SESTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, C, 2022

PIANTE …

 Dal libro del profeta Geremìa

Così dice il Signore:
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
e pone nella carne il suo sostegno,
allontanando il suo cuore dal Signore.
Sarà come un tamarisco nella steppa;
non vedrà venire il bene,
dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è la sua fiducia.
È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi,
nell’anno della siccità non si dà pena,
non smette di produrre frutti».

Oggi cambio registro: anziché commentare il Vangelo delle Beatitudini, voglio parlare della prima lettura, tratta dal Libro del Profeta Geremia. La settimana scorsa sono stato chiuso in casa per via del COVID. Scendendo in Ufficio, una sera di fine settimana, quando ormai non c’era nessuno attorno a me, entro e mi trovo davanti a uno spettacolo terribile: le mie piante stavano tutte morendo. Nessuno le aveva bagnate. Di solito, in regime di normalità, la porta è sempre aperta è c’è sempre qualche gentile signora che entra per innaffiarle. Questa settimana la porta è stata chiusa: nessuno le ha bagnate. É stato un tonfo al cuore! Le ho bagnate pregandole di riprendersi e, il mattino dopo, quello che sembrava il triste spettacolo di una fine si è trasformato  in una resurrezione: piante rinate, con gli steli belli dritti, i fiori girati verso il sole e la conferma della parola di Geremia: se la pianta non viene piantata lungo corsi d’acqua e non stende le radici verso la corrente MUORE! Chiaro, continuano a esserci i periodi di caldo, ci sarà l’interminabile anno della siccità –  ma non teme – le sue foglie rimangono verdi, non smette di produrre frutti. Guardo le mie piantine rinate con un po’ d’acqua, leggo Geremia e mi dico: “aveva ragione, anche noi siamo così!”. Vivi perchè resi vivi, o morti perchè talmente presuntuosi da pensare che possiamo crescere isolati e distaccati dalla fonte della vita e dagli altri,  da vivere come poveri tamarischi che nascono e vivono nel cuore della sabbia e del deserto. Aridi e “incapaci di vedere il bene”, perchè quando non siamo collegati a quanto ci permette di farlo, mai nulla andrà bene. E allora, impariamo dalla pianta e questa settimana ogni tanto guardiamoci le radici … per chiederci se ci ricordiamo di innaffiarle e dove siamo piantati per trovare la nostra stabilità.  Per domandarci a che intensità di verde sono le nostre foglie e quanti frutti stiamo portando. Chiedo scusa se quello che dico è troppo semplice e ingenuo, ma mi viene da dire che tante volte le cose non sono poi così complicate da capire … 

QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, anno C

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro,
abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «
Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».  E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Carissimi, avendo letto un commento stupendo, di Ermes Ronchi, a questo Vangelo, ve lo “incollo” così com’è, perchè è magnifico: “Comincia così la storia di Gesù con i suoi discepoli: dalle reti vuote, dalle barche tirate in secca. Linguaggio universale e immagini semplicissime. Non dal pinnacolo del tempio, ma dal pulpito di una barca a Cafarnao. Non dal santuario, ma da un angolo umanissimo e laico. E, in più, da un momento di crisi. Il Signore ci incontra e ci sceglie ancora, come i primi quattro, forse proprio per quella debolezza che sappiamo bene. Fingere di non avere ferite, o una storia accidentata, ci rende commedianti della vita. Se uno ha vissuto, ha delle ferite. Se uno è vero, ha delle debolezze e delle crisi. E lì ci raggiunge la sua voce: Pietro, disubbidisci alle reti vuote, ubbidisci a un sogno. Gli aveva detto: Allontanati da me, perché sono un peccatore. Ma lui non se n’è andato e sull’acqua del lago ha una reazione bellissima. Il grande Pescatore non conferma le parole di Pietro, non lo giudica, ma neppure lo assolve, lo porta invece su di un altro piano, lontano dallo schema del peccato e dentro il paradigma del bene futuro: sarai pescatore di uomini. Non temere il vuoto di ieri, il bene possibile domani conta di più. Gesù rialza, dà fiducia, conforta la vita e poi la incalza verso un di più: d’ora in avanti tu sarai… ed è la vita che riparte. Quando parla a Pietro, è a me che parla. Nessuno è senza un talento, senza una barchetta, una zattera, un guscio di noce. E Gesù sale anche sulla mia barca. Sale sulla barca della mia vita che è vuota, che ho tirato in secca, che quando è in alto mare oscilla paurosamente, e mi prega di ripartire con quel poco che ho, con quel poco che so fare, e mi affida un nuovo mare. E il miracolo non sta nella pesca straordinaria e nelle barche riempite di pesci; non è nelle barche abbandonate sulla riva, ancora cariche del loro piccolo tesoro. Il miracolo grande è Gesù che non si lascia impressionare dai miei difetti, non ha paura del mio peccato, e vuole invece salire sulla mia barca, mio ospite più che mio signore. E, abbandonato tutto, lo seguirono. Che cosa mancava ai quattro per convincerli a mollare barche e reti per andare dietro a quel giovane rabbi dalle parole folgoranti? Avevano il lavoro, una piccola azienda di pesca, una famiglia, la salute, il Libro e la sinagoga, tutto il necessario per vivere. Eppure qualcosa mancava. E non era una morale più nobile, non dottrine più alte. Mancava un sogno. Gesù è il custode dei sogni dell’umanità. Offre loro il sogno di cieli nuovi e terra nuova, il cromosoma divino nel nostro Dna, fratelli tutti, una vita indistruttibile e felice. Li prende e li fa sconfinare. Gli ribalta il mondo. E i pescatori cominciano ad ubbidire agli stessi sogni di Dio”.

Auguri di una settimana con lo sguardo in avanti, disobbediente alle reti vuote e obbediente ai sogni! 

GESÚ É NATO IN PRIMAVERA (Quarta domenica del tempo ordinario, C)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Sono nata il 21 a primavera, ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle, potesse generar tempesta … “ … quasi per caso nasce il mio pensiero di oggi per commentare il Vangelo di domenica, grazie a uno scambio di messaggi su Whatsapp con una cara persona a me molto amica. La citazione è relativa a una poesia di Alda Merini, donna, figlia della sua sofferenza, continuamente generata dal dolore del suo esilio e della sua reclusione in un manicomio, per lunga parte della sua vita. Da viva, allora, rifiutata, da morta, oggi, citata da tutti. Ma si sa, i profeti hanno questa brutta sorte. Ma loro continuano a cantare, a vedere una realtà “altra” rispetto a quella brutta, paralizzante e un po’ stupida alla quale ci si abitua più o meno consapevoli. E la follia, anche questo si sa … scatena tempesta, perchè quando muovi le zolle va tutto per aria. Ieri, oggi e sempre. 

Così per Gesù. Ma possibile? Arriva Uno che ti parla di liberazione da prigioni, di vista ridonata, di tempi di grazia – inattesi e ricevuti – di OGGI che finalmente fioriscono come i fiori sotto i piedi di Proserpina e come reazione “tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù”. Ha quasi dell’incredibile. 

Sarà così: bisogna essere folli a dire che possiamo ancora creare e trovare un senso nella nostra società comatosa che non ci invita a GENERARE, ma a DIFENDERCI DA UNA VITA SENZA SENSO, destinata a morire. E allora non pensiamoci, distraiamoci, spariamole grosse, chiamiamo speranza la disperazione e umanità l’egocentrismo esasperato e disperato, attacchiamoci alla spina che ci dà ogni tanto delle scosse di adrenalina pieni di cose accumulate e rancide … ma per favore, non smuoviamo le zolle!

Languendo in un tempo che passa senza mai essere attraversato dalle nostre consapevolezze. 

Accanto al folle Gesù c’era il folle Paolo (seconda lettura), che nella sua “poesia” sulla carità (l’amore, non l’elemosina) scrive che “la carità si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. Se al posto del nome comune di cosa – CARITÁ –  noi mettessimo un NOME PROPRIO DI PERSONA (il nostro), sicuramente qui in Piemonte direbbero: “Cul lì u l’è prupi fol!” . Ossia: “quello è proprio un folle”. Come Alda, come Gesù, come Paolo, come chi decide di vedere oltre, di non arrendersi al piattume e al pattume, inaugurando, a piccoli colpi di zappa quotidiani, esodi di libertà e offerte di mondi nuovi. 

Viva la follia! 

TERZA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, C

SCRITTORI DI PAGINE DI  VANGELO 

Dal Vangelo secondo Luca

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù
ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «
Oggi
si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Tre interessanti riferimenti possono illuminare e sostenere il nostro cammino umano di questa settimana:

Ministri della Parola. Il Vangelo di questa domenica è piuttosto strano, si compone di due brani distanti 3 capitoli l’uno dall’altro. Nel primo, che dichiara gli intenti dell’opera dell’evangelista illustrando il metodo adoperato per scrivere (molto preciso e frutto di ricerca attenta e approfondita), Luca ci dice che i suoi principali referenti sono stati i “ministri della Parola”. In greco è più bello, c’è scritto “i rematori” nella Parola di Dio, ossia coloro che hanno navigato su questa Promessa, sono avanzati nelle onde della loro vita viaggiando affidati alla sua Memoria e hanno potuto diventare riferimenti credibili di un’esperienza vitale e non di un’arida lezione intellettuale. La Parola diventa così il mezzo che informa i “dialoghi che ci fanno” ogni momento, perchè noi, continuamente, “ce la contiamo”. Siamo sempre frutto del nostro dialogo interiore e dei dialoghi che intercorrono tra noi, gli altri e la realtà. Essere “rematori della Parola” significa scegliere consapevolmente il contenuto della Parola che ha la voce e il volto di Gesù e soccorrendo la nostra povertà di salvati – perchè capaci di ricevere – ci permette di vivere con una qualità eterna, ossia indistruttibile. 

Gesù ritornò in Galilea. É bello vedere che la Sinagoga, il Tempio, il Battesimo, i momenti di preghiera, non sono momenti per stare fermi, ma per ripartire e portare il contenuto dell’incontro con Dio nella propria quotidianità. Anche noi siamo chiamati a tornare nelle nostre personalissime Galilee, fatte di umana fragilità, sconvolgimento, infedeltà, paganesimi, ricchezze, valori, luci e ombre che appartengono a tutte le imperfettissime e bellissime vite umane. D’altronde, altro non ci è dato, ma proprio qui Gesù è interessante  e interessato a passare, perchè il Signore AMA la nostra umanità e altro non desidera che dirci continuamente la Parola che cura le nostre parole e fa morire ciò che ci condanna a morte. 

Oggi si è compiuta la Parola che avete ascoltata. Non si vive che OGGI, quell’oggi che dice presenza, che parla di eternità, di allineamenti, di capacità di integrazione costante di tutte le forze dispersive del tempo e dello spazio. Si dice che Luca fosse un medico. Lo è, perchè consapevole di proporre una cura per la vita attraverso il Vangelo. La Parola di Gesù, accolta e vissuta dalle nostre libertà è la terapia più efficace che esista per ripristinare le energie dell’amore, della fiducia e dei legami fondamentali che ci permettono di vivere.  Il Vangelo è LOGOTERAPIA. Facciamoci curare ogni domenica dall’ascolto che ai prigionieri proclama la liberazione, che ai ciechi ridona la vista e proclama un anno di grazia, anzi, ogni momento nel quale noi decidiamo di accoglierla!  

NON HANNO VINO!

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Ci stiamo facendo accompagnare dalla Parola di Dio nel nostro umanissimo cammino di uomini e donne che ogni momento della loro vita devono scegliere secondo quale (S)spirito vivere e riceverne, di conseguenza, l’energia e la presenza. Magari per qualcuno sentire la parola “spirito” suscita un senso di disorientamento, di astrattezza, eppure lo Spirito di Dio è concretissimo, concreto come una Parola, quella di Dio che ci scuote e rinnova ogni volta che ci facciamo incontrare da Lei, e dall’anima che essa suscita proprio come la Scrittura, che, tra parole di uomini, contiene le Parole di Dio. Anche noi siamo fatti così: dall’incontro tra le nostre parole e quella che Dio ci rivolge nel suo Figlio Gesù. Questa ci aiuterà, come dicevamo la scorsa domenica, a legare come uno spago le nostre dimensioni fisiche, psichiche e sociali. Oggi, allora, ci facciamo incontrare da una parola di FESTA. Che bello che il primo miracolo di Gesù sia a servizio della festa dell’uomo. A servizio di quel bisogno che tutti noi riscontriamo quotidianamente quando, pieni di impegni, cose da fare, pensieri ci sembra di “non avere vino”! Già, Maria, donna attenta, dice: “manca il vino!”, ossia quanto accende la gioia, la speranza, la voglia di continuare a vivere con letizia e leggerezza i giorni della nostra vita. Gli inizi sono tutti promettenti: diventare preti, sposarsi, iniziare un percorso, prendere un impegno importante. Se però manca quel particolare vino che è la forza di Dio che noi da soli non possiamo darci, rischiamo di buttare tutto all’aria e svuotare di significato ciò che per cui avevamo deciso di donare il nostro tempo e le nostre energie. Il miracolo della trasformazione di ciò che abbiamo a disposizione – la nostra acqua – in vino e vita, passa attraverso l’essersi fidati e avere fatto quello che il Figlio di Dio dice per noi. Proviamo a chiederci quali sono le zone della nostra vita che hanno bisogno di essere rinvigorite, rallegrate e rafforzate. Portiamo le nostre anfore davanti a Gesù e permettiamo che siano  riempite con la promessa del suo Annuncio, per trasformarsi in possibilità di ricominciare e continuare nei cammini nei quali crediamo con tutte le nostre forze.

FESTA DEL BATTESIMO DI GESÚ

LO SPIRITO DEL SIGNORE É SU DI ME (?) 

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Sono passati otto giorni dall’inizio dell’anno. Non so se avete fatto qualche proposito. Non so se vi ricordate ancora che siamo in un anno nuovo e non semplicemente nella continuazione di quello appena concluso. Fatto sta che nel Vangelo, che conclude il ciclo delle feste  della natività (azione del nascere – Natale) di Gesù oggi celebriamo la festa del Battesimo del Figlio di Dio. Magari qualcuno si domanderà: “ e cosa c’entra?”. C’entra, perchè il Battesimo rappresenta sempre – come ogni sacramento – un inizio qualitativamente nuovo della vita: per i riferimenti, il desiderio di camminare, le alleanze attivate. Per Dio che cammina con te e tu che cammini con Lui. E che cosa ci dice l’evangelista Luca? Che nel momento del Battesimo “lo Spirito del Signore scese su Gesù” … non sarà che questa sia un’indicazione preziosissima per le nostre vite, non soltanto dal punto di vista spirituale? Sentivo un medico che diceva che secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la SALUTE è uno stato in continua evoluzione nel corso della vita e comprende l’interazione tra il benessere fisico, psichico, sociale e anche … SPIRITUALE (!): già, spirituale, riguarda proprio la nostra spiritualità. E all’inizio della vita pubblica di Gesù c’è proprio lo spiritualissimo Spirito di Dio a mettere il marchio della presenza di Dio sulla vita del Figlio. La salute fisica, psichica e addirittura sociale non bastano per apprezzare la vita fino alla fine: ogni relazione di cui siamo fatti – con noi stessi, con gli altri, con le nostre scelte e le nostre fragilità condivise – sarà difficilissima da supportare (e a volte sopportare) se non mette le proprie radici  in un RESPIRO (spirito) segreto, ampio, curato in grado di dare senso profondo al nostro vivere nel mondo così com’è. Lo Spirito lavora per questo motivo, e lo fa a partire dalla parole che il Padre, in Gesù, rivolge a tutti noi: TU SEI MIO FIGLIO, IO TI AMO, MI PIACE STARE CON TE (ho posto il mio compiacimento). Spiritualità è riaccendere questa consapevolezza ogni giorno, ogni tanto, per altri ogni domenica, con queste PAROLE che vogliono DARE FORMA al nostro tempo dal punto di vista delle nostre scelte, delle nostre parole e di tutto ciò che viviamo. Invecchiare non significa “diventare vecchi”, significa maturare, crescere, aprirsi, scavare e vedere le cose in modo sempre nuovo. Oggi ce lo chiediamo: “che Spirito soffia dentro/su di me?” Il pericolo è invecchiare da giovani! Perchè ci sono quarantenni molto vecchi  e novantenni molto giovani!