TREDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

FEDE TATTILE 

Dal Vangelo secondo Marco 

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

L’altro giorno un amico mi raccontava di essere stato derubato nella metropolitana di Madrid. C’era un mucchio di gente. Lui non se n’è manco accorto. Eppure qualcuno ha infilato le mani nel suo borsello, il borsello era a tracolla, ma niente! Abilità, magia! Invece Gesù SI ACCORGE! Si accorge che nonostante la ressa della folla, qualcuno ha toccato le sue vesti, il suo mantello! Com’è possibile? Perchè UNA FORZA ERA USCITA DA LUI … Ma perchè questo? Perchè era un tocco fatto con fede, e cosa significa “toccare con fede”? Significa SAPERE DI ESSERE SALVATI, esserne certi, e camminare nella speranza aperta da questo affidamento. “La tua fede ti ha salvata!” dice Gesù a questa donna che guarisce a partire da questo pensiero. E il suo pensiero diventa possibilità di accoglienza totale della potenza di Dio che si manifesta nel figlio. Ora, il Vangelo ci dice che É così; con questo non dico che sia facile, anzi … anche noi, sempre pronti a spintonare Gesù a destra o sinistra, oppure desiderosi di qualcosa che non coinvolga lo spazio della nostra totale disponibilità a essere salvati, ma a trattare Gesù come un feticcio, siamo chiamati a metterci davanti a Lui con lo spirito che si fida, come quello della donna emorroissa. Insomma, va bene per lei, va bene per Giairo, va bene per me e per te, anche se questo non è tutto. Perchè poi la prova della morte, anche dopo tutte le prove superate arriva di nuovo. Arriva, bussa, e chiede cosa sono disposto a credere e a vivere in quel momento … “se anche solo toccassi il mantello”? Oppure “è morta … non disturbare … lo deridevano”. Prese di posizione che sovvertono totalmente l’esito del gioco. 

Forse siamo chiamati ad esercitare maggiormente questa speranza a partire dallo spazio della nostra quotidianità, che diventa lo spazio della nostra personale risposta al Vangelo. Tutto insegna e tutto interpella, e il problema è chiederci con che spirito ci facciamo incontrare e con che spirito vogliamo vivere. Ieri leggevo una vignetta un po’ macabra, ma vera, a proposito del bracciante che raccoglieva i pomodori e, ferito, è stato abbandonato davanti alla porta di casa sua: “dov’è finita la nostra compassione per il bracciante?”. Come  risposta, un barattolo di passata di pomodoro. Proprio così, la risposta è: “passata”. Perchè il problema è questo: sappiamo, ci indigniamo, vorremmo, ma non sempre siamo disposti a fare azioni che vanno OLTRE noi stessi, perchè fondate su un Dio che ci conosce e viventi di una certezza consapevole che i nostri gesti vanno pensati per essere i più ampli possibili: allora diventiamo cittadini nuovi che cambiano un mondo con esercizi concreti di resurrezione e vitalizzazione: anzitutto quello del cuore e dei pensieri, e poi della terra affidata alle nostre mani. 

In che cosa devo essere raggiunto dalla Parola di Gesù, in questa settimana: “non temere, soltanto abbi fede”? 

DODICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

RIPOSO? 

Dal Vangelo secondo Marco

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Il Vangelo di oggi è un po’ imbarazzante. In queste sere e in questi passaggi all’altra riva, che capitano sui cigli dell’esistenza di ognuno di noi, arrivano sempre queste tempeste; pensare a Gesù che dorme sulla poppa della barca è una bella immagine, ma non cambia molto i nostri percorsi. Anzi, sembra addirittura esagerata. Irritante.

Eppure mi sembra una sfida. 

Paolo nella seconda Lettura dice: “se uno è in Cristo è una creatura nuova”. Ma cosa significa “essere in Cristo”? Come facciamo a realizzare il pensiero scritto ai Corinti: “le cose di prima sono passate, ecco, ne sono nate di nuove” ? … Si tratta semplicemente di cose che passano o di rimetterci a pensarle da un NUOVO punto di vista che non è il nostro? Ma perchè tutta questa fatica? É più importante CIÓ che crediamo o il nostro crederLO? Non potrebbe essere tutto immediato e evidente? Ma poi, le cose immediate ed evidenti, in tutto il loro impatto sconvolgente e fastidioso, riescono veramente  a cambiarci e a fare passare le cose di prima  per crearne di nuove? Dalla storia non impariamo mai niente. Il mondo sta diventando un covo di freddezza e disamore. La compassione totalmente bandita. Come si può abbandonare un uomo, che ha un incidente sul lavoro, davanti a casa sua, con il suo braccio nella cassetta, gettato come spazzatura e roba di nessun conto? 

Forse Gesù ci insegna l’unica cosa importante: per vincere la paura bisogna ricominciare a credere in un’altra salvezza e in un altro senso possibile per la vita. E sprofondarci dentro, a dispetto di tutti i marosi. 

Di questo abbiamo anche meditato questa settimana con gli animatori di Estate Ragazzi. A partire da un testo che si intitola LA VERITA’ di Brunori Sas. Il cantautore scrive: tu parti per scalare le montagne e poi ti fermi al primo Ristorante, disegni tutto il giorno delle barchette in mezzo al mare e non ti butti mai. Non ti ricordi che il dolore serve come la felicità. E conclude con amarezza: LA VERITÁ É CHE NON VUOI CAMBIARE. 

Non è che forse l’unico antidoto in grado di ridare stabilità in mezzo alla tempesta, e un cuscino per potere appoggiare di nuovo la testa in mezzo alle onde, consiste in questa possibilità? Accogliere l’offerta di un senso della vita diversa, non come una cosa da mettere in tasca, ma come un orizzonte in grado di cambiare anzitutto noi che lo facciamo nostro,  credendoci al punto di non spostarci neanche di un millimetro tra le braccia di queste nuove aperture e novità. 

Scrive sul suo profilo Facebook, Enrico Avveduto: “Sempre più difficile rintracciare ciò che rimane dell’umano. Ci siamo smarriti In un deserto affollato di reciproca indifferenza.Non ci sono comunità, ci sono aziende, non ci  sono uomini, ci sono solo strumenti: Il nostro DNA è solo un codice iban. In un oceano di cifre manca l’Uomo, è sommerso, è un’anticaglia che nessuno vuole riportare a galla. Abbiamo istituzionalizzato e reso virtù la cecità verso l’altro. Abbiamo scelto Caino come leader, come guida, come capo del villaggio globale, come dio. Abbiamo scelto l’Economia”. Mi sembra che abbia ragione. 

Che il riposare di Gesù in mezzo alla tempesta nelle braccia del Padre, che vince la paura e alimenta il credere in un mondo nuovo e diverso, possa suscitare desiderio di novità, azioni concrete e vita nuova per tutti.  

UNDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

PICCOLO SEME … GRANDE ALBERO! LO SGUARDO PROFETICO

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Quante volte non troviamo le parole adatte per dire Dio!

E Gesù ci risponde con le parabole.

Lo fa con parole laiche, di casa, di orto, di lago, di strada, per raccontarci storie di vita.

Il vangelo di Marco riassume il suo insegnamento con immagini di contadini che si affaticano nell’arte di far nascere, fiorire, fruttificare.

Il contadino nel vangelo è l’anello mancante tra l’uomo e Dio, dove le parabole non sono solo semplici pretesti per insegnare teologia e morale.

Un albero, le foglioline del fico, il granello di senape diventano una continua rivelazione del divino (Laudato si’), una sillaba del suo messaggio.

Le cose del mondo non sono sante perché ricevono l’acqua benedetta, ma sono degne di riceverla perché già benedette, santificate, e noi camminiamo in mezzo a loro come dentro un santuario.

Ezechiele aveva parlato della tenerezza di un Dio giardiniere che pianta un cedro del Libano. Gesù va oltre: parla di un semino di senape con una novità tutta sua: sceglie una pianta mai nominata nel Primo Testamento, nonostante fosse di uso comune.

Gesù sceglie l’economia della piccolezza: mette la senape al posto del cedro del Libano; l’orto al posto del monte; parlerà di Dio con l’immagine di una chioccia con i suoi pulcini: è il linguaggio teologico portato al registro più umile, a sovvertire le gerarchie.

Gli ascoltatori di Gesù saranno rimasti sconvolti all’idea che il Regno di Dio ha inizi così piccoli, ma Gesù si concentra sulla crescita dal minuscolo al grande, dai più piccoli germogli, alla maturazione in pienezza.

Le sue parole contengono anche un appello alla meraviglia: il Regno diventa un mistero davanti al quale stupirsi.

Prendere sul serio l’economia della piccolezza ci fa guardare il mondo in un altro modo. Ci fa cercare i re di domani tra gli scartati di oggi, ci fa prendere sul serio i giovani e i bambini, e trovare meriti là dove l’economia della grandezza vede solo demeriti.

Il vangelo della terra di Gesù sovverte le norme, perché le leggi che reggono il venire del Regno di Dio e quelle che alimentano la vita naturale sono in fondo le stesse.

Spirito e realtà si abbracciano. 

Il terreno produce da sé, per energia e armonia proprie: è nella natura della natura essere dono e crescita. È nella natura di Dio essere eccedenza gratuita. E anche in quella dell’uomo.

Dio agisce in modo positivo, fiducioso, solare; e non per sottrazione, ma sempre per addizione, per aggiunta e incremento, con incrollabile fiducia nei germogli.

Dalle sue parabole sboccia una visione profetica del mondo: la nostra storia è tutto un seminare, germinare, spuntare, accestire, maturare: tutto è fiducia incamminata. (Ermes Ronchi) 

FESTA DEL CAM DI FINE ANNO

 

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Venerdì 7 giugno abbiamo concluso il doposcuola con una bellissima festa dove hanno partecipato i bambini con le proprie famiglie, tutti gli operatori e i volontari che in questo anno si sono impegnati tantissimo, creando un gruppo affiatato. È stato un bel momento di allegria con balli, canti, giochi e condivisione dove i genitori hanno portato piatti della loro provenienza. Grazie a tutti, ci rivediamo a settembre. Buone vacanze.

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METTI UNA DOMENICA AL SERMIG … Pensieri sulla gita a Torino

 

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La vita è sempre costellata di nuovi incroci che esigono una scelta rinnovata della direzione per la quale proseguire il nostro viaggio personale e comunitario 

Ieri mattina mi sono imbattuto in questa frase di Fratel Semeraro, sembrava la modalità più precisa per mettere insieme le idee e le sensazioni vissute il giorno prima a Torino. E ho capito che le cose stanno proprio così. 

Domenica 9 giugno alle 10,30 abbiamo concluso l’anno catechistico in Chiesa, con le famiglie. Subito dopo le Messa, una sessantina di noi è partita per Torino, genitori e figli, per fare una visita molto significativa al SERMIG, l’Arsenale della Pace, fondato da Ernesto Olivero, e animato da un migliaio (si, non è un errore di battitura) di persone che quotidianamente donano le loro risorse, competenze e tempo per costruire un sogno condiviso e creduto a servizio della pace nel mondo, che inizia nel quartiere e non in altri continenti. 

Sarebbero tantissime le cose da dire, infinite. Bisogna andarci per capire. 

Siamo stati accolti da Nicole e Maria Chiara, ragazze normali come tutte quelle che incontri lungo la strada, che non sono semplicemente “volontarie”, ma hanno deciso di donare la propria vita totalmente alle persone più bisognose, in una fraternità della speranza. Forse non sono così “nella norma”, ma quanta carica vitale e passione ci hanno comunicato il loro credere a quello che fanno!? 

Ringraziando il Signore che non smette di accompagnarci, e le famiglie che credono ancora nell’importanza di accompagnare i propri figli a Lui (“Lasciate che i bambini vengano a me”) dò la parola, scritta, a commenti e pensieri in libertà che possono lasciare tracce di riflessione in tutti noi, convinti che ognuno di noi può “migliorare il proprio metro quadrato” mettendo assieme il tempo e condividendo le proprie competenze con spirito grato di “restituzione” per tutti i grandi doni ricevuti. (dL) 

Siamo rimasti colpiti da questa enorme costruzione che da fabbrica di morte è diventata fabbrica di vita.

Ma non è un luogo che puoi visitare come fai con un museo: quando esci non puoi non chiederti: “E io cosa posso fare?”

 Parola d’ordine: “RESTITUZIONE”

Se ci fermiamo a pensare, ci rendiamo conto che la vita ci fa ogni giorno dei doni, il miglior modo per esserle grati è donare a nostra volta: donare il nostro tempo, donare le nostre abilità…i modi sono infiniti, basta guardarsi intorno!

Abbiamo imparato che non importa quanto sei piccolo e se pensi di non avere molto da dare: ognuno di noi è unico e ha qualcosa di unico da donare.

Splendida esperienza che porteremo nel cuore. (Leo Della Rovere) 

Buongiorno,  la visita al Sermig ci fa capire che il mondo non è tutto marcio, qualcuno che fa del bene c’è,  esiste e se ognuno di noi nel nostro piccolo fa qualcosa, cambierebbe tanto.

Ringrazio Don Luigi e le catechiste per aver organizzato questa bellissima giornata in questo luogo magico.

Ho avuto la possibilità di conoscere una realtà bellissima che mi ha ricordato quanto sia prezioso l’aiuto nei confronti dei bisognosi.

Mi sono profondamente commosso ascoltando la frase pronunciata dal presidente Mattarella in occasione della sua visita al SERMIG: ” NON DIMENTICHIAMOCI MAI DI INDOSSARE LE SCARPE DEGLI ALTRI”

È proprio quello che cercherò di fare, sempre, e nei confronti di chiunque.

(Andrea Danusso, Seconda media) 

Per noi è stato emozionante “tornare” al Sermig con i nostri figli e con un bel gruppo della nostra parrocchia. È un luogo che ci ha sempre colpiti, un luogo dove ci percepisce la grande forza dei sogni che si fanno realtà.

Ci auguriamo che questa bella esperienza condivisa ci renda capaci di gesti semplici e coraggiosi che possono dare nuova vita alla  comunità di cui siamo parte. (Fam. Fenocchio) 

La visita al Sermig non è stata la prima, in quanto già nel 2011, come fine del nostro corso prematrimoniale avevamo avuto questa bella occasione.

Oggi, ritornarci con la nostra famiglia è stata un’ esperienza bella e completa.

Abbiamo dato la possibilità ai nostri figli di vedere con i loro occhi il bello dell’accoglienza verso chi ne ha bisogno. (Fam. Sterpone) 

La cosa che mi ha colpita di più sono le persone che hanno scelto di vivere all’arsenale che per noi può sembrare una cosa quasi impossibile, ma loro sembrano essere ancora più felici di noi. (Giulia Da Castello) 

Sono stata contenta anch’io di essere venuta,  è  davvero un luogo di pace, mi ha fatto star bene e capire che il bene esiste e che se ognuno di noi nel nostro piccolo fa

qualcosa, cambierebbe tutto . Grazie

Quanti colori, poesia e speranza! Ho colto tanta essenzialità nell’ambiente e una serenità speciale nelle persone che ci hanno accompagnati. Il Sermig è la testimonianza che, abbandonandoci a Dio, possiamo andare ben oltre i nostri sogni. Ora tocca a noi farlo, e fare fruttificare l’esperienza di ieri nel nostro metro quadrato!

LA MIA GITA ALL’ARSENALE DELLA PACE. Ieri, domenica 9 giugno, ho partecipato alla gita di fine anno catechistico organizzata dalla Parrocchia. Dopo la Messa siamo partiti con il Pullman e siamo andati a Torino per visitare l’Arsenale della Pace. Ad accoglierci c’era Nicole, che ci ha raccontato la storia dell’Arsenale di guerra che oggi è diventato un Arsenale di Pace che accoglie i bisognosi, grazie all’impegno di Ernesto Olivero e di sua moglie Maria. 

Nicole per spiegarci che cosa fanno al Sermig ci ha portati a visitare: il centro medico, il dormitorio e la mensa, i laboratori di musica, quelli artistici, le aule di scuola di italiano, le sale ricreative per accogliere i bimbi nel dopo scuola, il campo sportivo, la sala della Pace, la cappella dell’Adorazione e la Chiesa grande per le funzioni della Domenica. Abbiamo poi visto un video che raccontava delle missioni e dei tre arsenali: quello della pace a Torino, quello dell’incontro in Arabia a Madaba e quello della Speranza in Brasile a São Paolo. Ho capito che intorno a un posto così accogliente c’è l’impegno di tante persone che dedicano il loro tempo libero ad aiutare altre persone  in difficoltà e questo il senso del vivere in una comunità. 

FESTA DEL CORPUS DOMINI

Processioni nella storia

 

Il primo giorno degli àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro
un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete,
questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

 

Domenica prossima, giorno del Corpus Domini, celebriamo la festa della concretezza di Dio, che usa il corpo del Figlio per cancellare definitivamente quella lontananza inavvicinabile, agli occhi dei più, di un Dio che anziché regnare dall’alto di un cielo lontano, si immerge in profondità nella carne e si manifesta a partire dall’opera del soffio del suo Spirito, che ha dato vita a noi, AdamiedEve  creati “a sua immagine”. Non si dà Dio senza tocco, senza visione, senza profumo di differenze e gusto per la giustizia. 

Figli di Dio. Di un Creatore. Emanazione vivente del Suo Spirito. 

Ci sono tre riferimenti che ci permettono di apprezzare in modo ancora più profondo il dono di Dio come cibo per il nostro cammino fatto di pane spezzato e vino condiviso. 

  1. Seguire l’uomo con la brocca d’acqua. Scrive un caro amico, prete che ricerca in modo appassionato il senso di ogni fibra della Buona Notizia e cerca di viverla: “Signore vorrei imparare a seguire solo portatori di brocche d’acqua, il tempo finalmente si è fatto breve, sono sfinito dalle parole che non dissetano, dalle istituzioni che non battezzano nella Verità, dei discorsi che non portano da nessuna parte. Non voglio più aver tempo per nulla che non sia un itinerario da seguire per franare finalmente in te. Non so quanto tempo mi sia rimasto (ma forse non è questione di quantità) vorrei solo poter passare al setaccio ogni esperienza e trattenere ciò che mi porta in te”. All’inizio del desiderio di fare comunione con ognuno di noi, da parte di Gesù, c’è il desiderio di alluvionare i nostri deserti e finalmente fare fiorire la sabbia del vuoto e della vanità. 
  1. Questo è il mio corpo! Il dono testamentario di Gesù a OGNUNO dei suoi Figli che desiderano, e lo accolgono come Padre e Sorgente di vita è il dono del corpo del Figlio … Ora, non ha senso che un padre doni un figlio, perchè noi possiamo essere doni solo di noi stessi; tuttavia il gesto dell’offerta di sè avviene in Gesù in una dinamica e una modalità che sempre caratterizza e definisce la sua vita: Lui e il Padre sono una cosa sola, e allora, il Padre che dona il Figlio, diventa in realtà, donando se stesso, il Figlio che dona il Padre e per farlo non usa delle tecniche retoriche, ma lievito, grano, vita e realtà. “Questo è il mio corpo!”.  E io che mi nutro di questo corpo, cosa ne faccio del mio? Proprio stamattina ricevo un messaggio che mi fa tanto pensare positivamente: “La festa del Corpo di Dio mi fa tremare le gambe a pensare che chi vede me dovrebbe vedere una persona che mette in pratica almeno una parte degli insegnanti del Signore. Mi dovrei avvicinare ai bisognosi, agli affamati e agli assetati, ai bisognosi, agli stranieri”. Per me, discepolo di Gesù, cosa significa QUESTO É IL MIO CORPO davanti alla realtà? Il mio corpo di Luigi, di Anselme, di Fulvio, di Pina, di Giovanna, di Rigoberta? I nostri corpi sono il nuovo mondo.  I nostri corpi che possono scegliere … 
  1. Versato per molti. Ah, non per tutti? Certo, per tutti! Ma il tutto e i tutti diventano concretezza e realtà nel qualcuno che “se ne fa qualcosa”. Per cui Gesù lo sapeva, non tutti avrebbero accolto il Suo messaggio di vita,  evoluzione e trasformazione. Altrimenti, il TG dovrebbe essere diverso. Come ci chiedevamo domenica scorsa: che cosa ce ne facciamo delle nostre preghiere, dei vangeli che ascoltiamo, delle Pasque che celebriamo? Che rivoluzioni copernicane innestano nei nostri pensieri e nei nostri cammini? Possibile che basti un NULLA per toglierci la voglia di sperare, di amare e di credere in possibilità inedite e apparentemente impossibili? 

Fa, o Signore, che il tuo corpo sia per noi la festosa progettazione di possibilità infinite di rinnovamento, della Tua presenza in noi, del nostro essere sempre più noi stessi e del diventare spazio di amore e alternativa nel mezzo di questa malattia del nulla che sta ammorbando la nostra terra.