TREDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

VERSO GERUSALEMME

DAL VANGELO SECONDO LUCA 

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi
non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «
Le  volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Sulla trama dell’ultimo viaggio, un villaggio di Samaria rifiuta di accogliere Gesù. Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? Eterna tentazione di farla pagare a qualcuno, la propria sconfitta. Gesù si volta, li rimprovera e si avvia verso un altro villaggio. Nella concisione di queste poche parole appare la grande forza interiore di Gesù, che non si deprime per un fallimento, non si esalta per un successo, non ricerca né il consenso né il dissenso, ma il senso: portare vangelo. Andiamo in un altro villaggio! appena oltre, un cuore è pronto per il sogno di Dio, una casa c’è cui augurare pace, un lebbroso grida di essere guarito.

Gesù difende quei samaritani per difenderci tutti. Per lui l’uomo viene prima della sua fede, la persona conta più delle sue idee. E guai se ci fosse un attributo: ricco o fariseo, zelota o scriba; è un uomo e questo basta.

Il vangelo prosegue con una piccola catechesi sulla sequela. Il primo a venire incontro è un generoso: Ti seguirò, dovunque tu vada! Gesù deve avere gioito per lo slancio, per l’entusiasmo giovane di quest’uomo. Eppure risponde: Pensaci. Neanche un nido, neanche una tana. Ti va di posare il capo sulla strada?

Il secondo riceve un invito diretto: Seguimi! E lui: sì, ma lascia che prima seppellisca mio padre. La richiesta più legittima, dovere di figlio, sacro compito di umanità. Gesù replica con parole tra le più spiazzanti: Lascia che i morti seppelliscano i morti! Perché è possibile essere dei morti dentro, vivere una vita che non è vita. Parole dure, cui però segue l’invito: tu vuoi vivere davvero? Allora vieni con me! Il Vangelo è sempre una addizione di bellezza, un incremento di umanità, promessa di vita piena.

Terzo dialogo: ti seguirò, Signore, ma prima lascia che vada a salutare quelli di casa. Ancora un “ma”, così umano che anche i profeti (Eliseo) l’hanno fatto proprio.

E Gesù: chi pone mano all’aratro e poi si volge indietro, non è adatto al Regno. Hai davanti i campi della vita, non voltarti indietro: sulle sconfitte di ieri, sugli obiettivi mancati, sui cocci rimasti, sul male subito o compiuto, neppure con la scusa di fare penitenza, perché saresti sempre lì a mettere al centro te stesso:

«non consultarti con le tue paure ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensate alle vostre frustrazioni ma al potenziale non realizzato ancora.

Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito ma di ciò che vi è ancora possibile fare” (Giovanni XXIII).

Uomo d’aratro è ogni discepolo. Sarà un solco forse poco profondo, il mio; forse un solco poco diritto, ma il mio ci sarà. Il mio piccolo solco non mancherà. Poi passerà il Signore a seminare di vita i campi della vita. (Ermes Ronchi) 

SS. CORPO E SANGUE DI GESÚ

IL DESERTO FIORIRÁ

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo:
qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «
Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Due espressioni del Vangelo mi colpiscono oggi: 1. “Qui siamo in zona deserta” e 2. “Voi stessi date loro da mangiare”. 

  1. QUI SIAMO IN ZONA DESERTA. Che strana affermazione! I discepoli con Gesù si trovavano attorno a Betsaida, luogo fertile e verde sulle rive del lago, dall’agricoltura fiorente e prospera, eppure affermano di trovarsi nel deserto. Forse l’evangelista quando ne parla non si riferisce tanto a un luogo geografico, quanto a una condizione del cuore: quando tu dividi gli altri da te, quando ti congedi elegantemente perchè la predica e le preghiere sono finite, quando sei convinto che a dare gusto e a fare fiorire la terra non sia la possibilità del dono, dell’accoglienza e della cura dei bisogni dei fratelli, allora  IL DESERTO COMINCIA AD AVANZARE. Le possibilità, di conseguenza, sono due: (a) continuare come se nulla fosse, desertificando sempre più il mondo e il cuore   (ed è il ragionamento più diffuso nella nostra contemporaneità, tanto che ho letto che dagli ultimi dati dell’UNCCD emerge che il fenomeno (della desertificazione) si è considerevolmente accentuato. I paesi che si dichiarano toccati dalla desertificazione sono oggi 168, mentre erano 110 negli anni Novanta. Le persone che ne subiscono direttamente le conseguenze sono stimate a 850 milioni. E guarda caso, circa 900 milioni di persone nel mondo soffrono la fame … forse ci sarà una correlazione? Forse gli eventi che accadono dipenderanno del modo di battere dei nostri cuori? Di sicuro!). Oppure (b) permettere alla terra che sta accanto a noi di rifiorire chiedendo al nostro cuore di assumere in modo pratico tutti gli stimoli positivi di fraternità, collaborazione e condivisione proposti da Gesù (e dal Buon Senso). Chiaramente la nostra risposta davanti a quella Parola, che molto conosciamo e poco pratichiamo (ma Gesù definisce questo atteggiamento come stoltaggine) ci suggerirà che “non ne vale la pena”, ossia: cosa vuoi farci? Che ne è del mio misero panino di fronte alla fame del mondo? Eppure Gesù non si fa circuire dalle nostre obiezioni, ma invita i suoi: 
  2. VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE! Non abbiamo ancora capito questa cosa: i miracoli li dobbiamo fare noi, noi che diciamo di credere in Dio ma poi, troppo spesso, viviamo come se non esistesse nel modo più assoluto. Gesù SI FIDA DI NOI più che della fame, dell’indifferenza regnante, del vuoto che ci abita e rilancia, rilancia continuamente.  Nel mondo si dice che ci siano 2,3 miliardi di cristiani: pensate se, non dico tutti, ma almeno la metà, 1,15 miliardi di persone, si fidasse della fiducia di Gesù in noi suoi discepoli: cinque pani e due pesci basterebbero, basterebbero e avanzerebbero. Dando continuità alla “illogica e  insensata” matematica evangelica, dove la sottrazione addiziona e la divisione moltiplica. Ce n’è per tutti!
  3. Per riflettere: In quali occasioni sento nel mio cuore di essere “zona deserta” anziché giardino che fiorisce? Sono pronto questa settimana a rendere giardino la terra attorno a me? Come? Che cosa posso condividere di mio? Chi sono gli affamati che mi interpellano? 

DOMENICA DI PENTECOSTE

GIÚ!

 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

 

Domenica scorsa abbiamo celebrato la festa della salita del Risorto al Cielo. Oggi contempliamo la sua discesa tra noi, dentro il cuore di tutti noi, oltre lo spazio e oltre il tempo, come un respiro che ci permette di vivere in ogni momento. Che dà vita a una vita che non è vita “tanto per dire”, ma eterna. Ossia indistruttibile. 

Ci possiamo soffermare su tre termini interessanti che compaiono nel Vangelo e ci possono dare delle indicazioni preziose per vivere la presenza dello Spirito Santo in noi, inaugurazione definitiva della prossimità incancellabile di Dio (se non da parte nostra) nei nostri cammini. 

OSSERVARE: Gesù dice che amarLo significa “osservare” la Sua Parola. Sovente ci sono delle persone che dicono di non credere perchè NON VEDONO DIO, tuttavia non è un problema per la Scrittura, perchè Dio non va “guardato”, ma “osservato” accogliendo il suo Vangelo. Dio non è una cosa da guardare, ma una Parola da ascoltare. Nella Prima lettera di San Giovanni c’è scritto proprio così: “”Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi … “. Osservare la Parola di Dio significa AMARE, null’altro: l’azione più  liberante, più umana, più difficile, più bella e più vitale che sia messa a nostra disposizione. E da vivere, non da soli, ma ricorrendo continuamente a Colui nel quale possiamo muoverci ed esistere. Lo Spirito serve a questo: darci la FORZA per amare. 

PRENDERE DIMORA: noi veniamo abitati da quello che ospitiamo dentro i nostri cuori. La stessa cosa avviene con Dio. Ogni cosa che entra e viene accolta nella nostra interiorità ci plasma e ci dà una forma. La cosa più terribile è diventare come degli imbuti che fanno entrare di tutto per alimentare i propri stomaci vuoti, e mi pare che l’esasperata campagna qualunquista e generalista nella quale respiriamo, dove nulla vale nulla, dove non si distingue il bene dal male, dove non si dà più importanza alle cose che si fanno, sia a volte molto deleteria per la nostra salute, interiore ed esteriore. Ciò che dimora in noi prende dimora e ci trasforma. Che bello pensare che Dio ci fa l’onore, con il Suo Figlio, di dimorare dentro di noi. Lo stiamo ricordando tutte le domeniche: Dio è nelle nostre mani. Dio attraversa letteralmente il nostro apparato digestivo. Appartiene al nostro metabolismo e all’alchimia dei nostri cuore pensanti. Chi lo ama osserva la Sua Parola. 

INSEGNARE E RICORDARE: lo avevamo già ascoltato due domeniche fa. L’azione dello Spirito è riportare al centro del cuore (ri-cordare) la Parola che Gesù è stato – e ha detto – e lasciare dei segni importanti dentro di noi (in-segnare). Perchè la nostra forza nasce da quello che c’è dentro di noi. Gli insegnamenti preziosi che ci vengono dati dalle persone che ci amano, dalle lezioni della vita, dalle cose belle e brutte che ci capitano, sono dei marchi indelebili che non chiamano in causa semplicemente una mente che ha una buona memoria, ma la possibilità di un coinvolgimento di tutta la libertà che accogliendone il prezioso messaggio inizia una strada di trasformazione.