“non angustiatevi per nulla”
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
IGIENIZZARE, SANIFICARE, DISTANZIARE!
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Per la terza domenica consecutiva il Vangelo ci manda a lavorare nella vigna. La vigna della nostra vita, della carne, della storia, delle lacrime, della gioia e insomma … della nostra umanità. Il padrone della vigna di questa parabola prepara accuratamente ogni cosa perché possa dare frutto, e poi parte lontano: tutto è affidato alle nostre mani. Mani che amministrano. Mani che dovrebbero operare al meglio per consegnare frutti copiosi al momento del raccolto. Tuttavia sappiamo bene che le nostre azioni – le cose che noi facciamo – altro non sono che FRUTTO di pensieri, di stati mentali e orientamenti. Mentre il Vignaiolo opera desiderando e sognando frutti, le azioni dei contadini a cui era stato affidato l’appezzamento hanno in mente altre cose: bastonare, uccidere, lapidare, avere l’eredità, al punto da togliere la vita addirittura al figlio del padrone.
San Paolo, da parte sua, nella seconda lettura suggerisce anche un elenco di azioni che dovrebbero essere “oggetto dei nostri pensieri”: “quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode” (esercizio: quanto, di questo, c’è nelle nostre consapevolezze?).
Sono ormai alcuni mesi che igienizziamo le mani, sanifichiamo gli ambienti e gli oggetti e prendiamo le giuste distanze da quanto potrebbe contagiarci ed essere letale per la salute. Giusto! Sarebbe interessante, però, di fronte a tutti i “servi”, messaggeri e al Figlio – che ogni domenica il Padre ci manda quando celebriamo l’Eucarestia – provare a sanificare e igienizzare i pensieri che stanno alla base dei nostri modi di vivere e di essere, per cominciare a prendere le distanze da quanto fa male, a noi e agli altri, e finalmente riscoprire che le Parole di Dio potranno custodire i nostri cuori, le nostre menti e … le nostre vite!
Questa settimana sarebbe bello pensare a quali sono i pensieri che stanno dietro le nostre azioni (inviare eventuali contributi di pensiero da condividere sul sito a l.lucca71@gmail.com ) .
DAL NO AL SÍ
Pensando ai nostri NO diventati poi dei SI o che avremmo dovuto fare diventare tali, mi sono ricordato un episodio di parecchi anni fa. Quando ero adolescente, con il gruppo del catechismo ci fu data la possibilità di andare a trovare degli anziani in una casa di riposo, ma non la presi tanto in considerazione. Arrivato il giorno stabilito per andare a trovare gli anziani, sentì i miei amici e nessuno sarebbe venuto, però io andai ugualmente. Fui accompagnato da persone che vivevano periodicamente l’ incontro con loro e probabilmente era la prima volta che entrai in una casa di riposo e ho ancora vivo in me l’ incontro che vissi con anziani in un letto che ti guardavano e ti dicevano: “ricordati di pregare per me, non ti dimenticare di pregare per me”. In quella situazione io mi sentii assolutamente incapace e fuori luogo ma il sì che dissi quella volta mi servì per tutta la mia vita.
Pensando alle nostre famiglie mi chiedo se riusciamo a far prevalere il SI invece del NO nel servirci l’ un l’ altro. Nel dire il nostro SI al padrone della vigna vuol dire essere disponibili ad accogliere l’ altro, a servirlo e chissà se nelle nostre case c’è la corsa a chi serve per prima e servire con gioia e non con il musone o sbruffando.
Concludo questa breve riflessione con la chiamata di Matteo che ricorreva il 21 Settembre.
Matteo era chiamato Levi, nella lingua ebraica, e il mestiere che svolgeva, l’ esattore, era ritenuto infamante perché riscuoteva le tasse per conto dei dominatori stranieri. Gesù, mentre sta camminando per le vie di Cafarnao, lo vede e, invece di passare oltre guardandolo con disprezzo come tutti facevano, si ferma e lo chiama: “Seguimi!”. Bastò questa sola parola e Matteo “si alzò e lo seguì”. Quel che conta per Gesù non è la condizione nella quale ognuno si trova, ma l’ accoglienza nel proprio cuore alla sua chiamata. E’ quel che fece appunto il pubblicano Matteo. E la sua vita da quel momento cambiò. Fino ad allora aveva pensato ad accumulare per sé. Da quando ascoltò quel Maestro non fece altro che seguirlo. Non fu per lui un sacrificio, al contrario fu una festa. Comprese che Gesù non chiamava per rubare la vita o per renderla più triste, al contrario per rendere partecipi al suo grande sogno sul mondo.
In questo breve testo Matteo non disse ne SI ne NO ma si alzò e lo seguì. Bellissimo! Secondo me come fa è molto più incisivo e drastico (di un SI) perché non vuole più avere niente a che fare con quello che faceva prima.
SILENZIO!
Gesu’ non ha mai paura dell’errore, non si ferma. L’errore non lo ferma e non gli impedisce di amare ed “andare avanti”.
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
NON É GIUSTO!
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». – Parola del Signore.
Dal libro del profeta Ezechiele
Così dice il Signore: 25«Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?
Per fortuna a volte il modo di pensare di Dio non è corretto, non è giusto, non coincide con il nostro modo di pensare, agire e valutare ma, come quello di ogni padre e madre che amano i loro figli, nasce a partire da una misericordia incondizionata. Anziché misurarci con il bilancino per i nostri errori e le nostre mancanze di prontezza gradisce e accoglie sempre il gesto di chi ci ripensa e torna a lui per “trovare la vita”. Perché alla fine si tratta di questo: non qualcosa che noi facciamo per Dio – dandogli chissà quale onore o rivolgendoGli chissà qualche lode – ma della possibilità di ritrovare per noi la strada della vita. Domenica scorsa parlavamo della fede come di “resa alla luce”, potremmo anche definirla una “resa alla vita”, quella vera. Potremmo parlare di consenso alla speranza che il Padre continuamente rivolge a ognuno di noi, mettendo anche dentro il nostro cuore la certezza che nelle sue mani il lavoro nella vigna dove ci invita a lavorare porterà sempre e inequivocabilmente molto frutto. Anche se prima, tante volte, gli diciamo subito di no.
Questa settimana sarebbe bello pensare a quali sono i nostri NO che potremmo e dovremmo convertire in SÍ (inviare eventuali contributi di pensiero da condividere sul sito a l.lucca71@gmail.com ) .
XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
CHIAMATE
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”…
Nella vita è più importante guadagnare tanti soldi o sentirsi utili a fare qualcosa per qualcuno? É meglio stare in una piazza a bighellonare dal mattino alla sera senza nessun senso, oppure ascoltare una voce che finalmente ti inviti a scoprire che qualcuno si è accorto di te, e che c’è posto, sempre, in una vigna che ti sta aspettando? Sono ormai tre domeniche che Gesù ci sta sollecitando in modo estremamente provocatorio, forse per suggerirci che a volte, per dare delle risposte significative occorre fare un salto, un gesto che faccia la differenza a partire dal desiderio di perdonare a tutti i costi “il fratello che ha qualcosa contro di me”; di provare ad amare non sette volte, ma settanta volte sette; di imparare che il guadagno più grande non consiste nel vedere la differenza tra quanto prendo io – che penso di avere lavorato dalla prima ora – e quelli che sono stati chiamati l’ultima ora, ma, come dice la colletta della Messa, di scoprire continuamente “l’impagabile onore di lavorare nella (sua) vigna fin dal mattino”.
In questo frangente di chiamate e di piazze mi viene in mente la vicenda di Willy, il ragazzo capoverdiano ucciso a calci da quattro energumeni perché andato a difendere l’amico malcapitato. Guardi le foto, leggi delle cose, senti le storie. Mi faccio tante domande. Penso alle persone indignate soprattutto dal fatto che i quattro amici che amavano e avevano auto di lusso, facevano vacanze a cinque stelle, erano disoccupati e percepivano il reddito di cittadinanza. Cosa c’era dietro i muscoli, dietro i tatuaggi? Che chiamata avevano ricevuto? Penso a Willy che non passa indifferente accanto al male anche se in netto svantaggio di fronte alla potenza ostentata degli altri: cosa fanno un paio di occhi pieni di vita e un sorriso spontaneo e indifeso? Che voce c’era dietro le sue scelte? Chi c’era? Ognuno deve darsi delle risposte e non rimanere indifferente. Dico solo che il vuoto è terribile. Ha osservato giustamente la Furlan: “Willy è morto a causa di questo clima di incitazione all’odio e alla violenza, di questa continua sequela di provocazioni, che trovano oggi un humus fecondo nel linguaggio sguaiato e senza alcun controllo dei social network, nella disinformazione organizzata, nella cattiva ideologia di chi vuole mettere in discussione ogni forma di solidarietà, di inclusione, di equità e lotta alle diseguaglianze sociali. Lo stesso clima che si intravede quando con indifferenza e cinismo si mette in discussione il dovere universale di salvare una vita umana che lotta per non affogare nel Mar Mediterraneo”.
E allora ben venga una Parola, una Logica, una Presenza diversa come quella di Gesù, attraverso cui posso dare alla mia umanità la possibilità di trovare un senso, una profondità e un significato che non fanno male a nessuno, anzi, che danno la vita dando la vita.
La cosa bella è che ricevi sempre e subito il massimo salario solo per il fatto che hai cominciato a lavorare e hai risposto all’invito.
Questa settimana proviamo a pensare e condividere cosa significhi PENSARE CON LA LOGICA DI GESÚ (inviare contributi di pensiero a l.lucca71@gmail.com ) .
COMPASSIONE … pensieri di un parrocchiano
Mi ha fatto molto pensare nel Vangelo di Domenica scorsa quando il Re ebbe compassione del servo. Sono andato a vedere il significato di compassione sul vocabolario: Sentimento di pietà verso chi è infelice, verso i suoi dolori, le sue disgrazie, i suoi difetti; partecipazione alle sofferenze altrui. Nel mio piccolissimo mondo, con tutte le difficoltà che ho, trovo che è sempre più difficile trovare compassione, anzi se mai è l’ opposto…ma andiamo sempre avanti controcorrente (quindi essere compassionevoli) e contenti sicuri che l’ Amore vince e vincerà sempre anche se magari non vedremo i frutti.Altra cosa che mi ha fatto pensare sono due fatti di cronaca come la morte di Willy e la morte di Don Roberto. Fa paura pensare che delle persone possano prendere a calci e pugni una persona fino a farla morire…pazzesco! Gli accusati dell’ omicidio di Willy entrando in carcere sono stati accolti a sputi……e Don Roberto che viveva la compassione è stato ucciso dalla persona che riceveva compassione e che gli stava dando una nuova possibilità di vita.Molto vicino il Vangelo al nostro quotidiano come è sempre…
CONCERTO DEI MUSICISTI DELLA PARROCCHIA
FESTA DEL DIVIN MAESTRO 2020
ESAGERAZIONI E SPRECHI
XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
DAL VANGELO SECONDO MATTEO (Cap. 18)
In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle rego- lare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Le parabole sono dei racconti paradossali, sproporzionati, assurdi. Esattamente come la vita: paradossale, sproporzionata e assurda. Esattamente come il perdono che, a volte c’è perché hai deciso di smettere di calcolare, immeritato e senza nessuna logica al di fuori di se stesso, al di fuori di quella forza che timidamente e raramente riusciamo a vivere e che chiamiamo amore.
Gesù è sproporzionato come il suo racconto: vive la differenza che c’è tra 10000 talenti d’oro e 10 monete d’argento: tre vagoni di lingotti aurei e una manciata di metallo: perdonato il treno da parte sua verso di me, preteso il pugno di gettoni da parte mia nei confronti del fratello.
E la risposta a Pietro: non bastano 7 volte, ma 70 volte 7! Ossia, 490. Ma anche qui, non si tratta di calcolo, c’è molto molto di più: c’è la qualità di un gesto titanico che decide di non lasciare la vita a macerare nel rancore e nell’ira, che sono cose orribili che ci portiamo dentro (ma come non potremmo, a volte?) e rovinano anzitutto chi le prova; per ridirsi che nessuno di noi può e riesce a vivere per se stesso, e scoprire che l’unico modo per vivere per Dio è contenuto nel gesto tentato di un amore possibilmente rinnovato (a volte a modo suo) per un fratello.
Consapevoli, tra l’altro, di un’altra cosa: che anche noi, anche io, sono un servo perdonato.
E molto.