DOMENICA della DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE

Gv 2,13-22

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».  
Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

 

Oggi Paolo ricorda con entusiasmo ai suoi interlocutori e a noi: “ Fratelli, voi siete edificio di Dio!”. Forse ogni tanto ci dimentichiamo di avere un “ospite” così importante al centro delle nostre vite. Dimentichiamo che a strutturare quella casa che è la nostra esistenza c’è un fondamento così grande e insostituibile. E poi veniamo sotterrati dalle onde dei mari, dai terremoti inevitabili e dai venti scompligliatori che ogni giorno la vita ci propina. Giustamente l’Apostolo, per questo, in modo accorato avvisa i suoi lettori: “Ciascuno stia attento a come costruisce”, ma non per incutere terrore o aggiungere nuovi pesi rispetto a quelli che già si hanno da portare ogni giorno, bensì per tornare a chiederci qual è il punto attorno al quale ruota il progetto e il disegno dei nostri sogni umani e fraterni. 

Mi vengono in mente quei mezzi di locomozione elettrici che ci sono a Torino in affitto per chi vuole spostarsi con agio da un posto all’altro. Una volta adoperati, molto sovente, vengono lasciati abbandonati e senza ritegno al centro dei marciapiedi, oppure addirittura buttati senza essere appoggiati, perché ormai non servono più. Noi siamo un po’ così, queste biciclette e quei monopattini elettrici  che non hanno più energia per muovere e vengono lasciati e abbandonati in posti qualunque e sicuramente non adeguati. Perchè questa miopia? Perchè questa trascuratezza? Dov’è finita l’energia per muovere i nostri cuori e le nostre mani? 

Ezechiele ci dice che possiamo ritrovarla nel Tempio, perchè da lì escono acque sorgive e piene di vita, e le descrive con queste bellissime parole: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Aràba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove  giungerà il torrente tutto rivivrà” Che belle queste parole: “Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà!”. Non siamo noi questi “esseri viventi che si muovono”? Non siamo noi ad avere grande sete di quest’acqua capace di dissetare e di risanare il cuore affaticato? Sì, siamo proprio noi. Noi che come il Signore rivendichiamo al Tempio la possibilità di diventare un riferimento, una casa di preghiera, ossia di contatto e dialogo con il Padre dei Cieli. Un riferimento meraviglioso che rende anche noi Tempio, e in questo tempio che è il nostro corpo, la possibilità di sperimentare la forza e la speranza della Resurrezione, che pur davanti a distruzioni di edifici costruiti in quarantasei anni, hanno in Gesù la forza di essere rimessi in piedi in tre giorni. É chiaramente un riferimento simbolico, ma è la verità di una forza e di una vita che si riattivano quando la casa del nostro cuore diventa la Casa di Dio, capace di ospitare e interpretare il mondo con occhi nuovi e forze risanate, ma sopratutto attentamente costruite sul fondamento del Vangelo e del Suo Spirito Santo.

 

I SANTI DI CASA NOSTRA

ALCUNE RIFLESSIONI SULLA GIORNATA A SALUZZO PRESSO LA COMUNITÁ “IL CENACOLO”. 

Abbiamo appena vissuto la giornata della Solennità dei Santi e della memoria dei nostri cari viventi nel Risorto. Il senso della loro esistenza è stato attinto a piene mani dal Vangelo e dal desiderio di costruire Regno di Dio attorno a essi per tutti i malati, affamati, assetati, prigionieri, nudi che incrociavano nei loro cammini. Oggi vorrei condividere alcune parole di quattro ragazzi della nostra Comunità che hanno scritto alcune riflessioni sulla giornata trascorsa al Cenacolo, da Suor Elvira, perchè in quel giorno abbiamo visto cosa capita quando una persona decide di affidarsi al Signore e dona la sua vita senza timore. Mille ragazzi, grazie alla generosità di questa semplice suora, possono cambiare i loro orizzonti. 

SOFIA

Sabato mattina, noi parrocchiani del Divin Maestro siamo partiti con il cuore aperto e un po’ di curiosità. Non sapevamo bene cosa aspettarci dal nostro incontro con i ragazzi della comunità Cenacolo, ma sentivamo che sarebbe stata un’esperienza da cui avremmo imparato molto. 

Fin dal nostro arrivo alla Casa di Saluzzo, abbiamo percepito un’atmosfera di accoglienza e fraternità: i ragazzi ci hanno dato il benvenuto con una bella tisana, ma soprattutto con tanti bei sorrisi e apertura al dialogo.

Terminata la colazione, ci siamo spostati in una cappella, che, ci hanno detto i ragazzi con fierezza, avevano costruito alcuni ‘fratelli’ della comunità, come amano chiamarsi reciprocamente. Ebbene sì, perché i ragazzi in comunità, tutti insieme, diventano dei ‘tuttofare’. Ognuno è specializzato nel proprio lavoro: chi ripara le auto, chi fa giardinaggio, chi cucina…tutti si dedicano alla propria occupazione con costanza, e con la gioia di star ritrovando la vita che da sempre avevano cercato.

Così ci ha raccontato Daniele, di 50 anni, nel descrivere la giornata tipo in comunità. Lui stesso si è definito un ‘caso particolare’, poiché era caduto nel vizio della droga in età relativamente avanzata, a circa 40 anni. Ci ha lasciato un’importante lezione: la droga miete le sue vittime senza distinzione di età, né di alcun altro tipo, come abbiamo potuto dedurre dagli altri racconti. Siamo rimasti molto colpiti da tutti, soprattutto perché hanno avuto il coraggio di aprirsi con noi, senza vergognarsi del loro passato. Loro stessi hanno osservato che, pur avendo storie di contesti molto diversi, esse sono accumunate da un filo conduttore: la solitudine e la sensazione di non essere amati, accompagnate da un vuoto interiore, che loro avevano tentato di colmare con la droga. Questo nonostante il fatto che alcuni di loro, prima dell’esperienza della droga, avessero una vita di successo, secondo i canoni della società moderna: ricchezza, partner e successi lavorativi. 

Una volta usciti dal tunnel, sono stati in grado di guardare se stessi con occhi diversi, e di comprendere che la felicità non risiede nei beni materiali. Si leggeva nei loro occhi l’enorme devozione per suor Elvira, che loro chiamavano ‘mamma’, grazie alla quale oggi esiste la comunità Cenacolo. Elvira, benché fosse severa con loro, nutriva un profondo affetto per i suoi ragazzi: quando ha capito che il Padre la stava chiamando a Sé, ha voluto che tutti loro, uno per uno, venissero a darle un ultimo saluto. Dopo aver congedato l’ultimo, suor Elvira è morta serenamente.

Al termine della giornata abbiamo visitato la cappella in cui è posta la tomba di Madre Elvira. Questo momento è stato particolarmente suggestivo, in particolare perché in sottofondo c’era la sua voce registrata. “Dio vi vuole bene per chi siete: siate dunque voi stessi”. Questa è una delle frasi che mi è stata più impressa nel cuore, così come tanti altri bei momenti vissuti in amicizia. 

ALESSIA 

La giornata vissuta alla comunità Cenacolo è stata una bella esperienza piena di riflessioni ed emozioni, abbiamo incontrato dei ragazzi che nella loro vita hanno avuto delle difficoltà e dei momenti di vuoto, ma che ora sono riusciti grazie agli insegnamenti di suor Elvira a capire i loro sbagli e migliorarsi.

È stato molto bello sentire le loro testimonianze e vedere la luce che ora c’è dentro di loro e di come, se si vuole, è possibile cambiare la propria vita.

LEONARDO 

Il messaggio che mi è arrivato è che si può sempre rimediare. 

Spesso i ragazzi che abbiamo incontrato si sono avvicinati alla droga per solitudine (in famiglia o nella società), mentre ora non sono mai soli, sono tutti accoglienti e si vogliono bene.

Anche con noi sono stati accoglienti, ci hanno offerto il loro cibo e ci hanno raccontato le loro esperienze (e non è facile raccontare a tutti di aver sbagliato) e ci hanno mostrato tutte le loro attività.

Lavorano tanto, sempre a coppie, sempre diverse, così si conoscono meglio e possono imparare uno dall’altro. 

LORENZO 

Delle esperienze che i ragazzi del Cenacolo ci hanno raccontato, mi ha colpito soprattutto il grande cambiamento: quando vivevano nella droga, volevano spegnere (spegnere i problemi, spegnere il vuoto, spegnere il dolore), ora invece sono pieni di progetti e di voglia di fare.

Tra loro c’è grande rispetto e amicizia, anche se ognuno è diverso.

Sono anche rimasto impressionato da quanto pregano: pregano tantissimo! Sia di giorno che di notte! Ma questo dà loro il tempo e il coraggio di guardarsi dentro e scoprire che, anche se hanno sbagliato, hanno ancora tanto da dare: chi lì nella comunità, chi in famiglia, chi andando in missione…

“Sì, beato te! ” Ma che dici?

FESTA DI TUTTI I SANTI 

Mt 5,1-12a
 In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

E di nuovo, come ogni anno, la grande sfida che ci rimette davanti al programma di vita che per Gesù può rendere beata, e dunque santa, la nostra vita. 

A parte quelli che si proclamano entusiasti sostenitori di questo modo di esprimersi, ti chiedi: ma il Signore, che cosa voleva dirci con queste parole? 

Beatitudine nella povertà, nel pianto, nella mitezza, nella fame della faticosissima giustizia, nella misericordia beffeggiata, nella purezza di cuore, nell’operare la pace che sembra essere impossibile, nella giustizia che ormai è sempre più una questione privata e non un valore condiviso? 

Ma davvero sarà così? Forse no, o forse sì? Chiediamocelo: ma sono veramente beati e felici quelli che per non dichiarare il loro bisogno si chiudono come delle cassaforti e vivono specchiandosi dal mattino alla sera, sì, magari anche esteriormente perfetti? Sono veramente felici le persone che non hanno niente e nessuno per cui versare qualche lacrima o qualche goccia di sudore, insomma, con nessuna persona da amare? Certo, l’amore fa soffrire, ma rinunciare ad amare per paura di soffrire ti butta in prigione, togli l’amore, ma togli anche la possibilità di vivere, appassionarti, sognare, sorridere. Sono davvero felici le persone arroganti che fanno della prepotenza il loro manifesto esistenziale? Beati perchè non amati ma solo temuti? E dove sono questi entusiasti che hanno rinunciato alla giustizia per farsi dei codici di vita privati che corrispondano alle loro attese immediate e privatissime? Tanti sono i felici che non sanno perdonare, che non hanno la capacità di riconoscere i propri errori e di tornare indietro a chiedere scusa? E quei cuori che non cercano una luce per brillare ma sanno di essere imbrigliati in vuoti e buio, sono cuori che battono al suono della gioia? E chi non opera la pace ma crea sempre disagio e divisione, sì, beato nel suo regno (ma sarà poi vero?) … ma come sta veramente? E chi decide di rimanere nella “lotta” per la giustizia è forse meno gioioso di chi vive per togliere vita attorno a sé? 

Forse Gesù ci sta dicendo che la santità è qualcosa che ci interpella per non essere più soli, ma che ci fa scoprire – oltre la fatiche delle lacrime, della povertà, del peso dell’impegno, della ricerca della luce nonostante le tenebre quotidiane, della giustizia, della pace, della misericordia – gli unici orizzonti in grado di ristabilire una vita felice, non solo dopo questa, ma a partire da … ORA! 

Mettendo da parte i falsi perfezionismi, che nel Vangelo non esistono.