PICCOLO LESSICO DEL TRIDUO PASQUALE (-45)

SABATO SANTO 

Oggi il mio augurio sul Sabato santo  parte da un’intervista fatta a padre Ermes Ronchi, due anni fa, su un giornale di informazione religiosa. Molto interessante, sintetizzo e modifico lievemente in alcuni tratti. 

Il SABATO SANTO è  il tempo del grande silenzio, del seme nella terra; è il tempo della serietà della morte, dell’attraversamento, della pazienza e dell’attesa.

Il Sabato santo, io mi immagino seduto di fronte al sepolcro a pormi la prima grande domanda di Gesù, ad ascoltarlo mentre mi chiede, come ai primi due discepoli: ma tu che cosa cerchi?

Chiediamoci che cosa realmente cerchiamo: è questa la domanda fondamentale. Qual è la cosa che desidero di più nella vita, nelle relazioni, nella fede, nella politica? Per me il Sabato santo è il tempo del desiderio. Davanti alla tomba e alla serietà della morte io mi chiedo che cosa desidero per me, per la mia vita e per il mondo: è da lì che si muove tutto.

Desiderio deriva da de-sidera, ha a che fare con le stelle. Esprime in qualche modo l’assenza, la nostalgia e la spinta verso le stelle…

Ha a che fare con le stelle e con l’attesa. Nel “De bello gallico”, Giulio Cesare narra che i desiderantes erano quei soldati romani che dopo la battaglia si arrestavano sulla soglia dell’accampamento per aspettare il compagno, forse ferito, che non era ancora tornato. I desiderantes attendono l’amico come noi attendiamo l’Amico, Gesù. Il desiderio è mancanza, ma al tempo stesso forza che mi sospinge oltre me stesso, verso l’Altro e gli altri. Del resto

la nostra vita avanza per potenza di desideri, non per obblighi o costrizioni.

Il Sabato santo è il momento in cui si è subito un trauma: muore il Signore, la speranza. 

Trauma viene dal greco e contiene l’idea di ferita, trafittura, di qualcosa che come una punta di freccia attraversa dolorosamente e va oltre affinché la ferita diventi feritoia per far passare la luce. Quante volte si rompe anche per noi l’anfora che noi pensavamo contenesse tutta la nostra vita. Un’anfora che non sarà ricostruita come prima perché il Signore disporrà quei cocci, che a noi sembrano inutili, in una forma nuova. Ne farà un canale affinché l’acqua non sia più trattenuta, ma sia libera di scorrere verso la sete di altri. Del resto la specialità di Dio è lavorare con i cocci rotti e trasformarli.

Dio, appunto. Nel silenzio e nell’attesa del Sabato santo, dov’è?

La sostanza di Dio è la sua comunione con noi. E’ dentro di noi e dall’interno ci illumina, riscalda e sospinge. Oggi non si celebra alcuna liturgia. In queste settimane di tempo liturgico “forte” sono mancate e continuano a non esserci celebrazioni pubbliche nelle chiese, ma c’è il mondo, e il mondo è la prima lettera di Dio scritta a noi; è la prima pagina della Bibbia e viene prima della parola scritta. E Dio è nel mondo.

Il dramma della passione e della morte oggi è ancora più reale; così il senso di attesa in noi. Un’attesa piena di speranza, oggi più che mai, nella resurrezione di una Pasqua senza liturgie pubbliche…

Nella solitudine del deserto degli Ordos, Pierre Teilhard de Chardin nel 1923 scriveva: “Poiché ancora una volta, o Signore, non più nelle foreste dell’Aisne ma nelle steppe dell’Asia, sono senza pane, senza vino, senza altare, mi eleverò al di sopra dei simboli sino alla pura maestà del reale; e Ti offrirò, io, Tuo sacerdote, sull’altare della terra totale, il lavoro e la pena del mondo”.

Questo è liturgia: salire sulle vette delle fatiche, delle miserie e delle speranze dell’umanità, metterle sull’altare, e in forza del sacerdozio invocare sulla carne dell’uomo che si prepara a rinascere il fuoco dello spirito di Dio.