PENTECOSTE – C

Dagli Atti degli Apostoli
At 2,1-11

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Nel corridoio delle suore Figlie di San Paolo, accanto alla nostra Chiesa del Divin maestro, c’è un poster che raffigura il mondo con tutte le bandierine dove sono arrivate per annunciare il Messaggio di vita e di salvezza di Gesù.

Di solito don Alberione e suor Tecla (fondatori), verso le metà del novecento, inviavano queste donne, arrivate dalle colline delle Langhe e del Roero, con un’istruzione elementare, ad “aprire case” e a portare l’annuncio del Vangelo dappertutto.

Immagino una di loro, che sapeva bene il piemontese, abbastanza l’italiano, arrivare a Tokyo o a Seul per parlare di Gesù … eppure …

Eppure ce la fecero, con grande fede e indomita confidenza nella Provvidenza di Dio e nel dono dello Spirito Santo, successe il miracolo, e, come capita nell’episodio raccontando in At, nella Messa di Pentecoste

CIASCUNO LI UDIVA PARLARE NELLA PROPRIA LINGUA. ERANO STUPITI E, FUORI DI SÉ PER LA MERAVIGLIA, DICEVANO: «TUTTI COSTORO CHE PARLANO NON SONO FORSE GALILEI? E COME MAI CIASCUNO DI NOI SENTE PARLARE NELLA PROPRIA LINGUA NATIVA?

“Sono piemontesi, come possiamo sentirle parlare coreano e giapponese?”

E perchè in Corea del Sud oggi ci sono più di 250 suore Figlie di San Paolo?

Avranno pensato così le prime persone che incontravano queste donne velate vestite di nero.

Ma c’è un particolare che permette di stupire e dare credito all’opera in atto:

CIASCUNO SENTE PARLARE NELLA PROPRIA LINGUA NATIVA

Eh sì, la lingua del Vangelo è lingua nativa: ossia capace di generare – come una mamma -, di educare all’umanità, di assegnare senso e contenuto alle relazioni interpersonali, di dare destinazioni compiute a quanto si fa, di nutrire …

Sì, questa è la lingua che possono davvero capire tutti i ricercatori di senso e di vita. In modo inequivocabile e insuperabile. Questo viene suscitato dallo Spirito Santo.

Sarebbe opportuno oggi pensare al nostro uso della nostra lingua e della nostra comunicazione (noi che ci diciamo cristiani), per chiederci: è NATIVA o MORTIVA (aggettivo che non esiste, ma significa portatrice di morte)?

Non voglio dilungarmi in esemplificazioni o elenchi, ma ciò che divide e confonde non è certo a servizio del Regno di Dio.

“Vieni, Spirito Santo, continua a iniettare in noi desideri di rinascita e di condivisione di passione per la vita e la fraternità”.

Sì, invochiamo lo Spirito su di noi, perchè anche noi diventiamo capaci, con il suo aiuto, di rinascere, ma sopratutto di istituire linguaggi di vita e di umanità che rendono vera la nostra relazione con il Vangelo di Gesù.

Questa settimana a chi devo rivolgere parole native?

NOVITÁ – DIARIO DAL CONGO 2025

ANSELME É RIPARTITO PER IL CONGO! A PARTIRE DA OGNI INIZIA UNA RUBRICA, QUASI QUOTIDIANA, SUL SUO VIAGGIO . SI TRATTA DI UNA REALTÁ NELLA QUALE CI SENTIAMO COINVOLTI COME PARROCCHIA E PER LA QUALE VOGLIAMO DIRE TUTTA LA NOSTRA SOLIDARIETÁ,  A PARTIRE DALLE INFORMAZIONI CHE IL  NOSTRO CARISSIMO ANSELME CONDIVIDERÀ CON NOI IN TEMPO REALE.

PER LEGGERE IL DIARIO OCCORRE SCEGLIERE DAL MENÚ “DIARIO DAL CONGO 2025” E CLICCARE

BUONA LETTURA!

FESTA DELL’ASCENSIONE

Lc 24,46-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Oggi nella preghiera di colletta chiediamo:
CONCEDI CHE I NOSTRI CUORI DIMORINO NEI CIELI,
DOVE NOI CREDIAMO CHE OGGI È ASCESO
IL TUO UNIGENITO, NOSTRO REDENTORE.

Mi colpisce: cosa significa che i nostri cuori dimorino nei cieli, mentre le nostre mani e i nostri piedi devono rimanere ben saldi sulla terra? C’è una sorta di schizofrenia che a volte ha alimentato la storia della spiritualità, staccando la concretezza della vita da una presumibile sublimità – irraggiungibile ed eterea – della vita dello spirito.

Niente di più sbagliato: se c’è un libro che invita alla concretezza è proprio il Vangelo e soprattutto l’opera di credere nel Signore Gesù per seguirlo.

Ieri ci veniva incontro – per rispondere alla nostra domanda – la felice coincidenza della festa dell’Ascensione di Gesù al Cielo con quella della Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta.

Ascensione è iniziare a vivere una vita verticale non più appiattita su bisogni e contingenze prive di respiro, ma alimentata niente meno che dalla forza e dalla presenza di Dio.

Maria, quando diventa MADRE DI DIO e contemporaneamente e pienamente FIGLIA DI DIO, mettendosi al mondo nella gestazione dello Spirito donatole, come primo gesto “si alza in fretta e parte” per andare a trovare la cugina Elisabetta. Ma non soltanto per aiutarla, ma per condividere qualcosa che ancora più profondamente e misteriosamente era capitato alla sua vita con l’irruzione dello Spirito nei suoi giorni. Lo stesso dicasi per Elisabetta. C’è uno scambio di concretezze riconosciuto come generato dal Padre, che cambia assolutamente la realtà, la sostiene, la motiva, la accompagna. E nasce il Magnificat. Nasce la storia sacra.

La dimora del cuore (e della mente) è il luogo dal quale nascono tutte le nostre azioni: se il cuore dimora nell’orrore, la vita si trasformerà di conseguenza. Se il cuore abita altre dimensioni, idem.

Scrive bene Avveduto:

IL MAGNIFICAT È LA COLONNA SONORA DELLA NOSTRA ESISTENZA QUANDO CAPOVOLGIAMO I NASTRI DELLA NOSTRA DISISTIMA. ESCONO I DEMONI ED ENTRANO GLI ANGELI.
SE CAMBIA CIÒ CHE DICIAMO A NOI STESSI CAMBIA TUTTO.
IL MONDO È CIÒ CHE PENSIAMO DI NOI STESSI, ATTINGE DALLE NOSTRE VOCI, DAI NOSTRI GIUDIZI… IL MONDO NON SI SCRIVE DA SOLO, PRENDE I COLORI E I SUONI CHE GLI AFFIDIAMO.

Quindi, altro che astrattezza, nulla di più concreto!

Proviamo a materializzare e a dare corpo alla Parola che oggi ascolteremo a Messa, perchè, sempre più, il Verbo si faccia carne.

NEL GIORNO DELL’ASCENSIONE, GESÙ NON STA FUGGENDO, NON CI STA RIFIUTANDO, ASCENDE PER MEGLIO INCARNARSI;
È IN CERCA DI UN PEZZO DI CIELO IN OGNUNO DI NOI E SI PORTA NEL PUNTO PIÙ LONTANO DEL NOSTRO ESSERE, NON SI ESCLUDE DA NOI,
NON POTREBBE PIÙ FARLO, È INCATENATO ALL’UOMO DALL’AMORE, MA È PROPRIO QUEST’AMORE CHE LO FA ALLONTANARE PER STIMOLARE IN NOI PASSI DI RESURREZIONE. (EA II)

SESTA DOMENICA DI PASQUA – C

I VERBI DELL’AMORE 

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI 

Gv 14,23-29

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Giovanni ci fa alzare il capo, mentre ci trasmette tutto quello che ha sperimentato di Gesù. E lo concentra in tre parole: la prima è “dimora”.

Se uno mi ama, io e il Padre verremo e prenderemo dimora in lui. Dio è venuto, mi abita, è entrato in me più dell’aria nei polmoni, più del sangue nelle vene.

In me? Ma davvero? Qui troverai ben poco Signore, starai alle strette; però ti assicuro che cercherò un pezzetto di casa dove tu possa sentirti amato, un riparo, un nido per la pace che tu porti.

Seconda parola: “pace”. Gesù risorge e incontrando i suoi la prima parola che erompe dal cuore è: Pace a voi! Lo ha ben capito anche papa Leone, impostando su questo sogno di pace il suo primo messaggio.

Ma Gesù regala una certezza, non un augurio; dice che la pace è già qui, è nelle mani e nel cuore: vi do la mia pace, ma non come fa il mondo. Scende pace, piove pace sui cuori e sui giorni. È pace.

La pace che non si compra e non si vende; dono che diventa conquista con un artigianato paziente.

Come? Respingendo i tre maledetti verbi della guerra: prendere, depredare e impossessarsi anche di ciò che non è tuo; salire, cercare prestigio e grandezza, essere il più grande; dominare, la seduzione e la prostituzione del potere.

A questi, Gesù lungo tutto il suo vangelo contrappone tre verbi benedetti: dare, condividere e donare, anziché tenere in pugno; scendere, come il Samaritano buono, che scende da cavallo e si china sul dolore; servire, verbo per coraggiosi e innamorati, per madri che sanno dire: “prima vieni tu, e dopo io”.

Dare, scendere servire. Tre verbi benedetti, che disarmano le menti.

Terza parola-promessa riguarda lo Spirito Santo: Vi ricorderà, vi insegnerà, ri-porterà al cuore,  ri-accenderà tutto Gesù.

Inciderà di nuovo nell’intimo gesti e parole di lui, di quando passava e guariva la vita.

Lo Spirito ci fa innamorare di un cristianesimo che sia visione, incantamento, fervore, poesia, slancio. E fioritura anche delle mie spine. (Ermes Ronchi) 

V DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA – ANNO C

NUOVISSIMO! 

Gv 13,31-33a.34-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Quando pensiamo alla gloria di Dio la nostra immaginazione si accende di fantasie di onnipotenza e splendore, il Vangelo invece –  che è il riferimento imprescindibile per parlare del Dio di Gesù Cristo – ci parla del Figlio che si consegna alle mani degli uomini. Altre volte, nel corso della sua vita, avevano cercato di “prenderlo”, ma Gesù è inafferrabile, neanche da Risorto vuol essere trattenuto, ma solo seguito nel nome di una grande libertà. Gloria di Dio allora non è togliere la vita agli altri, ma donare la propria sino alla fine, senza pentimenti e in maniera incondizionata. La gloria allora cambia anche il concetto di onnipotenza, che, a partire dal Getsemani e dalla consegna libera del Figlio si trasforma in amore che esprime la sua potenza nell’apparente inerzia dell’amore, che agli occhi del mondo, vive sempre in perdita. Davanti a questo gesto potremmo chiederci cosa pensiamo noi quando pensiamo Dio. É una nostra fantasia o la storia del Figlio che rivela il Padre e le sue intenzioni per diventare la nostra storia? 

Per questo Gesù ha l’ardire di dare e definire il comandamento dell’amore con la qualifica di nuovo. Ma che ci sarà di nuovo, sappiamo tutti che dobbiamo amare e questo sia il senso della vita? Ah sì? L’inquinamento eccessivo, la deforestazione, l’uso estremo delle risorse naturali, il cambiamento climatico, l’indifferenza, la disinformazione, la violenza e le guerre, i nazionalismi esasperati, la dittatura economica, l’odio, l’intolleranza, la mancanza di compassione … non sono forse segni che ci dicono che l’amore forse è proprio un comandamento da rinnovare quotidianamente, e da vivere nella totale novità e nel suo essere assolutamente inedito? 

La conclusione del vangelo di oggi definisce allora l’identità del discepolo in modo inequivocabile e perentorio: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” … Avere questa certezza e desiderare seguire Gesù a partire dalla pratica della sua parola che porta a rinnovare le nostre vite e di conseguenza il mondo, perchè abbiamo vissuto quell’amore testimoniato dal Figlio, può essere  veramente il trampolino di lancio per fioriture e resurrezioni laddove la morte, il buio e la disperazione sembrano avere preso il sopravvento definitivo. Nella mia vita in cosa dimostro il mio essere discepolo?