XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C

ALBERI E SGUARDI

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «
Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Buona domenica a tutti accompagnati da Zaccheo. Zaccheo  rappresenta la nostra piccolezza  – non soltanto fisica -, la sensazione di inadeguatezza rispetto alle “altezze” alle quali la vita ci chiama costantemente e tante altre situazioni di distanza e inferiorità che riempiono le nostre menti di pensieri nefasti. Zaccheo ci racconta il nostro essere separati da Gesù “a causa della folla”, folla che ha mille volti: il rimando, l’oblio, la mancanza di cura della relazione con Lui, il rifiuto, la pigrizia, “tante cose da fare che vengono prima “, ecc. ecc.. Ma fin qui, tutto “nella norma”. Lo facciamo quasi tutti.  Zaccheo invece, e soprattutto, rappresenta il coraggio di dire: “non mi voglio fare bloccare e determinare dalle situazioni e dalle cose che capitano nella mia vita, voglio vedere Gesù, e lo farò a tutti i costi, anche di farmi ridicolizzare perchè innalzare lo sguardo per me necessita di scalare una pianta!  E a partire da questa decisione … tutto inizia a cambiare! Vorrei condividere allora, come spunto di riflessione e meditazione settimanale, tre espressioni molto interessanti che ci possono aiutare: 

  1. CERCAVA DI VEDERE GESÚ. Cosa significa per me questo desiderio? Io Gesù lo conosco e quanto tempo dedico per cercare di vederlo sempre più presente nella mia vita? Seguire il Maestro dipende da questa domanda. Senza il desiderio e la ricerca non si danno risultati nella vita, non soltanto nel cammino di fede. 
  2. DOVEVA PASSARE DI LÁ: io non penso che si tratti semplicemente “sotto l’albero”, ma di quel luogo che è il nostro desiderio, il nostro spazio di accoglienza e la nostra disponibilità a fare del Buon Annuncio sulle nostre vite del Figlio di Dio il riferimento determinante per allargare l’orizzonte dei pensieri, migliorare il nostro vivere e vivere nel mondo in modo sempre più autentico e rinnovato. 
  3. OGGI PER QUESTA CASA É VENUTA LA SALVEZZA: Ogni volta che la nostra disponibilità a fare incontrare le nostre parole con la Parola, a permettere al “cercar-mi” di Gesù di incontrare il mio “cercar-Lo”, capita il grande miracolo della salvezza.E capita ogni OGGI, in cui attraverso tutto il cuore, la forza, la mente, l’intelligenza e la forza Gli permetto di essere Salvezza per me e per il mondo attraverso di me. 

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, C

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Domenica scorsa Gesù ci raccomandava di pregare, di stare in Lui per sentirne la presenza e avere vita, con la stessa caparbietà della vedova, donna senza diritti, che si rivolge a un giudice ingiusto che probabilmente non le avrebbe neanche dato retta e col desiderio di vedere giustizia fatta! Situazione paradossale che dice anzitutto la sicurezza che la realizzazione delle cose dipende molto dal nostro starci dentro e dal non perdere mai il coraggio e la speranza. D’altronde si prega sempre e senza stancarsi mai proprio per sperare sempre senza stancarsi mai. Altrimenti … “Signore, da chi andremo?”. 

Oggi il Vangelo ci istruisce di nuovo sulla preghiera dicendo che due caratteristiche in grado di renderla vera sono l’umiltà e l’amore. Il fariseo e il pubblicano convivono in noi. Convive il fariseo in quel desiderio di “sentirci” a posto davanti a Dio, ma soprattutto davanti a noi stessi, perchè abbiamo fatto delle cose religiose. Solo che l’intima presunzione di essere nel giusto a volte ci porta a disprezzare gli altri che non sono come noi, in modo particolare quelli come un peccatore pubblicano. Però Gesù ci ricorda una cosa: se la pratica dei comandamenti non nasce DAL comandamento per eccellenza che è quello dell’amore per Dio e per il prossimo, diventa – per dirla con Paolo – un coacervo di accordi di cembalo stonato e produzione di suoni muti di una campana. E non bastano neanche la fede che sposta le montagne e i corpi immolati e arsi vivi (!). D’altro canto però, ogni tanto, nei momenti in cui siamo veri con noi stessi, anche l’anima del pubblicano affiora nella nostra e ci fa rivolgere “da lontano” nei confronti di Dio, consci di tutta la nostra povertà bisognosa di salvezza, e, a detta di Gesù, nell’unico modo che permette al Signore di potere operare con il suo immenso e incondizionato amore nei nostri confronti, perchè solo nello spazio dell’accoglienza può accadere il dono della sua presenza.  

Pensando al pubblicano e al fariseo, io come mi pongo nella mia preghiera davanti a Dio? 

AVVISO DALLE CARITAS DEL DIVIN MAESTRO E DI SAN CASSIANO

RACCOLTA DI MATERIALE SCOLASTICO
DA DOMENICA 16 A DOMENICA 23 OTTOBRE 2022

Si raccolgono e ritirano quotidianamente:

QUADERNONI A RIGHE E QUADRETTI (grandi e piccoli) QUADERNI RIGHE E QUADRETTI PENNARELLI PUNTA MEDIA
PASTELLI A OLIO
PASTELLI
TEMPERINI con serbatoio
MATITE HB e 2B
ALBUM DISEGNO FOGLI F4 RUVIDO RIGHELLI 60 CM
SQUADRETTE 30 E 45 cm.
GOMMA DA MATITA
COLLE STICK
BIRO ROSSE E BLU CANCELLABILI
PENNE SFEROGRAFICHE
ASTUCCI PER MATITE
ZAINI (anche usati ma in buono stato)

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – C

FAMMI GIUSTIZIA!

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Le mani hanno qualcosa di magico, fondamentale, sono ultima stazione di un processo della libertà che, partendo dalla mente, sede dei pensieri, dei desideri e di quello che c’è dentro di noi, arrivano a “produrre”, a concretizzare e realizzare la nostra storia. Ma sono l’ULTIMA, proprio l’ultima stazione. Prima c’è molto. Molto altro. Lo dico pensando alle mani di Mosè che, nella battaglia di Refidim, hanno bisogno di essere innalzate verso Dio per potere vincere la battaglia. Hanno bisogno di qualcuno che aiuti a sostenere quest’opera. Necessitano di un sostegno che dice una verità fondamentale: tutto quello che siamo lo riceviamo, anche le vittorie delle nostre battaglie personali. E allora invochiamo.  Lo dico pensando a Paolo che esorta Timoteo a tenere bella stretta tra le mani la Parola di Dio che serve a INSEGNARE, a CONVINCERE, a CORREGGERE, a EDUCARE NELLA GIUSTIZIA che generi ogni per buona. Lo dico pensando alle mani della vedova – donna senza diritti e senza uomo –  che insistentemente davanti al giudice le sventola per “ottenere giustizia”. 

Anche la nostra preghiera passa attraverso la stessa strada. Quella preghiera che è il nostro essere consapevoli di essere davanti a Dio come alla sorgente e alla forza “da dove ci verrà l’aiuto”. Quella preghiera che è raccomandata da Gesù proprio in tempi di battaglia, di oscurità, di confusione, di incertezza: “bussate e vi sarà aperto, cercate e troverete, chiedete e vi sarà dato” … ma non è forse questa la vita? Sì, questo, ma non abbandonata a se stessa. 

Ma … il figlio dell’uomo, quando tornerà “troverà ancora la fede sulla terra”? 

E in me? 

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, C

Dal Vangelo secondo Luca

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che
si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci?
E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Che strano questo vangelo: dieci uomini chiedono la guarigione del corpo, vengono guariti e solo uno torna a ringraziare il Signore. E si sente dire: “la tua fede ti ha salvato”. Quale fede? Quella che ti fa ritornare a Gesù, riconoscente di avere trovato in Lui la sorgente della guarigione. Dice bene Ronchi in una stupenda frase: “nella guarigione  SI CHIUDONO LE PIAGHE, nella salvezza SI APRE LA SORGENTE”. Perchè la vera guarigione della vita è proprio questa: la certezza di una salvezza che ti garantisce il senso di una vita al di là della vita stessa e addirittura della morte, la sorgente che ti permette di camminare, di essere, di trovarti: perchè a questo serve conoscere Dio: conoscere il senso del proprio essere, conoscere se stessi. Ed è uguale per tutti il cammino: la consapevolezza di essere lontani, anzitutto, come i dieci che si fermano “a distanza”, e che questa posizione – quando è di nuovo onestamente orientata a Gesù – non è mai un muro, ma sempre una porta che può essere attraversata. E allora iniziano i cammini, inizia la fede che il Vangelo definisce in modo bellissimo: “mentre essi andavano furono purificati”. Già, credere e accordare credito significa camminare, e man mano che la strada si apre e si attraversa fiduciosi il volto splendente di Dio inizia a risplendere sulla vita. 

Buon cammino settimanale a tutti! Cosa ti dice questo Vangelo? 

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, anno C

 Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Per capire la domanda degli apostoli: “accresci in noi la fede”, dobbiamo riandare alla vertiginosa proposta di Gesù un versetto prima: se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ritornerà a te dicendo: “sono pentito”, tu gli perdonerai. Sembra una missione impossibile, ma notiamo le parole esatte. Se tuo fratello torna e dice: sono pentito, non semplicemente: “scusa, mi dispiace” (troppo comodo!) ma: “mi converto, cambio modo di fare”, allora tu gli darai fiducia, gli darai credito, un credito immeritato come fa Dio con te; tu crederai nel suo futuro. Questo è il perdono, che non guarda a ieri ma al domani; che non libera il passato, libera il futuro della persona.Gli apostoli tentennano, temono di non farcela, e allora: “Signore, aumenta la nostra fede”. Accresci, aggiungi fede. È così poca! Preghiera che Gesù non esaudisce, perché la fede non è un “dono” che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, al suo corteggiamento mite e disarmato. «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe». L’arte di Gesù, il perfetto comunicatore, la potenza e la bellezza della sua immaginazione: alberi che obbediscono, il più piccolo tra i semi accostato alla visione grandiosa di gelsi che volano sul mare! Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape. Efficace il poeta Jan Twardowski: «anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede».

Tutti abbiamo visto alberi volare e gelsi ubbidire, e questo non per miracoli spettacolari – neanche Gesù ha mai sradicato piante o fatto danzare i colli di Galilea – ma per il prodigio di persone capaci di un amore che non si arrende. Ed erano genitori feriti, missionari coraggiosi, giovani volontari felici e inermi.

La seconda parte del vangelo immagina una scena tra padrone e servi, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”.

Guardo nel vocabolario e vedo che inutile significa che non serve a niente, che non produce, inefficace. Ma non è questo il senso nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né improduttivi quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato inutile il servizio. Significa: siamo servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza secondi fini. E ci chiama ad osare la vita, a scegliere, in un mondo che parla il linguaggio del profitto, di parlare la lingua del dono; in un mondo che percorre la strada della guerra, di prendere la mulattiera della pace. Dove il servizio non è inutile, ma è ben più vero dei suoi risultati: è il nostro modo di sradicare alberi e farli volare. (E. Ronchi)

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

CANI, ABISSI E SGUARDI

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Abissi: Chi non accoglie l’altro, in realtà isola se stesso, è lui la prima vittima del “grande abisso”, dell’esclusione. Lo scrive a ragione Ronchi, ricordandoci che il destino delle nostre separazioni è proprio la separazione, la divisione e l’isolamento progressivo di chi si stacca dal mondo, dagli altri, da Dio e … infine da se stesso. Chi divide è colui che stabilisce il grande abisso invalicabile che crea l’inferno, perchè, fino a prova contraria, il signore della divisione è il diavolo. Principio distruttivo di autocontorcimento che distruggendo il fratello distrugge se stesso e tutto il mondo. Abramo  dice al ricco uomo del banchetto: “tra noi e voi è posto un grande abisso”, ma è posto da chi vede poco da vicino e vede molto da lontano, da chi fa la carità a quelli che abitano a 10.000 km da casa sua e rifugge indifferentemente il volto del povero che è alla porta di casa sua. Per RIEMPIRE IL VUOTO la sola strada è USCIRE da se stessi, per recuperare l’umano che è comune e imparare e scoprire la propria anima divina che FA AGLI ALTRI QUELLO CHE VUOLE SIA FATTO A LEI. 

Cani: terribile ed estremamente tenera l’immagine dei soli che portano un po’ di conforto al povero Lazzaro: i cani che gli leccano le piaghe. Un unguento di umanità scende sulle ferite di un povero apparentemente disgraziato dalla lingua degli animali, che, contrariamente a quanto proclama il nostro linguaggio comune, ci insegnano che cosa significhi essere umani: lenire le sofferenze di chi vive accanto a noi, dal nostro piccolo e dal nostro essere, da un organo piccolo come la lingua che si staglia contro le ingiustizie del mondo indossate dall’abito di ferite del povero mendicante. E una leccata di una cara bestiolina diventa un gesto rivoluzionario pieno di amore. 

Indifferenza: solo il desiderio di fare la differenza a partire dall’amore può distruggere l’impero del menefreghismo. Il ricco non danneggia Lazzaro, non gli fa del male. Fa qualcosa di peggio: non lo fa esistere, lo riduce a un rifiuto, a un nulla. L’indifferenza è un’arma che distrugge la fraternità, l’umanità e rende tutto appiattito e senza uscita. Papa Francesco lo ricorda: la piaga più grande che impedisce di realizzare un mondo nuovo e un mondo di pace è solo una: la globalizzazione dell’indifferenza. 

Questa settimana usciamo, portiamo a spasso questo cagnolino pieno di compassione e proviamo ad aprire gli occhi per vivere la differenza in grado di sconfiggere le nostra indifferenza.