V DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA – ANNO C

NUOVISSIMO! 

Gv 13,31-33a.34-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Quando pensiamo alla gloria di Dio la nostra immaginazione si accende di fantasie di onnipotenza e splendore, il Vangelo invece –  che è il riferimento imprescindibile per parlare del Dio di Gesù Cristo – ci parla del Figlio che si consegna alle mani degli uomini. Altre volte, nel corso della sua vita, avevano cercato di “prenderlo”, ma Gesù è inafferrabile, neanche da Risorto vuol essere trattenuto, ma solo seguito nel nome di una grande libertà. Gloria di Dio allora non è togliere la vita agli altri, ma donare la propria sino alla fine, senza pentimenti e in maniera incondizionata. La gloria allora cambia anche il concetto di onnipotenza, che, a partire dal Getsemani e dalla consegna libera del Figlio si trasforma in amore che esprime la sua potenza nell’apparente inerzia dell’amore, che agli occhi del mondo, vive sempre in perdita. Davanti a questo gesto potremmo chiederci cosa pensiamo noi quando pensiamo Dio. É una nostra fantasia o la storia del Figlio che rivela il Padre e le sue intenzioni per diventare la nostra storia? 

Per questo Gesù ha l’ardire di dare e definire il comandamento dell’amore con la qualifica di nuovo. Ma che ci sarà di nuovo, sappiamo tutti che dobbiamo amare e questo sia il senso della vita? Ah sì? L’inquinamento eccessivo, la deforestazione, l’uso estremo delle risorse naturali, il cambiamento climatico, l’indifferenza, la disinformazione, la violenza e le guerre, i nazionalismi esasperati, la dittatura economica, l’odio, l’intolleranza, la mancanza di compassione … non sono forse segni che ci dicono che l’amore forse è proprio un comandamento da rinnovare quotidianamente, e da vivere nella totale novità e nel suo essere assolutamente inedito? 

La conclusione del vangelo di oggi definisce allora l’identità del discepolo in modo inequivocabile e perentorio: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” … Avere questa certezza e desiderare seguire Gesù a partire dalla pratica della sua parola che porta a rinnovare le nostre vite e di conseguenza il mondo, perchè abbiamo vissuto quell’amore testimoniato dal Figlio, può essere  veramente il trampolino di lancio per fioriture e resurrezioni laddove la morte, il buio e la disperazione sembrano avere preso il sopravvento definitivo. Nella mia vita in cosa dimostro il mio essere discepolo?

POCHI VERSETTI … MA DENSI

Gv 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.

Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.

Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Vangelo breve, quattro soli versetti su chi è Dio e chi siamo noi.

Le mie pecore ascoltano la mia voce”.

Per essere di Dio ci vuole l’ascolto.

Facciamo attenzione al piccolo dettaglio: ascoltano la ‘mia’ voce, e non le ‘mie’ parole, perché le pecore non comprendono la lingua del pastore. Come il neonato che per qualche mese ascolta la madre riconoscendola come unica voce al mondo che lo incanta fin da subito, pur senza capirne il senso.

Con il tono di voce possiamo graffiare, possiamo ferire oppure accarezzare, perché la voce contiene tutto: affetto, devozione, cura, seduzione.

L’ascolto è ospitalità della vita. È l’esperienza di Maria di Magdala al mattino di Pasqua, del bambino che riconosce la voce al di là della porta e smette di piangere, certo che la mamma arriverà subito.

La voce è il canto amoroso dell’essere: Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline (Ct 2,8). E prima ancora, l’amato chiede il canto della voce dell’amata: la tua voce fammi sentire (Ct 2,14).

Ed ecco come continua il vangelo: io conosco le mie pecore. Gesù mi parla come uno che mi vede da sempre, dal grembo di mia madre. Da quando ero appena una perla di sangue ha seguito ogni mio passo, ha contato ogni mio sospiro.

Perché le pecore ascoltano? Non per costrizione, ma perché la voce è amica. E per questo bellissima, dove ha nido il futuro.

“Io do loro la vita eterna”. Che non è quella cosa interminabile e un po’ noiosa dalla durata indefinita e vaga, che poco ci interessa. La vita eterna è la vita dell’Eterno; vivere la sua vastità, la sua intensità, il suo legame caldo con ogni creatura. Il vangelo ci dà la sveglia con una immagine di lotta: Nessuno le strapperà dalla mia mano (v.28). Abbiamo in mente la parabola di Luca, il pastore buono che va in cerca della pecora perduta, la trova, se la carica sulle spalle, e torna.

Invece per Giovanni il pastore è un vero guerriero, che come il piccolo Davide difende con la sua fionda il gregge del padre, da lupi e da orsi. Le sue sono le mani forti di un lottatore contro ladri e predatori, mani vigorose che stringono un bastone, per camminare e lottare. 

E se abbiamo capito male e ci restano dei dubbi, Gesù coinvolge il Padre: nessuno può strapparle dalla mano del Padre (v.29). Nessuno, mai (v.28).

Due parole perfette, assolute, senza crepe. Nessuno, né creature né demoni, neppure le guerre, nessuno ci scioglierà più dall’abbraccio delle mani sue. Legame forte, non lacerabile. Nodo amoroso che nulla scioglie.

L’eternità è la sua mano che ti prende per mano.

E beato chi sa fare volare queste parole lontano, verso tutti gli agnellini minacciati del mondo. (Ermes Ronchi) 

TERZA DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA C

DOVE STA IL RISORTO? 

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 21,1-19

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

Una porzione di pesce arrostito è la possibilità per i discepoli di riconoscere – nuovamente – il Signore Gesù, perchè, prima di tutte le belle parole, le ispirazioni, i riferimenti trascendentali e le indicazioni di cammino, il Signore Gesù vuole NUTRIRE le nostre vite. Ci prepara da mangiare. E il Signore fa sempre così: il suo “volto” è sempre “in altro”, non si manifesta mai in se stesso e non si fa mai addirittura amare in se stesso, è una logica teologica un po’ illogica. Perchè per vedere il volto di Dio devo vedere il volto di Gesù, per vedere il volto di Gesù devo vedere il volto dei fratelli, e per vedere il volto dei fratelli, che contiene e manifesta il volto di Gesù, devo guardare la storia e accorgermi del mondo in cui vivo ispirato dalla sua parola che getta luce sensata e di salvezza sulla nostra umanità, punto di arrivo di ogni sequela. 

Ogni volta siamo chiamati, come i discepoli, sta anche noi a riconoscere questo fatto. Perchè non basta neanche avere visto il Risorto in persona, la scena del vangelo avviene dopo che Pietro e i suoi amici si erano già  incontrati con il Maestro dopo la sua morte, ma, nonostante tutto decidono di “tornare a pescare”. Come dire: si torna a fare come prima, quell’incontro con Lui non ci ha cambiati, la vita è sempre la stessa … Soltanto l’ascolto di quell’ordine di “gettare la rete dall’altra parte” è la possibilità per riconoscere la voce del Risorto, che non si manifesta nello stare fisico sulla riva, ma nell’accoglienza di questo nuovo invito alla vita (trovare cibo per vivere) e a cambiare orizzonti e lanci. La fiducia in quel comando diventa rivelazione del volto risorto, non tanto e solo di Gesù, ma di chi ha seguito quell’indicazione. Credere per vedere. Messaggio anche per noi, da ricordare.  

Nessuno gli chiedeva, infine,  chi fosse perchè “sapevano bene che era il Signore”. Per essersi fidati di Lui e non per averlo visto! Quante volte sappiamo che cosa ci chiederebbe il Signore, ma passiamo la cosa “sotto silenzio”, meglio non coinvolgersi troppo ci dice la testa, anche se sappiamo che la vita e la storia sono infruttuosi. Ma il Risorto è tale perchè ci risorge, non dobbiamo dimenticarlo. 

VEGLIA DI PREGHIERA PER PAPA FRANCESCO

MARTEDÍ 22 APRILE ALLE ORE 21,00, nella Parrocchia del Divin Maestro, faremo  una Veglia di preghiera in suffragio e memoria del nostro caro Francesco. Un momento per dire grazie al Signore e a lui della la sua presenza tra noi, per ricordare il suo messaggio e per chiedere il dono dello Spirito Santo sulla nostra Chiesa, illuminata dai suoi gesti profetici e dalla sua umanità.

DOMENICA DELLE PALME

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo  Luca
Lc 23,1-49

– Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna
In quel tempo, tutta l’assemblea si alzò; condussero Gesù da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re». Pilato allora lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna». Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se quell’uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l’autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.

– Erode con i suoi soldati insulta Gesù
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.

– Pilato abbandona Gesù alla loro volontà
Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.

– Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me
Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».

Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.

– Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.

– Costui è il re dei Giudei
Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

– Oggi con me sarai nel paradiso
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

– Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito
Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.

Qui ci si genuflette e si fa una breve pausa.

Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.

LA PREGHIERA DI DOMANDA

Riporto il testo dell’incontro avuto e fornito da don Paolo Taccani sul tema della PREGHIERA DI DOMANDA

 

LA PREGHIERA DI DOMANDA NEL BISOGNO

PARROCCHIA DIVIN MAESTRO, Alba, 6 aprile 2025

In questo incontro, più che parlare in modo teorico della preghiera nel bisogno, la vedremo incarnata in quattro personaggi: due uomini dell’antico Testamento e due donne del Vangelo, rispettando così la par condicio nei generi. Questi personaggi ci aiuteranno a sentirci in buona compagnia quando facciamo questo tipo di preghiera. E ci aiuteranno anche a sentire Dio più vicino a noi.

ANTICO TESTAMENTO

  1. Salomone (1Re 3,5-13): “5 In Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte e gli disse: «Chiedimi ciò che io devo concederti». 6 Salomone disse: «Tu hai trattato il tuo servo Davide mio padre con grande benevolenza, perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto verso di te. Tu gli hai conservato questa grande benevolenza e gli hai dato un figlio che sedesse sul suo trono, come avviene oggi. 7 Ora, Signore mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide mio padre. Ebbene io sono un ragazzo; non so come regolarmi. 8 Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che ti sei scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare né contare. 9 Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?». 10 Al Signore piacque che Salomone avesse domandato la saggezza nel governare. 11 Dio gli disse: «Perché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te né una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento per ascoltare le cause, 12 ecco faccio come tu hai detto. Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente: come te non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te. 13 Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria come nessun re ebbe mai“.

Il primo personaggio è il re Salomone, figlio del re Davide. All’inizio del suo incarico di re, Salomone ha un sogno in cui gli appare Dio stesso che gli dice: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda” (1Re 3,5). Ecco cosa ha risposto Salomone al Signore in quel sogno: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (v. 9). Salomone riconosce che il popolo non è suo ma del Signore e a Dio chiede un cuore docile a lui e la capacità di discernere il bene dal male. Il Signore si compiace di quella richiesta e gliela concede. “Poiché hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco io faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente. Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria, come a nessun altro fra i re, per tutta la tua vita” (vv. 11-13).

Da Salomone possiamo imparare a formulare la nostra preghiera nel bisogno in modo adeguato. Possiamo chiedere al Signore ciò che ci soddisfa a livello immediato oppure guardare un po’ più in là e chiedere ciò che veramente è importante per la nostra vita. Ad una richiesta del genere il Signore solitamente non solo risponde concedendola, ma aggiunge anche il sovrappiù. Certo con i suoi tempi, che a volta non coincidono con i nostri, ma risponde.

  1. Il salmista del Salmo 43(44)

    Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito,
    i nostri padri ci hanno raccontato
    l’opera che hai compiuto ai loro giorni,
    nei tempi antichi.
    Tu per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti,
    per far loro posto, hai distrutto i popoli.
    Poiché non con la spada conquistarono la terra,
    né fu il loro braccio a salvarli;
    ma il tuo braccio e la tua destra
    e la luce del tuo volto,
    perché tu li amavi.

    Sei tu il mio re, Dio mio,
    che decidi vittorie per Giacobbe.
    Per te abbiamo respinto i nostri avversari
    nel tuo nome abbiamo annientato i nostri aggressori.

    Infatti nel mio arco non ho confidato
    e non la mia spada mi ha salvato,
    ma tu ci hai salvati dai nostri avversari,
    hai confuso i nostri nemici.
    In Dio ci gloriamo ogni giorno,
    celebrando senza fine il tuo nome.

    10 Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna,
    e più non esci con le nostre schiere.
    11 Ci hai fatti fuggire di fronte agli avversari
    e i nostri nemici ci hanno spogliati.
    12 Ci hai consegnati come pecore da macello,
    ci hai dispersi in mezzo alle nazioni.
    13 Hai venduto il tuo popolo per niente,
    sul loro prezzo non hai guadagnato.
    14 Ci hai resi ludibrio dei nostri vicini,
    scherno e obbrobrio a chi ci sta intorno.
    15 Ci hai resi la favola dei popoli,
    su di noi le nazioni scuotono il capo.
    16 L’infamia mi sta sempre davanti
    e la vergogna copre il mio volto
    17 per la voce di chi insulta e bestemmia,
    davanti al nemico che brama vendetta.

    18 Tutto questo ci è accaduto
    e non ti avevamo dimenticato,
    non avevamo tradito la tua alleanza.
    19 Non si era volto indietro il nostro cuore,
    i nostri passi non avevano lasciato il tuo sentiero;
    20 ma tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli
    e ci hai avvolti di ombre tenebrose.
    21 Se avessimo dimenticato il nome del nostro Dio
    e teso le mani verso un dio straniero,
    22 forse che Dio non lo avrebbe scoperto,
    lui che conosce i segreti del cuore?
    23 Per te ogni giorno siamo messi a morte,
    stimati come pecore da macello.

    24 Svègliati, perché dormi, Signore?
    Dèstati, non ci respingere per sempre.
    25 Perché nascondi il tuo volto,
    dimentichi la nostra miseria e oppressione?

    26 Poiché siamo prostrati nella polvere,
    il nostro corpo è steso a terra.
    Sorgi, vieni in nostro aiuto;
    27 salvaci per la tua misericordia.”

Qui ad esprimere una preghiera nel bisogno non è solo una persona ma un gruppo di persone, addirittura tutto il popolo, tanto che il titolo del salmo è “Lamento nazionale”. Questa preghiera è interessante perché esprime il sentimento di chi non ha nulla da rimproverarsi, eppure non sta ottenendo l’aiuto sperato. È la preghiera-lamento che abbiamo sentito molte volte da persone colpite da una malattia improvvisa e chiedono a Dio: “Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”. Di fronte a situazioni che toccano la persona nella sua carne, non stiamo tanto a discutere o tanto meno a contraddire, dicendo: “Perché dici questo? Non è Dio che ti manda il male…”. Sono persone da accogliere e a cui stare vicino senza tante parole.

Ma veniamo al lamento del salmo 43. Il popolo si rivolge a Dio rinfacciandogli di non essere stato al suo fianco in battaglia. “Tu ci hai fatto fuggire di fronte agli avversari e quelli che ci odiano ci hanno depredato” (v.11). E poi la dichiarazione di innocenza del popolo. “Tutto questo ci è accaduto e non ti avevamo dimenticato, non avevamo rinnegato la tua alleanza” (v. 18). E poi c’è quello che secondo me è il vertice del salmo: “Svegliati! Perché dormi, Signore? Déstati, non respingerci per sempre! Salvaci per la tua misericordia!” (vv. 24.27). Qui il popolo in preghiera arriva ad essere quasi insolente verso Dio, accusandolo di essere addormentato e di non prendersi cura di lui.

È un grande insegnamento per la nostra preghiera nel bisogno. Il Signore vuole la sincerità da noi: se siamo in un momento di prova, non si aspetta da noi una preghiera infiocchettata ed educata. Impariamo anche noi ad osare con Dio, a rischio di sembrare maleducati. Se siamo con l’acqua alla gola, è meglio una preghiera che prende quasi Dio per il collo rispetto alla preghiera devozionale di chi accetta tutto come proveniente da Dio.

NUOVO TESTAMENTO

Veniamo adesso al vangelo e lasciamoci educare anche qui da due personaggi, in particolare da due donne.

  1. La vedova importuna (Lc 18,1-8) 1 Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: 2 «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; 3 e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: “Rendimi giustizia sul mio avversario”. 4 Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: “Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, 5 pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa”». 6 Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. 7 Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? 8 Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?

La parabola del giudice iniquo e della vedova importuna è paradossale se pensiamo che quella vedova rappresenti noi e il giudice impersoni Dio. Un Dio che non teme Dio e che non ha riguardo per alcuno non è proprio il Padre che ci ha rivelato Gesù… Ma Gesù con questa parabola ci dice che anche nei rapporti umani si ottengono delle cose importanti se si ha la costanza di chiedere e di insistere nel chiedere. Tanto più nel nostro rapporto con Dio. Il giudice della parabola è convinto a muoversi dall’invadenza della vedova, che arriva a dargli fastidio. Tanto più Dio, ci dice Gesù, non resta indifferente di fronte alla preghiera costante dei suoi figli, che gridano giorno e notte verso di lui.

Ma resta comunque lo scandalo di tante preghiere apparentemente non ascoltate ancora oggi:

  • Pensiamo a tanti genitori che pregano per la guarigione di un figlio ma non la ottengono…
  • Pensiamo a tante donne che pregano per la fine della guerra e per il ritorno dei loro mariti o fidanzati o figli e invece la guerra va avanti…
  • Come comunità, ci troviamo spesso scoraggiati pregando per la guarigione di una nostra sorella malata di tumore alla testa e sembra che non ci siano risultati…

Ma una preghiera non esaudita non è una preghiera non ascoltata e tanto meno è una preghiera perduta! Gesù ci chiede di mantenere viva la fede, il nostro rapporto personale con lui. È questo rapporto che ci fa stare in piedi anche quando tutto intorno a noi sembra crollare. Di fronte alle prove che sembrano superarci, Gesù è presente e possiamo immaginare che ci dica: “Io sono qui, accanto a te, tu non dubitare! Con me accanto potrai attraversare anche le prove più tremende della vita ma non ti schiacceranno”. Per questo, alla conclusione della parabola del giudice e della vedova, Gesù fa quella domanda molto seria: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Pensiamo a questa domanda come rivolta a ciascuno di noi personalmente e chiediamoci: “Se Gesù venisse oggi, troverebbe in me una fede viva?”.

  1. La donna cananea (Mt 15,21-28)

    21 Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22 Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». 23 Ma egli non le rivolse neppure una parola.
    Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». 24 Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». 25 Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». 26 Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». 27 «È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28 Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Il tema della fede è ben presente nell’ultimo personaggio che ci accompagna in questo cammino sulla preghiera nel bisogno. È la donna cananea di cui ci parlano i vangeli di Matteo e Marco. Ho scelto la versione di Matteo perché emerge bene in questa pagina il coraggio di questa donna. Di fronte alle risposte negative di Gesù alle sue domande di guarigione della figlia, questa donna non si scoraggia e arriva a quell’ultima parola che commuove il cuore di Gesù: “I cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei padroni”, cioè. “Non ti chiedo di essere trattata come una figlia di Israele, ma dammi solo qualche briciola e questa mi basterà per guarire mia figlia”. E conosciamo la risposta di Gesù: Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri” (Mt 15,28).

Volendo riassumere alcuni elementi che abbiamo visto nelle pagine delle Bibbia che ci hanno guidato, direi che la preghiera nel bisogno ha queste caratteristiche:

  • Il legame con la vita. È una preghiera che parte dalla vita ed è orientata alla vita. Quando si è nel bisogno, è più difficile che ci si perda in preghiere devozionali del tipo “Ti adoro, mio Dio”. O meglio, si può esprimere l’amore al Signore ma poi è importante toccare la nostra vita.
  • La concretezza. In questo legame con la vita, i personaggi che abbiamo visto ci insegnano ad essere concreti, a non esprimere richieste generiche. Il nostro padre Andrea ci insegnava ad andare al centro dei nostri bisogni e ad esprimerli con chiarezza al Signore. “Se hai il cancro, chiedi di essere guarito dal cancro e non perderti in cose secondarie…”.
  • La fiducia che si fa insistenza. In questo le due donne del vangelo che abbiamo incontrato sono delle vere maestre. Sanno che la loro richiesta può essere esaudita e osano, chiedono con insistenza fino ad ottenere. Il tema della fiducia o della fede sembra essere centrale anche per Gesù, che appunto conclude la parabola della vedova importuna con quella domanda: “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.