riferimento che “cambia” il senso delle cose ma non le cose: pescatori erano e pescatori rimangono, solo  non più di pesci, ma di uomini, ed è bello per un uomo essere pescato dal mare per evitare naufragi eterni o di morire affogati: il Vangelo è vita, no? 

Gesù quando vedeva un uomo e una donna vedeva il suo cammino, vedeva un seme che diventava frutto, vedeva un presente che si apriva al futuro. Se tu glielo consentivi, Lui “ti metteva al mondo”, come un bravo genitore, che ti dà la vita affinché camminando tu possa imparare a vivere le TUA vita. 

I genitori – come i “maestri” – possono offrire solamente radici e ali: la possibilità di radicarsi in un amore e di credere nella capacità di spiccare il volo.  Gesù lo sapeva MOLTO BENE! 

SECONDA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

MENTRE PASSAVA DI LÁ … 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Giovedì scorso, mentre facevamo l’incontro sulla Parola di Dio della domenica, mi chiedevo: “ma come mai, duemila anni circa dopo che è stata scritta questa pagina del vangelo come questa  ci sono ancora delle persone che … si accorgono che passa Gesù e in modo molto diversificato cercano di fare attenzione alla sua presenza?”. Oggi ci sono tante distrazioni, ci sono tanti riferimenti; una volta era molto più immediato, non c’erano quasi alternative. Eppure c’è ancora qualcuno. Qualcuno seriamente interessato al Signore Gesù.

Vorrei soffermarmi allora sulle due domande che costituiscono il dialogo che inaugura tutti i cammini nei quali ci mettiamo a seguire qualcuno o qualcosa: “che cosa cercate?” e “dove dimori?

COSA CERCATE? Ci sono certe parole e certe domande che non vorremmo mai farci, ma sono quelle dalle quali dipende tutto il senso della vita. “Cosa cerco io? Cosa cerco per me? Cosa cerco quando mi trovo davanti a Gesù e alla sua Parola? “. A seconda della mia risposta iniziano oppure no i cammini. Eppure è una domanda così difficile… Sarà significativo che sono le prime parole che pronuncia Gesù? Sarà significativo che invece di imporre qualcosa sollecitino anzitutto il bisogno di una consapevolezza? Un Gesù che si propone e che non si impone in nessun modo, che dice che la scoperta della SUA identità dipende dalle COSE che noi cerchiamo è molto interessante.  Solo nella cura di quel legame la possibilità di una risposta.  

DOVE DIMORI? Già, perchè è là dove “dimoriamo”, ossia dove stanno i nostri pensieri, le radici della nostra libertà, i nostri desideri e i nostri sogni che costruiamo la nostra identità.  Parlavo con una persona amica del tempo, ci dicevamo che il tempo non dipende da noi, anzi, è molto variabile, sorprendente e infingardo, a volte, ma sicuramente dipende da noi il nostro modo di abitarlo, di viverlo e di starci dentro. Ora il nostro “stare” dipende da “dove decidiamo di stare”. I discepoli avevano capito che lo STARE di Gesù aveva qualcosa di particolare. 

Anche oggi e domani il nostro sguardo – attento – si accorgerà che “Gesù stava passando di là”; ossia, passa e passerà, ma il fruscio del suo andare, se noi lo vogliamo, potrà diventare consistenza di una permanenza significativa perchè ha trovato in noi e nei nostri cuori … una dimora. 

“Dove dimori Maestro?” … In chi ti accoglie! Di lì ogni trasformazione, di lì il Mondo e il Creato con un volto nuovo, di lì il senso di responsabilità riacceso nei confronti della nostra storia e della Società. Passando, cercando e dimorando in Colui che è in grado di farci sempre nuovi! 

FESTA DEL BATTESIMO DI GESÚ

INFERNI… 

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 Stamattina leggevo questa bella citazione tratta dal libro LE CITTÁ INVISIBILI  di Italo Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Mi ha colpito perchè penso a quante volte – vivendo oggi la festa del Battesimo di Gesù –   la celebrazione urgente di questo sacramento, soprattutto fino a qualche anno fa,  veniva  legata proprio alla paura dell’inferno. E magari bastava quel rito apotropaico  e vagamente magico per deresponsabilizzarsi per sempre, tanto, al massimo, se l’avevi ricevuto, ma nella vita te ne dimenticavi, “ti facevi solo un po’ di purgatorio”.

Una concezione un po’ antievangelica, a dire il vero, perchè il senso del Battesimo non è tanto quello di avere paura di finire all’inferno, ma di “mettersi in fila” con Gesù non arrestati dalla paura della morte, ma vivificati ed energizzati dal desiderio di vivere e portare vita, come Lui ci ha insegnato. Un modo umano. Un modo di chi sa “mettersi in fila con gli altri” e con chi ha bisogno. Un modo che appartiene a chi sente lo sguardo benedicente e benevolente di Dio su di sé. E questo, insieme! In una comunità che diventa parrocchiale perchè fa accadere questo desiderio di vita proprio “tra le case” e nelle case, le nostre. Siamo privilegiati perchè l’attenzione e l’apprendimento continui ci vengono forniti ogni volta che accogliamo la buona notizia del Vangelo, – da soli o in Chiesa – con il cuore vigile e accogliente.

Non so se D’Avenia avesse in mente questa frase quando ha scritto il suo romanzo CIÓ CHE INFERNO NON É, dove racconta la vita di don Puglisi, il quale, nell’inferno del Brancaccio cerca con tutte le sue forze di ridare vitalità e mentalità nuove a chi veniva soffocato dalle logiche della mafia. Uno  splendido dono per ridare vita agli altri e dare la propria sino alla fine. Che meraviglia pensare così il Battesimo! Insieme, e con Gesù. 

IL VIAGGIO DEI MAGI

Riporto la famosissima e bellissima poesia di Eliot, fa sempre bene leggerla in questa giornata dedicata a loro e ai cercatori di Dio …

(La poesia Il viaggio dei Magi scritta da T. S. Eliot e pubblicata nel 1927).

“Fu un freddo avvento per noi,
proprio il tempo peggiore dell’anno
per un viaggio, per un lungo viaggio come questo:
le vie fangose e la stagione rigida, nel cuore dell’inverno.
E i cammelli piagati, coi piedi sanguinanti, indocili,
sdraiati nella neve che si scioglie.
Vi furono momenti in cui noi rimpiangemmo
i palazzi d’estate sui pendii, le terrazze,
e le fanciulle seriche che portano il sorbetto.
Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevano
e disertavano, e volevano donne e liquori,
e i fuochi notturni s’estinguevano, mancavano ricoveri,
e le città ostili e i paesi nemici
ed i villaggi sporchi e tutto a caro prezzo: ore difficili avemmo.
Preferimmo alla fine viaggiare di notte,
dormendo a tratti,
con le voci che cantavano agli orecchi, dicendo
che questo era tutto follia.

Poi all’alba giungemmo a una valle più tiepida,
umida, sotto la linea della neve, tutta odorante di vegetazione;
con un ruscello in corsa ed un mulino ad acqua che batteva buio,
e tre alberi contro il cielo basso,
ed un vecchio cavallo bianco al galoppo sul prato.
Poi arrivammo a una taverna con l’architrave coperta di pampini,
sei mani ad una porta aperta a dadi monete d’argento, e piedi davano calci agli otri vuoti.
Ma non avemmo alcuna informazione, e così proseguimmo
ed arrivati a sera non solo un momento troppo presto
trovammo il posto; cosa soddisfacente (voi direte).

Tutto questo fu molto tempo fa, ricordo,
e lo farei di nuovo, ma considerate
questo considerate
questo: ci trascinammo per tutta quella strada per una
Nascita o una Morte? Vi fu una Nascita, certo,
ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte,
ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu
come un’aspra ed amara sofferenza, come la Morte, la nostra morte.
Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni,
ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi,
fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.
Io sarei lieto di un’altra morte”.

 

 

SECONDA DOMENICA DOPO NATALE

E LUCE SIA!

 Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 


Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei  cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo,  secondo il disegno d’amore della sua volontà,  a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

Buona domenica a tutti! Oggi vorrei condividere con voi delle espressioni usate da Paolo scritte ai cristiani di Efeso, usate nella Seconda Lettura della Messa, visto che il Vangelo del Prologo di Giovanni lo abbiamo già sentito e meditato. Anzitutto Paolo dice: BENEDETTO DIO PADRE DEL SIGNORE NOSTRO GESÚ CRISTO! Per cosa? “Perchè ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale in Cristo!”. Paolo prende coscienza di essere stato benedetto dal Signore. Che non è la gioia di chi sa che tutto va bene, ma di chi sente che la sua vita ha senso di gioia e di felicità perchè chi la accompagna, se vogliamo, è un Padre. Andrà come andrà, ma le fondamenta terranno in piedi la casa, nonostante tutto. La benedizione di Dio è Gesù di Nazareth che ha introdotto nel mondo il cielo, quella che Giovanni chiama “la luce che ha vinto le tenebre!” La vita secondo la carne noi la riceviamo dalla terra, dalla nostra temporalità, dai nostri limiti. Questa non ci basta. Sentiamo che ci manca sempre qualcosa.  La vita di cui ci parla il Vangelo, che è in grado di dare senso alla nostra secondo la carne, è  vita caratterizzata dall’amore e vuole che l’altro viva e sia felice, scoprendo che lo spirito e la carne non sono in opposizione ma si cercano per dare vita a “creature nuove”. Quando lo vogliamo per noi entra nel mondo una vita nuova, quella di Dio stesso. Entra nel mondo quella benedizione che vive quando diventa scambio tra noi, Gesù e il Padre dei cieli. CI HA SCELTI PRIMA DELLA CREAZIONE DEL MONDO: è come dire: “per me tu sei unico”; per che cosa? PER ESSERE SANTI E IMMACOLATI NELL’AMORE: santi perchè lasciati coinvolgere dal Santo per eccellenza che è il Padre dei Cieli. Dio vuole solo un sacrificio, una vita di amore. Le altre cose non gli interessano. Inoltre CI HA PREDESTINATI A ESSERE FIGLI IN CRISTO: Dio non predestina alcuni alla salvezza e altri alla perdizione, ma solamente a diventare Figli di Dio in Gesù, salvati da Lui e con una vita senza fine.  Eventualmente siamo noi a scegliere altre strade.  VI DIA UNO SPIRITO DI SAPIENZA E DI RIVELAZIONEILLUMINI GLI OCCHI DEL VOSTRO CUORE PER CAPIRE A QUALE SPERANZA VI HA CHIAMATI  La Chiesa, allora,  è quella parte di umanità che ha capito la benedizione in Gesù di Nazareth e cerca  di rendere vivi i lineamenti dell’uomo nuovo da lui incarnati. Sono i lineamenti di chi vuole rendere felici e donare vita a tutti. E Paolo chiede per la comunità dei cristiani di Efeso lo spirito della rivelazione e della sapienza che accompagnino sempre i loro cammini orientando alla speranza, con gli occhi del cuore illuminati e ben aperti sull’ “autore della vita!”.