XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – A

AL LAVORO! 

 

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». (Mt.) 

 

La vigna del Signore si chiama così perché appartiene a Lui. É  quella dove anzitutto  lavora Dio, che, come ogni buon contadino, desidera solo che “porti molto frutto!”, ossia, che NOI portiamo molto frutto.  Che bello sapere questo. Lavorare nella vigna, allora, non significherà anzitutto fare qualcosa per Dio e lavorare per Lui, ma permetterGli di lavorarci. Perché il frutto nasce dal fatto che permettiamo a Dio di “mettere le mani” su di noi per potare le foglie che risucchiano inutilmente la linfa e valorizzare, curandoli, quei tralci che possono essere fruttiferi. E Dio sembra avere uno sguardo proprio così: attento alle possibilità, al futuro, al nostro metterci a disposizione nonostante tutto, anche se a volte ci sembra faticoso, impossibile e troppo gravoso. Esattamente come il figlio svogliato che risponde di NO ma poi parte, va a lavorare, e “compie” la volontà di Dio. Questo vuol dire CONVERTIRSI, RICOMINCIARE, fidarsi di gesti e pensieri più grandi delle nostre forze, delle nostre illusioni, delusioni e delle nostre pigrizie. 

Quando e come permetto a Dio di lavorare nella mia vita? Quanto tempo pieno di consapevolezza gli dedico affinché la mia sia una vita fruttifera? 

Ma … per noi cosa significa lavorare in questa vigna? Permettere alla Parola di Dio di diventare l’appassionante benzina del motore del nostro cuore e delle nostre mani. 

Allora, con molta semplicità la Parola di Dio oggi  ci dà 2 suggerimenti da vivere durante la settimana:  

  1. Fare vivere noi stessi allontanandoci dal male, come ci suggerisce il Libro del Levitico  … Anche Gesù nel Vangelo ci dice che “pentimento e conversione sono proprio la pienezza, sono la vera forma della santità. Il santo non è colui che ha terminato di convertirsi, ma chi ogni giorno si pente e si converte. Ogni giorno è così attento da vedere le lentezze della propria fede e del proprio amore, ma coglie pure la forte speranza che Dio ha verso di lui. A motivo di questa incomprensibile divina stima è toccato, si pente e si mette a lavorare anche quando gli verrebbe da dire “non ho voglia”, o “non ho più voglia”, o “intanto non cambia niente”” (Pagazzi) . Ci allontaniamo dal male … per vivere, far vivere e ritrovare il destino buono dei nostri cammini. / Sono consapevole di quanto le mie azioni dipendano dal male o dal bene? So chiamare il peccato (tutto ciò che mi allontana da Dio, dagli altri e da me stesso) con il suo nome? 
  1. “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri  superiori a se stesso” scrive San Paolo. A me viene in mente un’altra sua espressione, assai liberante: “gareggiate nello stimarvi a vicenda!” … L’esagerata autoritorsione su noi stessi a volte ci impedisce di cogliere quanti doni, quante cose buone  ci chiamano, quante esperienze costruttive ci fornisce la vita. Uscire da noi per accorgersi di questo è un grande respiro di liberazione. Dire grazie a chi lavora per noi in modo incondizionato e gratuito. Stimare ogni piccola cosa che gratuitamente ci riempie il cuore di felicità è il primo scalino per il recupero della strada di un’umanità grata, operosa e fraterna. / So dire grazie? A chi devo dirlo? Cosa farò questa settimana per esprimere la mia gratitudine?  Buon cammino settimanale! 

Una … vera gioia

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.

Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». 

L’amore avanza come una macina; Dura la sua superficie, procede diritto. Morto all’egoismo, Rischia tutto senza chiedere niente. (Rumi) 

Ci eravamo lasciati con le parole di Rumi, domenica scorsa, manifestando il contenuto e l’orizzonte che avrebbe acceso i passi della nostra settimana, così sorpresa di fronte alla richiesta di perdonare settanta volte sette e estasiata dal fatto che, come i servi, la nostra condizione sarà sempre quella di “non avere da restituire”, ma di saperci sempre perdonati e avere un condono eterno dal nostro Signore. Com’è andata? Ci siamo ricordati? 

Continuano i detti di Gesù, attraverso una parabola, questa volta, dove l’eccesso fa di nuovo da padrone: i servi della prima ora ricevono la stessa paga di quelli che sono andati nella vigna dalle prime luci dell’alba. Loro hanno dovuto subire il caldo, la fatica e la pesantezza di una giornata intera di lavoro e davanti alla ricompensa non capiscono una cosa: la cosa più bella e interessante della vita è avere un senso, un significato, un’utilità, uno scopo e un contenuto: questa è la ricompensa più appagante e bella che esista. Prima ancora dello stipendio che te ne viene in cambio. E se il luogo di lavoro è il Regno di Dio allora … Forse, potremo parafrasare così, soprattutto per noi che come i servi del mattino pensano di essere i “senior” della vigna che hanno trafficato più degli altri: il Vangelo non è una fatica, ma la più grande fortuna che c’è. E quando coinvolge gli altri dobbiamo accendere il cuore, altrimenti saremo come il triste figlio della parabola del Padre misericordioso che fa il broncio al ritorno a casa del fratello che era perduto e ritrovato, morto e tornato in vita. Lui nella vita CI STAVA, però non se n’era mai accorto! 

Allora, come fai a renderti conto che il Vangelo sia una fortuna e non una fatica? Ci vengono  suggerite tre risposte, pena il volto corrucciato, triste e un po’ grigio dei “classici” sedicenti credenti che non trasmettono luce e gioia ma solo la pesantezza di un dovere da assolvere … ma chi lo vuole! Ce ne sono già abbastanza nella vita. 

  1. Allenati a RISPONDERE a Dio che ti chiama con la sua Parola e si rivolge a te negli eventi della tua giornata, perchè il Regno dei cieli è un padrone di casa che va a chiamare gente che possa lavorare la vigna. Come l’evangelista Matteo che abbiamo festeggiato questo giovedì: si alza dal banco dei furti da pubblicano perché in Gesù ha colto una chiamata personale più grande di ogni altro tesoro. Io come sento la presenza di Dio in me quando mi sento circondato dall’assenza di senso e interpellato a intervenire? 
  2. Sappi che la cosa che sta a cuore a questo Signore, ancora prima della sua vigna, è che TUTTI POSSANO PARTECIPARE alla sua crescita e alla sua lavorazione attraverso il coinvolgimento e la risposta personali. Fino alla fine la domanda risuona: “perchè ve ne state qui tutto il giorno senza fare niente?”. Di fronte a questa domanda ne sorge un’altra, quasi spontanea: “faccio qualcosa per portare nel mondo la logica del Regno di Dio e del suo Vangelo?”. 
  3. NON INVIDIARE: “Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perchè io sono buono?” chiede il padrone della vigna ai lavoratori della prima ora che si lamentano. D’altronde a loro aveva dato quanto pattuito, ma lo sguardo che diventa avido e privo di bontà perchè a volte non ci fa sentire i fari puntati addosso o la centralità assoluta, a volte ammorba e ammala il nostro modo di vedere che diventa distorto e ci impedisce di capire che quell’amore è destinato a tutti allo stesso modo, esattamente come lo è stato con me! Com’è il mio sguardo sul mondo? So avere occhi compassionevoli? 

XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, A

DARE I NUMERI

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

 

Il Vangelo, se lo ascolti, ti spiazza. Arriviamo da una settimana nella quale la messa di domenica scorsa ci invitava a diventare CUSTODI dei nostri fratelli: quanti ne abbiamo incontrati!! Il ragazzo dal Marocco che aveva bisogno, la signora che aveva necessità di parlare, l’amico affranto, ogni desiderio di vita più o meno latente e manifesto. Oggi Gesù fa un ulteriore affondo: per custodire le relazioni, dice, bisogna imparare a perdonare, ossia, ad AMARE, gesto che dalla sua minima manifestazione alla sua più grande espressione esiste solo se pensato e vissuto con un’intensità moltiplicativa pari a  settanta volte sette. Vabbè, dai, se non ci riusciamo cominciamo da sette volte sette, come dice Pietro, un passo dopo l’altro forse arriveremo anche a quattrocentonovanta! Probabilmente non è questione di numero, ma di profondità. Di essere consapevolmente in quello che facciamo. 

Perchè alla fine, i primi beneficiari della capacità del perdono – che non è la cancellazione dell’amarezza di quanto successo e neppure un colpo di spugna magico che cancella i problemi – siamo anzitutto noi. Perdonare significa liberarsi: dal gravame, dall’incubo, dal rodimento che l’odio esercita dentro chi OSPITA L’ODIO. É anzitutto un atto che il soggetto compie PER AMORE DI SE STESSO, è un grande atto terapeutico. Non si tratta subito di essere rivolti verso l’altro, ma anzitutto volere bene a se stessi e liberarsi dalla voragine vorace che ci  risucchia. Perdono è liberazione. E poi, a partire da questo gesto – che ci libera a partire dalla nostra decisione (immotivata, a volte, come l’amore) – ricominciare un nuovo respiro. 

La Parabola ci mette poi  anche davanti alla nostra responsabilità: a volte pensiamo che le vittime  siamo solo noi. Che siano gli altri a sbagliare. Invece, è opportuno, ogni tanto, ripensare a quante volte siamo dalla parte del carnefice, e siamo più interessanti a fare prevalere le nostre ragioni più che la verità. 

E anche a quante volte siamo stati perdonati! 

L’amore è sconsiderato, non così la ragione.

La ragione cerca il proprio vantaggio. 

L’amore è impetuoso, brucia se stesso, indomito.

Pure in mezzo al dolore, 

L’amore avanza come una macina;

Dura la sua superficie, procede diritto.

Morto all’egoismo,

Rischia tutto senza chiedere niente. 

(Jalal ad-Dim Rumi) 

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

GUADAGNI DI ABBRACCI 

Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 18,15-20

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

 

Domenica scorsa, a Messa, chiedevamo al Padre che seguendo le orme di Cristo, scegliessimo sempre le vie che accrescono la vita (ti fa venire i brividi una richiesta del genere).  Geremia,  ci invitava a ravvivare il fuoco che ci brucia dentro permettendogli di scaldare i nostri sogni e di non farci vivere da arresi. Paolo ci svelava alcuni segreti per farlo: non conformandoci ma trasformandoci: cercando ciò che è buono – ossia la volontà di Dio – e rinnovando la nostra mente. Nel Vangelo, infine, per potere vivere il cammino che ci porta al Regno di Dio e alla fraternità,  eravamo invitati a non temere di rinnegare la morte, il male e tutte le strade che ostacolano la vita (“rinneghi se stesso”), continuare a essere fedeli a quello che crediamo (prendere la croce)  e seguire le orme di Gesù (“mi segua”).

Questo tutto il senso del nostro cammino: così diventiamo cristiani. D’altronde se non fosse così non sai bene perché pregare  e perché andare a Messa. Noi siamo cristiani perché formiamo la nostra identità, rinnovandola e rimotivandola settimanalmente, partecipando al banchetto di Gesù, l’Eucarestia. Siamo cristiani “formati dalla Domenica”, il giorno della signoria di Dio su di noi. 

E allora, nei miei commenti continuerò a mantenere questo schema che spero ci possa aiutare nei nostri cammini. 

Domenica prossima la preghiera di colletta ci invita a diventare “custodi attenti di ogni fratello nell’amore, che è la pienezza (della Legge) della vita”. Facile da dire, molto complesso da vivere. Però gli atteggiamenti sono importanti, perché ci predispongono ad affrontare la realtà con uno spirito particolare che siamo chiamati a scegliere quotidianamente, esattamente come la nostra fede. 

Ezechiele nella prima lettura si sente dire da Dio che è stato posto come SENTINELLA per la casa di Israele. Dio gli chiede di “riferire” la Parola che ascolterà da Lui. Perché quella Parola è parola che desidera custodire la fraternità, operare la conversione del nostro cuore che deve farci comprendere in che cosa “troviamo casa” nella nostra vita. Dimorare nella Parola è possibilità unica per intraprendere cammini di nuove visioni. San Paolo, poi, nella seconda lettura, ci ricorda di NON ESSERE DEBITORI SE NON DI UN AMORE VICENDEVOLE … questo il nostro solo debito, che in realtà è un credito, perché chi ama compie un atto di fiducia nell’amore. Il Vangelo infine parla del cammino del confronto, dell’accordo e del guadagno del fratello come desiderio che  deve ardere al centro del cuore dell’uomo. Ronchi scrive molto bene: “c’è gente che guadagna soldi, gente che guadagna stima o potere, e poi c’è gente che guadagna i fratelli”. Che bello se anche per noi fosse una ricchezza ricercata quella del legame buono che salva la vita e il suo senso. 

Detto questo iniziano i sudori freddi, perché la realtà mette tanta gente sul tuo cammino, e provare a “custodire nell’amore con attenzione” è operazione tutt’altro che semplice e immediata, basta vedere i materassi lungo Via Pola, senza andare tanto lontano. Però non spaventiamoci, iniziamo dal piccolo, tutto è importante agli occhi di Dio e dei fratelli quando è fatto con amore. Diceva S. Teresa di Calcutta: “Aiuta una persona alla volta, e inizia sempre dalla persona più vicina a te!” … e tante gocce formeranno l’oceano della novità.