FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÁ

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 
Quando lo videro, si prostrarono.
Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

E DIO CREÓ L’UOMO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA: è tutto molto più semplice di quel pensiamo. Non si tratta neanche di mettere tutta l’acqua nel mare in una buca fatta nella sabbia, come voleva fare un Santo quando si esprimeva sul mistero di Dio… d’altronde, se è stato creato il mare ci può essere evitata questa fatica. Cosa significa dire Trinità? Significa semplicemente affermare che se vuoi parlare di Dio devi pensare non semplicemente a una persona, ma a tre! Significa che non siamo figli della solitudine, ma sempre frutto di una relazione e di una reciprocità che continuamente dà e prende vita posandosi su di noi sotto forma di soffio vitale. E noi, che siamo creati “a immagine” di Dio, possiamo avere vita solo nel nome di una circolazione di incontri, di parole, di affetto, di confronti, di condivisioni, di aperture … e tutto riparte e si rinnova. Ciò che divide è immagine diabolica, ciò che unisce, nella diversità e nella complementarietà, immagine di Dio. Noi, come Dio. Dio, come noi. 

GLI UNDICI … DUBITARONO: non so se dire se questo fatto è stupendo o ingenuo, so solo che mi piace tanto. E forse mi piace per la genuina meraviglia che solo l’amore sa suscitare. Il Risorto aveva già incontrato i suoi, li aveva ammaestrati, aveva dato loro appuntamento su un monte e fa tutto pur sapendo due cose non prive di rilevanza: erano rimasti in UNDICI … undici che sballano i calcoli di un “disegno” che sembrava perfetto nella “rappresentatività” di tutto il popolo eletto con le sue tribù, che si sfascia con il tradimento di Giuda che fugge e si toglie la vita e con l’abbandono di tutti i discepoli. Undici forse è anche il nostro “nome”, perchè anche noi siamo come i discepoli. Quante volte “in fuga” dalla sorgente della vita. Quante volte “lontani dal tuo volto” … una trinità molto sconclusionata nei suoi effetti, un multiplo rotto e indivisibile, trasformato nella solitudine di un numero primo; e poi, insomma, questa è grossa: l’evangelista Matteo scrive che “tutti dubitarono”. Tutti! “Essi però dubitarono”! Bene! E allora non ci resta che congedarci e ricominciare tutto da capo, magari anche con altri un po’ più intelligenti, volenterosi, capaci, “Number one”? Macché! Gesù agli “undici dubitanti” dice: “andate DUNQUE(!) … “. La diffusione del Lieto Evento è affidato a mani, bocche, piedi, voci così. Con il Maestro. In trinitaria compagnia e in respirazioni di folate di Venti impetuosi riempi-polmoni.

INSEGNATE A OSSERVARE: e qui ci siamo! Non si tratta di fare nessun discorso, ma di lasciare dei segni profondi (in-segnare) che nascono dall’osservazione di quello che capita quando si vive il comandamento dell’amore e della prossimità: degli esorcismi anti morte, dei veleni che non uccidono, delle mani che si intrecciano, dei serpenti che vengono schiacciati e resi senza potere di assassinio …  come faceva il MAESTRO, l’insegnante per eccellenza che LASCIAVA SEGNI PROFONDI NEL CUORE DI CHI LO OSSERVAVA E LO ASCOLTAVA: “Chi vede me vede il Padre”. E … chi vede me cosa vede? 

A Livorno i portuali evitano carico di armi per Ashdod

 

La Mobilitazione. La protesta contro la nave Asiatic Island che sta arrivando in Israele. Il rappresentante dei lavoratori dell’Usb: abbiamo chiesto cosa trasportasse, nessuna risposta. Una rete fra i porti contro chi trasporta armi

La portacontainer Asiatic Island ieri sera stava costeggiando Cipro e oggi dovrebbe giungere al porto israeliano di Ashdod. Sul carico che trasporta ci sono pochi dubbi: armi ed esplosivi per l’esercito di Netanyahu. Non sappiamo invece cosa dovesse caricare nella sua sosta a Livorno di venerdì. Una tappa tenuta segreta, «rovinata» dalla protesta dei portuali che ha evitato qualsiasi carico di armi.
Come era già successo nei mesi scorsi grazie ai portuali di Genova con le navi saudite cariche di armi per la guerra in Yemen, la mobilitazione dei lavoratori ha bloccato ogni carico. «Non sappiamo che cosa era previsto caricassero – spiega Massimo Mazza, rsu dell’Usb dei portuali di Livorno – ma di sicuro la nostra mobilitazione ha fatto saltare i piani e reso pubblica la notizia dell’attracco della nave: è servita a bloccare qualsiasi movimento e ha smosso le coscienze in tutta la cittadinanza in solidarietà del popolo palestinese».
La nave Asiatic Island, battente bandiera di Singapore e partita il 6 maggio da Haifa per arrivare a Marsiglia dove è stata caricata per poi fermarsi a Genova, è attraccata alla darsena Toscana del porto di Livorno venerdì mattina. La protesta dei portuali di Livorno ha ridotto la sua sosta: già a mezzanotte è ripartita per Napoli. «Abbiamo chiesto alla società portuale, alla capitaneria che cosa trasportasse ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta», denuncia Mazza.
Con il Collettivo autonomo lavoratori portuali di Genova, i compagni di Livorno e di altri porti italiani e europei stanno creando una rete per impedire l’attracco e il carico delle navi che trasportano armi nei porti civili. Una pratica consolidata che la lotta dei portuali ha portato allo scoperto e resa molto più complessa. Autore:  

Massimo Franco

DOMENICA E SETTIMANA DI PENTECOSTE

PARLIAMO DI … ARIA 

 

Dagli Atti degli Apostoli

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria
lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». 

É un po’ difficile parlare di aria, perchè non si vede, ma è anche vero che se non ci fosse l’aria noi non potremmo vedere e non potremmo parlare. 

Dico questo perchè la Festa della Pentecoste è la Festa del Dono dello Spirito Santo, e lo Spirito è ARIA, respiro, vento che scombussola, che riempie le vele di chi si lascia investire dalla sua dirompente carica vitale. Quella carica che connette l’intelligenza, la memoria, le parole e le azioni all’unica Fonte della Vita, quella eterna, indistruttibile senza fine – che incomincia ORA e non post mortem! – ogni volta che compiamo un atto di affidamento al Dio della vita, cioè Colui che l’ha creata e la conosce. Non lo vediamo. Ma lo sentiamo. Non lo tocchiamo, ma ci tocca e ci trasforma da dentro. 

Noi abbiamo la brutta tendenza a relegare nell’inesistente le cose che non vediamo e non tocchiamo. Però, a pensarci bene il nostro vedere è il risultato, il frutto, l’ultimo scalino di un mucchio di altre cose che stanno prima. E a pensarci bene il senso di tutto dipende da cose che non si vedono se non quando accadono e sono in alleanza con la concretezza del nostro IO e delle scelte che si fanno. Non esisteremmo senza l’invisibile amore, non vivremmo delle relazioni sane se qualcuno non decidesse di vivere l’invisibile pace, non saremmo al mondo senza respirare l’invisibile aria (che sappiamo a cosa porta quando non è buona). Sta a vedere che l’Invisibile Spirito di Dio non sia proprio la strabiliante sfida rivoluzionaria che ci propone il Signore stesso di credere un po’  di più a quello che non vediamo ancora piuttosto che imprigionarci in tutte quelle forme visibili alle quali affidiamo la nostra vita,  ma che hanno veramente ben poco di vitale, buono e creativo per i nostri  giorni di calura e sete?

E allora proviamo a spalancare le finestre. Proviamo a sederci, a chiudere gli occhi, e chiedere il DONO di questo Spirito Santo perchè  possa essere quel vento che si abbatte impetuoso sulle nostre prigionie, sugli arresti endemici, sui veleni che infestano i nostri cuori e le nostre parole, che sappia suscitare ancora una volta la possibilità di reimparare l’unica LINGUA NATIVA che tutti quanti capiscono e che è la lingua dell’amore. Mentre leggevo l’elenco di tutte quelle popolazioni (Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi) mi venivano in mente le immagini del Tg di questi giorni, che ci fanno vedere uomini disperati che cercano approdo su coste accoglienti in grado di dare vite e possibilità nuove … tra loro ci sono tanti che appartengono a quei ceppi linguistici e di popolo. Guardo e mi dico … “abbiamo dimenticato la lingua nativa” dell’amore, del rispetto, trasformando la terra in un luogo inospitale, terrorizzato, nella Babele dei nostri interessi particolari. Ma la barca, quel canotto che si sgonfia e fa tante vittime è un segno che ci ricorda che ci si salva o si va a picco tutti insieme. E se tutti muoiono, cosa te ne fai di vegetare nel tuo piccolo bunker antiatomico?  Vieni Santo Spirito, soffia su di noi,  abbiamo tanto bisogno di Te! 

OGGI COME MI VESTO? (una riflessione interessante … )

Si misura l’intelligenza di un individuo dalla qualità d’incertezza
che è capace di sopportare
(E. Kant)

In questi giorni chissà quante volte abbiamo detto: “Non so più come vestirmi”. Un giorno ci sono venticinque gradi e il giorno dopo dieci. Un giorno il sole è caldo, si sente la primavera e subito dopo ti svegli con le nuvole e il vento gelido. Una giornata limpida, con il cielo terso, ti fa illudere che sia scoppiata la bella stagione, ma subito devi ricrederti. Esci di casa con maglia, giacca e ombrello anche quando brilla il sole. Non ti fidi più. Il tempo è tremendamente variabile e ti costringe ad una costante incertezza. Oggi pomeriggio sono uscito senza ombrello e… sono tornato a casa bagnato. Ora, nello studio, ci ripenso e mi trovo a meditare sulla vita. Essa è sempre tremendamente incerta, come il tempo. Facciamo finta di avere certezze, ma la maggior parte delle volte brancoliamo nell’incertezza. Ogni giorno è sconosciuto, nuovo, incerto. Ogni ora, ogni minuto. Sorgono imprevisti, contrattempi, sorprese. Sei felice e ti arriva un problema inaspettato a rabbuiarti. Hai programmato la tua agenda e devi spostare ogni cosa. Speravi in un giorno di vacanza e sei costretto ad andare al lavoro d’urgenza. Pensavi che tuo figlio avesse capito il discorso e ti ritrovi a doverlo rifare da capo. Ti svegli in salute e nel pomeriggio sei al pronto soccorso. Com’è incerta la vita! Ogni giorno devi rivedere il tuo modo di pensare, rifare i tuoi giudizi, rivedere i programmi. Ogni giorno devi imparare cose nuove, affrontare domande inedite, confrontarti con posizioni diverse. La vita è tremendamente sorprendente e non si può incasellare in una rigida dottrina. Neppure il cristianesimo. Dice Papa Francesco: “La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo”. Purtroppo ancora tanti credenti riducono il cristianesimo alle verità del catechismo e pretendono di leggere tutta la storia con quelle verità. Anzi, pretendono di imporle a tutti. Che tristezza! Chiedo scusa agli uomini e alle donne di questo tempo che incontrano cristiani così. Non è quello il cristianesimo! Quello è un insulto alla grandezza di Gesù Cristo e alla grandezza dell’intelligenza che Dio ci ha donato. I discepoli di Gesù Cristo sono in cammino come tutti e con tutti. Umili ed in ricerca. Capaci di dialogare e di offrire il proprio contributo con gentilezza e rispetto. Come faceva il nostro Maestro. Sapendo che resta vero ciò che afferma Kant: l’intelligenza non si misura sulle certezze, ma sulla capacità di sopportare e gestire l’incertezza. In questi giorni non sappiamo come vestirci e sarebbe ridicolo uscire ogni mattina rigidamente con il cappotto o in camicia. Nell’incertezza cerchiamo l’abito più adatto. La vita ci sorprende e noi cerchiamo di risponderle nei modi più appropriati. Dialogando con la vita e non, invece, imponendole i nostri vestiti.

(“Le Parole per dirlo” di Derio Vescovo)

FESTA DELL’ASCENSIONE DI GESÚ AL CIELO

SALIRÓ

 Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Il Vangelo sorprende e spaesa continuamente, dall’inizio alla fine: nasce in una grotta, esce nella vita di una famiglia, attraversa la Galilea, la Giudea e la Samaria, sale e scende sui monti e dai monti per beatificare, trasfigurare e morire su una croce,  scende dal sepolcro al cuore della terra per risalire fino al Cielo, alla destra di Colui che lo ispirava e da lì, attraverso il Soffio del suo cuore amante, raggiunge ogni uomo aperto e accogliente la Vita per prendere definitiva dimora. 

La festa della salita (Ascensione di Gesù al cielo), insomma, è l’epilogo della cronaca di una grande discesa piena di passione, di amore per noi. La festa della salita, che sembra la dissoluzione di ogni concretezza e riferimento realistico, si trasforma in mani, voci, pensieri, passi e rinnovata possibilità di uomini e donne accoglienti. L’apparente assenza di Gesù lascia spazio così alla concreta presenza dei discepoli: a loro il compito di portare nel mondo i segni miracolosi del “Crederci” alla scuola quotidiana del Maestro. Buona notizia per uomini che quotidianamente si auto esorcizzano alla scuola della Libertà che finalmente trova il suo riferimento liberante; buona notizia per chi incomincia a parlare delle nuove lingue ma soprattutto dei linguaggi assunti e appresi alla scuola dell’Amore, genesi di bene-dizioni al posto delle solite parole mal-dette e mortificanti; buona notizia per chi nel veleno che acidifica e ammorba la vita propria e dei fratelli non soccombe, ma ricerca l’antidoto in esso contenuto … (l’antivirus nasce dal riconoscimento del virus letale); buona notizia di mani che accolgono, accarezzano, compiono bene anziché male e ridonano al mondo limitato e gemente la possibilità di aprirsi a nuove speranze che rimettono in carreggiata e fanno ripartire ogni cosa. 

La notizia bella è che il Maestro non era tanto bravo nella Scienza dei Numeri, perchè, ormai buttata all’aria lo schema dei Dodici perfetti apostoli, che, uno per uno lo hanno abbandonato, rimanendo Gli Undici, rivolge proprio a loro, sgarrupato ammasso di infedeltà impaurita, la scommessa della diffusione dell’Annuncio. A loro. A noi. In tutto il mondo e per ogni creatura. 

I segni arrivano e accompagnano Creature Nuove che hanno definitivamente compreso che le cose cambiano se il Signore agisce e conferma la sua Parola. Non uno sforzo morale, ma la liberazione di frutti, di molto frutto. Perchè la gioia, possa cominciare a essere un po’ più piena. 

SESTA DOMENICA DEL TEMPO PASQUALE

 STARE “IN” GESÚ

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho
udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti
perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Se prerogativa delle pecore è ascoltare la voce del Pastore, che viene seguito STANDO DIETRO di lui, il viticoltore ci dice che la possibilità di portare frutti nelle nostre vite, accanto al realizzazione della gioia piena, dipende dal nostro STARE DENTRO la vite e la “vita” che è Gesù. Proprio come Gesù ha fatto con il Padre suo, dal quale trovava sempre fonte di ispirazione e realizzazione. 

Ci sono tre parole sulle quali protraemmo riflettere nel corso della settimana: RIMANERE, UDIRE (e conoscere), PORTARE FRUTTO. 

RIMANERE: la nostra vita dipende dai “luoghi di residenza” della nostra mente, da quei posti dove decidiamo che i nostri cuori siano di casa. “Sono in te tutte le mie sorgenti” dice il Salmo 87. E se so dov’è la sorgente, là comincio a costruire. Dalla storia umana si sa che le grandi città nascono tutte vicino ai grandi fiumi: perchè il fiume è vita, acqua, possibilità di futuro per la terra. E noi dove siamo radicati? Sempre il Salmo ci suggerisce con parole belle e poetiche: “Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere”. E continua: “Non così, non così gli empi, ma come pula che il vento disperde” … Tutto può subire il rischio di crollare improvvisamente quando siamo a corto di solide basi. 

UDIRE: sovente lo diciamo: il Signore lo vediamo con le orecchie, ossia con il nostro ascolto attento e attivo. Quante volte lo sia è difficile dirlo, perchè noi viviamo in un sistema di cose che tende volontariamente a distrarci, per non tornare a farci le domande importanti e continuare così a renderci inconsapevoli, vittime impoverite e orientate da desideri che non realizzano nulla ma favoriscono solo ed esclusivamente la logica commerciale. E diventiamo oggetti, numeri, “esseri calcolabili”, come ci ricordiamo tante volte ormai da un po’ di tempo. Importante è scegliere cosa ascoltiamo e “come ascoltiamo”. Gesù dice proprio così: “fate attenzione a come ascoltate!” 

PORTARE FRUTTO: cosa c’è di più inutile di una pianta che non fruttifichi? Certo, anche le foglie fanno la loro parte. Certo, anche la fotosintesi clorofilliana apporta benefici a tutti, ma questo non basta. Noi siamo nati per portare frutti, e portare frutti significa vivere. Portare frutti significa accondiscendere a una dinamica della “gioia” che parte dal cuore, attraversa le mani e raggiunge i fratelli. Quella gioia che non è la stupida ilare ridancianità di chi pensa di vivere senza problemi, ma la pace di un cuore che riesce appunto a portare frutto anche nel mezzo del conflitto e della tempesta perché rimane sempre in un ascolto pieno di vita e di … sorprese. 

DO NOT LET (W. Whitman)

Non lasciare che finisca il giorno senza essere cresciuto un po’,
senza essere stato felice, senza aver incrementato i tuoi sogni.
Non lasciarti vincere dallo sconforto.
Non permettere che nessuno ti tolga il diritto di esprimerti,
che è quasi un dovere.
Non abbandonare l’dea di poter fare della tua vita qualcosa di straordinario.
Non smettere di credere che le parole e le poesie possono cambiare il mondo.
Succeda quel che succeda, la nostra essenza è intatta.
Siamo esseri pieni di passione.
La vita è deserto ed oasi:
ci abbatte, ci ferisce,
ci trasforma,
ci costringe ad essere protagonisti
della nostra propria storia.
Anche se il vento ci soffia contro,
la poderosa opera non s’arresta:
tu puoi apportare la tua strofa.
Non smettere mai di sognare,
perché in quei sogni sta la libertà.
Non cadere nel peggiore degli errori:
il silenzio.
La maggior parte delle persone vive in un silenzio spaventoso.
Tu non rassegnarti.
Fuggi.
“Riecheggiano le mie barbariche urla sopra i tetti del mondo”,
dice il poeta.
Ama la bellezza delle cose semplici.
Si può fare della bella poesia sulle piccole cose,
ma non possiamo andare contro noi stessi.
Questo trasforma la vita in un inferno.
Godi del panico che ti provoca avere la vita davanti.
Vivila intensamente,
senza mediocrità.
Pensa che in te sta il futuro
e affronta il compito con orgoglio e senza paura.
Impara da chi possa insegnarti.
Le esperienze di chi ci ha preceduto,
dei nostri “poeti morti”,
ci aiutano a camminare per la vita
La società di oggi siamo noi, però,
i “poeti vivi.”
Non permettere che la tua vita ti passi accanto
senza che tu la viva.

Walt Whitman