FESTA DELL’ASSUNZIONE DI MARIA IN CIELO

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Che bella questa immagine che traduce la verità del destino di Maria, celebrata nella festa di oggi.

Destino che accomunerà ognuno di noi e nel quale siamo pensati dal Padre.

L’accesso totale nella Vita, anche per Maria, avviene nel momento in cui la sua maternità si trasforma in FIGLIOLANZA TOTALE del Figlio.

Mistero che chiama anche noi: a CONCEPIRE, nell’ascolto, PARTORIRE nella vita e AFFIDARCI TOTALMENTE a Dio diventando suoi figli. Il circolo dell’eterno in questo modo si compie, e la mamma che aveva portato in braccio il bambino Gesù adesso diventa la bambina presa in braccio dal Figlio, del quale è diventata figlia.

Il punto rivoluzionario è quello che dichiara Elisabetta quando incontra la Cugina: “beata è Colei che ha creduto all’adempimento della Parola”. Maria è discepola. Maria è la prima (forse unica) vera cristiana, perchè totalmente appartenete a Cristo. La “povera” diventa la ricca in Assoluto, perchè il Re si invaghisce solo della bellezza di chi è UMILE, ossia, di chi ha ancora spazio per “ALTRO” oltre a se stessa/o.

Buon viaggio carissimi, indossiamo il Sole, come Maria, “donna  vestita di Sole” e continuiamo il nostro cammino sulle montagne della nostra Giudea per incontrare i nostri fratelli e sorelle e scalare a tal punto che l’Altezza di Dio possa scendere nel più profondo e basso di noi stessi.

É un lavoro l’ASSUNZIONE.

Si tratta di assumere in noi la Parola.

E questo … a tempo indeterminato!

Non saremo mai licenziati.

DICIOTTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B

Vangelo

Gv 6,24-35

24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: “Rabbì, quando sei venuto qua?”. 26Gesù rispose loro: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. 28Gli dissero allora: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”. 29Gesù rispose loro: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. 30Allora gli dissero: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo “. 32Rispose loro Gesù: “In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. 34Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”. 35Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

L’apostolo Paolo non ha peli sulla lingua:

«vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri» (Ef 4,17).

Il Signore Gesù non si lascia abbindolare dalla venerazione della folla che si lancia alla sua ricerca fino a inseguirlo dall’altra parte del lago: «voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» e aggiunge con ulteriore chiarezza «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane» (Gv 6,26-27). Se queste sono le esortazioni cui siamo chiamati a conformare la nostra vita di credenti e di cercatori di senso, rimane il fatto che spesso noi stessi ci troviamo nella condizione del popolo che attraversa faticosamente il deserto:

«Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà!» (Es 16,3).

Improvvisamente il ricordo dell’Egitto sembra colorarsi di rosa: si dimentica l’amara schiavitù e si rammentano, invece, le sicurezze della schiavitù!
Dopo aver moltiplicato il pane attraverso la condivisione radicale di quello che c’era a disposizione, il Signore Gesù prende le distanze dalla possibilità di un fraintendimento da parte della folla. Egli non è venuto a placare la nostra fame, ma a renderci consapevoli di quella fame più profonda che portiamo nel cuore e che non si può saziare se non nella misura in cui si accoglie come grazia il bisogno di essere continuamente risaziati. Il Signore mostra alla folla che è possibile moltiplicare il pane, ma questo diventa il segno di come sia possibile saziarsi di senso, che è il «pane dei forti» (Sal 77,25). Il cammino è quello di passare dallo stato di «pagani» oppressi e al contempo crogiolati nei «loro vani pensieri» (Ef 4,17) allo stato di credenti continuamente volti «alla ricerca di Gesù» (Gv 6,24), non per quello che ci può dare o per i problemi che può generosamente risolvere, bensì per il cammino che ci può aiutare a compiere per portarci oltre la soglia dei bisogni, per farci accedere alla porta dei desideri.
Alla fine la folla riesce a porre la domanda che ha tutto il sapore di un’invocazione: «Signore, dacci sempre questo pane» (Gv 6,34), ma il Signore conduce oltre:

«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6,35).

Con queste parole che hanno tutta la solennità di una vera rivelazione, il Signore ci mostra la porta stretta che ci fa passare dal paganesimo alla vita di fede: non si tratta più di credere in un Dio che risolve i nostri problemi, ma entrare in una relazione che permette di sentire in modo diverso la sfida della vita, coinvolgendoci in prima persona. Quando nella Preghiera del Signore chiediamo: «dacci oggi il nostro pane quotidiano», in realtà ci impegniamo a condividere ogni giorno quello che abbiamo e quello che siamo.
La novità assoluta sta nel fatto che il Signore Gesù prima sfama la folla e, solo dopo, quando la folla – ormai saziata – continua a cercarlo, comincia ad ammaestrarla cercando di portarla, attraverso l’intelligenza del segno, ben oltre il segno. In questo modo si rivela lo stile di Dio, che è assolutamente gratuito e mai condizionato. Lo stile di Gesù che prima opera e poi parla è un’indicazione di stile ineludibile e assolutamente indicativo per le scelte ecclesiali.

(M. Semeraro)

DICIASSETTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B

DIVISIONI CHE MOLTIPLICANO 

 Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Sicuramente parlava di lui Gesù! 

Parlava li lui, quando diceva che 

“Se non ritorneremo come bambini non entreremo nel Regno di Dio”. 

Parlava di lui quando immaginava un cuore fiducioso e generoso,

disposto a condividere 5 pani e 2 pesci, miseri, di fronte a 5000 uomini, immensi. 

E il piccolo gesto di pazzia diventa gesto di vita. 

Gesto che distrugge la misura e il buon senso. 

Gesto che sa andare oltre le pipette del contagocce del calcolo, che ti fa disperare: 

“Cos’è questo per tanta gente?”

Qui il business non conta, conta ciò che vale, non ciò che si quota. Conta il profumo di vita.

Conta il primo gesto che sgretola i muri del risaputo. 

Conta il bambino che apre le porte del Regno di Dio 

e permette a tanti altri di accompagnarlo nel passaggio. 

E “gli altri siamo noi”. 

Noi, cosa faremo con le nostre povere risorse sproporzionate, questa settimana? Abbiamo capito che il tanto delle cose non conta nulla, ma soltanto il tutto del cuore è  cosa importante? 

Sapremo mettere la disponibilità totale del nostro poco in mano al Signore, 

perchè diventi moltiplicazione di vita e benedizione? 

SEDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B

I VENTAGLI E IL BUON PASTORE 

Dal Vangelo secondo Marco
 
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Questo Vangelo si commenta sempre nel cuore dell’estate, quando le persone iniziano ad andare in ferie, le chiese si svuotano maggiormente del solito e il caldo mette in moto i ventagli delle donne, generalmente di  media-elevata età, che occupano i posti di chi non va in vacanza ma resta in città ad attendere la stagione più fresca. 

Inizia una coreografia che il celebrante vede bene dalla sede della Chiesa: a ritmo sincronizzato, il movimento che dovrebbe produrre il ricircolo dell’aria diventa invocazione di respiro e refrigerio,  nel cuore della stasi dell’aria e dell’afa. Invano. 

Un movimento che mi ricorda il movimento dei MOLTI del Vangelo che seguono Gesù e i suoi discepoli: “MOLTI erano quelli che andavano e venivano” … “MOLTI li videro partire e capirono” dov’erano diretti. C’è un movimento, come quello del ventaglio, di andata e ritorno, forse neanche così chiaro perchè si sa che muovere aria calda ne aumenta semplicemente lo spostamento.  Molti seguono, camminano. E Gesù non chiede a nessuno la carta d’identità, ma vive un atteggiamento ben preciso: “vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore”. Anche di questo ha bisogno il ventaglio, di un motivo, di una direzione, di un senso … Gesù lo sa, e anche a noi, agitatori seriali di ventagli in terra afosa, continua a rivolgersi con immenso amore e “si mise a insegnare molte cose”. 

Perchè, siamo sinceri, cosa ce ne facciamo della compassione di Gesù, quando il movimento, l’andare e il venire delle nostre vite non fa altro che lasciare le cose esattamente come sono sempre state, magari appesantendo la massa d’aria calda? 

A cosa serve la compassione di Gesù se non si trasforma in un’esperienza di novità, di cambiamento? A niente! Come il ventaglio! E infatti il problema è proprio questo: rendere l’incontro con Gesù la possibilità di accesso a una novità che va curata e salvaguardata con grandissima attenzione. La preghiera di colletta di inizio messa, infatti, inizia proprio così, chiedendo la forza a Dio “perché, ardenti di speranza, fede e carità, restiamo sempre vigilanti nel custodire i tuoi comandamenti”.

Non è facile essere ardenti nella fiducia, nella speranza e nell’amore, son forze divine precluse alle nostre povere buone intenzioni fatte di sola autoreferenza. Ci va la forza di Dio. Ma questa va custodita, con amore e ardore molto intensi. Gesù SI METTE A INSEGNARE: sia il Segno del Vangelo, accolto e vissuto, la possibilità di potere vedere che nasce un mondo nuovo… e aria nuova. 

QUINDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, B

VITA SENZA DEMONI E UN MONDO GUARITO

7Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

 

Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli. Ogni volta che Dio ti chiama, ti mette in viaggio. Il nostro Dio ama gli orizzonti e le brecce.

A due a due: perché il due non è semplicemente la somma di uno più uno, è l’inizio del noi, la prima cellula della comunità. Ordinò loro di non prendere nient’altro che un bastone. Solo un bastone a sorreggere la stanchezza e un amico su cui appoggiare il cuore. Né pane, né sacca, né denaro, né due tuniche. Saranno quotidianamente dipendenti dal cielo. Li vedi avanzare da una curva della strada, sembrano mendicanti sotto il cielo di Abramo. Gente che sa che il loro segreto è oltre loro, «annunciatori infinitamente piccoli, perché solo così l’annuncio sarà infinitamente grande» (G. Vannucci).

Ma se guardi meglio, puoi notare che oltre al bastone portano qualcosa: un vasetto d’olio alla cintura. Il loro è un pellegrinaggio mite e guaritore da corpo a corpo, da casa a casa. La missione dei discepoli è semplice: sono chiamati a portare avanti la vita, la vita debole: ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Si occupano della vita, come il profeta Amos, cacciano i demoni, toccano i malati e le loro mani dicono: «Dio è qui, è vicino a te, con amore». Hanno visto con Gesù come si toccano le piaghe, come non si fugga mai dal dolore, hanno imparato l’arte della carezza e della prossimità. E proclamavano che la gente si convertisse: convertirsi al sogno di Dio: un mondo guarito, vita senza demoni, relazioni diventate armoniose e felici, un mondo di porte aperte e brecce nelle mura. Le loro mani sui malati predicano che Dio è già qui. È vicino a me con amore. È qui e guarisce la vita. Francesco ammoniva i suoi frati: si può predicare anche con le parole, quando non vi rimane altro. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro.

Gesù li prepara anche all’insuccesso e al coraggio di non arrendersi. Come i profeti, che credono nella parola di Dio più ancora che nel suo realizzarsi: Isaia non vedrà la vergine partorire, né Osea vedrà Israele condotto di nuovo nel deserto del primo amore. Ma i profeti amano la parola di Dio più ancora che i suoi successi. I Dodici hanno quella stessa fede da profeti: credono nel Regno ben prima di vederlo instaurarsi. L’ideale in loro conta più di ciò che riescono a realizzarne. Bellissimo Vangelo, dove emerge una triplice economia: della piccolezza, della strada, della profezia. I Dodici vanno, più piccoli dei piccoli; sulla strada che è libera, che è di tutti, che non si ferma mai e ti porta via, come Dio con Amos; vanno, profeti del sogno di Dio: un mondo totalmente guarito.

(Ermes Ronchi) 

QUATTORDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, B

IL PACCHETTO DI SIGARETTE 

 

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Sapere e conoscere non sono la stessa cosa! Uno che sa una cosa non è detto che la conosca. Anche per Gesù: tanti sapevano chi fosse, sapevano addirittura tantissime cose su di Lui, ma … non lo credevano. Anzi, proprio il loro “presunto” sapere  era  il motivo  per non crederLo. Esattamente come capita ai nazaretani. Pensavano di sapere tutto del figlio di Maria e del falegname, e proprio questo motivo li ha portati a non credere che potesse essere il figlio di Dio. Tant’è che gli unici che imparano chi sia il Nazareno sono i discepoli, ossia “coloro che lo seguivano”. Seguire significa camminare dietro, essere aperti al nuovo. 

Non basta sapere una cosa per conoscerla. Tutti abbiamo paura della morte, eppure, anche sapendo che, come riportato sui pacchetti delle sigarette “il fumo aumenta il rischio della cecità, i minori non devono fumare, il fumo del tabacco contiene 70 sostanze cancerogene, il fumo uccide – smetti subito!”, a  livello mondiale ci sono 1,25 miliardi di consumatori adulti di tabacco, circa 1 adulto su 5: sono amanti della morte? Sanno, ma non conoscono la verità di queste parole. Tutti sappiamo che la guerra distrugge il mondo: eppure sulla terra nel 2023 i conflitti sono aumentati del 12% rispetto al 2022 e di oltre il 40% rispetto al 2020. Una persona su sei vive in un’area in cui vi è un conflitto attivo. Tutti sanno che droga uccide, eppure il consumo di droga continua a essere elevato in tutto il mondo. Nel 2021, il 5,8% della popolazione mondiale – pari a 296 milioni di persone – ha fatto uso di stupefacenti, con un aumento di circa il 23% rispetto a 10 anni prima… e potremo continuare la lista all’infinito. Sappiamo, ma non conosciamo cosa significhi fidarci di quel sapere. 

Come si fa, allora, a passare dal sapere alla conoscenza? Attraverso il riconoscimento di quello che so, ossia:  la pratica. Pratica che è rinnovamento, che è desiderio di stare e di ripetere il nostro SÍ alla vita e al Dio della vita. Lo vorrei dire con delle parole scritte da Ernesto Olivero, il fondatore del SERMIG: Il nostro dare la vita ci rende totalmente liberi per amare tutti con cuore indiviso come Gesù. Nella vita di fraternità non diventiamo mai dipendenti dall’UMORE degli altri, ma diventiamo dipendenti dall’AMORE di Dio. Qualunque dipendenza ci limita e ci rattrista, la libertà del cuore rallegra la nostra vita e ci apre al servizio gratuito. Dipendiamo solo dall’amore di Dio perchè da Lui impariamo ad amare con gratuità, senza aspettarci nulla in cambio se non la gioia di fare felici gli altri. Tristezze e paure di cui è pieno il mondo affliggono anche tante persone che scelgono di dare la vita. Non basta dire sì a Dio una volta per sempre, e poi chiuderci nel nostro SÍ. Occorre puntare sull’amore che è nuovo ogni giorno. Il SÍ è sí se dá vita, se crea vita intorno, proprio come una nuova continua creazione. Il SÍ è vero se ci supera, se ci aiuta a dare un senso alla vita sempre. Il SÍ ci rimette in discussione ogni giorno perchè l’orgoglio non ci renda impenetrabili, perchè l’arroganza e la superbia non spadroneggino. Desidero che ognuno cerchi di capire se il suo SÍ sta portando vita o paura, vita o morte. Se chiediamo al Signore il dono di capire, anche i più duri di noi avranno la grazia di cercare e di capire. Se c’è buona volontà risorgiamo, cambiamo, perchè Gesù è venuto a portarci la certezza che possiamo cambiare in qualsiasi momento. Il SÍ è sì se attrae altri sí, il SÍ è sí se diventa bene per quelli che ci avvicinano. 

Noi che ci diciamo cristiani SAPPIAMO che Olivero ha ragione. 

Lo RI-CONOSCEREMO PRATICAMENTE questa settimana?  Se la risposta è positiva, arriveremo alla conoscenza. Altrimenti … continueremo a sapere cose del tutto inutili, anche le più belle e preziose. 

 

TREDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

FEDE TATTILE 

Dal Vangelo secondo Marco 

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

L’altro giorno un amico mi raccontava di essere stato derubato nella metropolitana di Madrid. C’era un mucchio di gente. Lui non se n’è manco accorto. Eppure qualcuno ha infilato le mani nel suo borsello, il borsello era a tracolla, ma niente! Abilità, magia! Invece Gesù SI ACCORGE! Si accorge che nonostante la ressa della folla, qualcuno ha toccato le sue vesti, il suo mantello! Com’è possibile? Perchè UNA FORZA ERA USCITA DA LUI … Ma perchè questo? Perchè era un tocco fatto con fede, e cosa significa “toccare con fede”? Significa SAPERE DI ESSERE SALVATI, esserne certi, e camminare nella speranza aperta da questo affidamento. “La tua fede ti ha salvata!” dice Gesù a questa donna che guarisce a partire da questo pensiero. E il suo pensiero diventa possibilità di accoglienza totale della potenza di Dio che si manifesta nel figlio. Ora, il Vangelo ci dice che É così; con questo non dico che sia facile, anzi … anche noi, sempre pronti a spintonare Gesù a destra o sinistra, oppure desiderosi di qualcosa che non coinvolga lo spazio della nostra totale disponibilità a essere salvati, ma a trattare Gesù come un feticcio, siamo chiamati a metterci davanti a Lui con lo spirito che si fida, come quello della donna emorroissa. Insomma, va bene per lei, va bene per Giairo, va bene per me e per te, anche se questo non è tutto. Perchè poi la prova della morte, anche dopo tutte le prove superate arriva di nuovo. Arriva, bussa, e chiede cosa sono disposto a credere e a vivere in quel momento … “se anche solo toccassi il mantello”? Oppure “è morta … non disturbare … lo deridevano”. Prese di posizione che sovvertono totalmente l’esito del gioco. 

Forse siamo chiamati ad esercitare maggiormente questa speranza a partire dallo spazio della nostra quotidianità, che diventa lo spazio della nostra personale risposta al Vangelo. Tutto insegna e tutto interpella, e il problema è chiederci con che spirito ci facciamo incontrare e con che spirito vogliamo vivere. Ieri leggevo una vignetta un po’ macabra, ma vera, a proposito del bracciante che raccoglieva i pomodori e, ferito, è stato abbandonato davanti alla porta di casa sua: “dov’è finita la nostra compassione per il bracciante?”. Come  risposta, un barattolo di passata di pomodoro. Proprio così, la risposta è: “passata”. Perchè il problema è questo: sappiamo, ci indigniamo, vorremmo, ma non sempre siamo disposti a fare azioni che vanno OLTRE noi stessi, perchè fondate su un Dio che ci conosce e viventi di una certezza consapevole che i nostri gesti vanno pensati per essere i più ampli possibili: allora diventiamo cittadini nuovi che cambiano un mondo con esercizi concreti di resurrezione e vitalizzazione: anzitutto quello del cuore e dei pensieri, e poi della terra affidata alle nostre mani. 

In che cosa devo essere raggiunto dalla Parola di Gesù, in questa settimana: “non temere, soltanto abbi fede”?