ISCRIZIONI A CATECHISMO 2022/2023

Pubblichiamo gli orari di iscrizione al Catechismo per il nuovo anno pastorale.

Come gli scorsi anni, per ogni annualità ci si iscrive dopo la Messa delle 10,30: ci si ferma in Chiesa e verranno distribuiti i moduli di iscrizione, ci salutiamo, spieghiamo il senso del cammino che ci aspetta, e … ripartiamo!

PRIMA ELEMENTARE: a fine dicembre. 

SECONDA ELEMENTARE: a fine dicembre. 

TERZA ELEMENTARE:CELEBRAZIONE DEL  SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE

DOMENICA 2 ottobre: Messa delle 10,30  + riunione con i genitori 

QUARTA ELEMENTARE: CELEBRAZIONE DEL SACRAMENTO DELL’EUCARESTIA

DOMENICA 9 ottobre: Messa delle 10,30 + Riunione con i genitori 

QUINTA ELEMENTARE

DOMENICA 16 ottobre: Messa delle 10,30 + Riunione con i genitori 

CORSO IN PREPARAZIONE ALLA CELEBRAZIONE DELLA CRESIMA

DOMENICA 23 ottobre: dalla prima, seconda e terza media. 

Messa delle 10,30 + Riunione con i genitori. 

Per fare la Cresima occorre avere frequentato i 3 anni, che non coincidono necessariamente con le  classi delle scuole medie. 

Chi arriva da altre parrocchie deve portare il certificato di frequenza del Catechismo da dove proviene e deve frequentare il secondo e il terzo anno. Se non ha mai frequentato dopo la Comunione inizierà dalla prima annualità. 

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

POSSEDUTI DAI NOSTRI POSSESSI 

 

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te?
Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno.
So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro.
Non potete servire Dio e la ricchezza».

 

Il brano del Vangelo di oggi termina  dichiarando che non si può servire Dio e la ricchezza. In realtà nel testo greco si parla di Mammona, ossia dell’illusione menzognera  che le ricchezze portano al cuore dell’uomo sostituendole con la vera ricchezza, che non è quella del possesso delle cose, ma la fioritura delle nostre relazioni in gesti di amore e di fraternità. E di solito, per diventare molto ricchi, lo sappiamo, dobbiamo rinnegare la strada dell’umanità e del rispetto degli altri per intraprendere dei percorsi che portano alla chiusura, all’ingiustizia e al rinnegamento dei diritti di tutti, a favore dell’ingiusto usufrutto di poche persone di tutte le risorse del mondo. Questa non è ricchezza, anzi! É impoverimento della terra, sfruttamento, concentrazione e concertazione indebita dei flussi delle potenzialità umane soltanto nelle tasche di un piccolo numero di uomini. No! Fino a quando ci sarà un’idea così non solo si rifiuterà Dio, ma si provocherà anche la distruzione del mondo che Lui ha creato e ha messo nelle nostre mani. Il Vangelo oggi ci propone allora tre riflessioni a mio parere interessanti per rendere le parabole di Gesù “parlanti” al nostro cuore: 

  1. Rendi conto della tua amministrazione. Tutti noi siamo amministratori. Almeno delle nostre potenzialità, delle nostre vite, dei nostri talenti e delle nostre risorse. Arriva un momento nella vita nel quale questa domanda comincia a risuonare nella nostra testa. Ossia: “come sto amministrando i miei giorni?”. Non sempre le risposte ci lasciano la tranquillità per dormire sonni tranquilli, perchè nel momento in cui prendo in mano il senso delle cose allora, anche davanti al fallimento, capisco che mi devo ancora rimboccare le maniche per sostituire al chiacchiericcio e alle critiche una mia risposta e un mio coinvolgimento personale in grado di riorganizzare le mie risorse a favore del mondo, di quanto sta al di fuori di me. Come sta andando l’amministrazione della mia vita? L’amministratore del Vangelo decide di passare dall’interesse delle cose all’interesse per le persone. Non sarà anche questa, per me, la possibilità di ristabilire il senso della gestione del mio tempo? 
  2. Il padrone lodò il suo amministratore perchè aveva agito con scaltrezza. E aveva anche agito subito. Il padrone loda il suo contabile non perchè era un ladro o per l’astuzia, ma per la prontezza all’azione. Nel Vangelo – se noi crediamo in Dio –  non c’è spazio per le paralisi e per le rinunce. Si riparte. Con coraggio. Pieni di speranza. La risposta al nostro peccato, ai nostri errori, alle nostre strade sbagliate non è l’autocommiserazione, ma la pronta decisione di cambiare: Gesù è venuto per guarirci e per farci camminare. La sua Parola e il suo Spirito sono il nostro mobiletto dei farmaci per lenire le nostre ferite, fasciare le nostre infezioni e … guarire. Viene in mente Isaia che al cap. 35 scrive: “3 Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. 4 Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio … Egli viene a salvarvi»”.
  3. Non potete servire Dio e la ricchezza. No! Non si serve “mammona”, ma si serve Dio che è la vera ricchezza, che è la nostra capacità di diventare signori non da soli, ma insieme alle persone che la storia ha “consegnato” nelle nostra mani, perchè da individui si trasformino in prossimi e fratelli. Ogni mattina, chiediamocelo: “oggi, come voglio amministrare il capitale che mi è stato affidato?” L’amore per Dio e per il prossimo (e per me stesso) è fondamento di ogni cosa, ce lo ricorda anche la preghiera di colletta. 

XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

PECORE, MONETE E FIGLI

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Domenica scorsa Gesù diceva, a chi lo seguiva, che se non amava Lui più della madre, del padre, delle sorelle, dei fratelli, di tutti e addirittura della propria vita non poteva essere suo discepolo. Abbiamo capito che la sua richiesta non era per dare meno a qualcuno e di più a Lui, ma per trovare quella pienezza in grado di nutrire e dare forza al nostro amore, che è tale solo perchè è sempre totale. Solo che la totalità non è facile da supportare e sopportare, per questo ci va grande attenzione per Colui che è in grado di offrire pienezza continua a chi lo rende Signore della propria vita e in grado di amare non solo a parole.

Interessante diventa allora  il Vangelo di oggi, che forse doveva essere letto come introduzione a quello della scorsa domenica, dove emerge una cosa bellissima: Gesù che ti chiede di amarlo di più, è anzitutto Colui che per primo ama te più di tutti gli altri, nella tua singolarità, e lo racconta con l’esempio del pastore che va alla ricerca della pecora smarrita e della donna che perde la moneta e si mette a cercarla affannosamente, oppure del Padre che aspetta il ritorno del figlio per farlo riappropriare di tutta la sua dignità, della sua vita e del suo posto nel mondo. 

Cercare, trovare … la Storia della salvezza inizia con la ricerca di Dio che non vede Adamo ed Eva nel giardino perchè si erano nascosti, e domanda loro: “Adamo, Eva, dove siete?” … Oggi lo fa anche con noi: “Luigi, dove sei? Perchè ti nascondi? Perchè non hai fiducia in me?” … se avrò il coraggio di uscire dal cespuglio dietro il  quale mi sono rintanato, trovando il Padre ritroverò anche me stesso, perchè la cosa che a volte non capiamo, è che tutto quello che noi facciamo per Dio, o meglio, Gli permettiamo di fare a noi, non è per Lui, non ne ha bisogno, ma esclusivamente per noi. 

E allora torniamo in questo abbraccio che continua a cercarci, non ne saremo delusi, anzi, la nostra vita si riprenderà e troverà una nuova identità. Il pastore continua a cercare. La brava massaia continua a mettere sottosopra la casa, il Padre mi aspetta sul ciglio della strada di casa: “DOVE SEI?” … “DOVE SONO?”. 

 Concludo con le parole sempre altamente poetiche – e dunque realistiche – di Ermes Ronchi: “Il Padre che tutto abbraccia è ridotto ad essere nient’altro che questo: braccia eternamente aperte, ad attenderci su ogni strada d’esilio, su ogni muretto di pozzo in Samaria, ai piedi di ogni albero di sicomoro: la casa del Padre confina con ogni nostra casa. È “giusto” il Padre in questa parabola? No, non è giusto, ma la giustizia non basta per essere uomini e tanto meno per essere Dio. La sua giustizia è riconquistare figli, non retribuire le loro azioni. L’amore non è giusto, è una divina follia. La parabola racconta un Dio scandalosamente buono, che preferisce la felicità dei suoi figli alla loro fedeltà, che non è giusto ma di più, è esclusivamente buono”.

VENTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO . C

I CUSTODI DEL FUOCO

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Fuoco e divisione sono venuto a portare. Vangelo drammatico, duro e pensoso. E bellissimo. Testi scritti sotto il fuoco della prima violenta persecuzione contro i cristiani, quando i discepoli di Gesù si trovano di colpo scomunicati dall’istituzione giudaica e, come tali, passibili di prigione e morte. Un colpo terribile per le prime comunità di Palestina, dove erano tutti ebrei, dove le famiglie cominciano a spaccarsi attorno al fuoco e alla spada, allo scandalo della croce di Cristo.

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra. Il fuoco è simbolo altissimo, in cui si riassumono tutti gli altri simboli di Dio, è la prima memoria nel racconto dell’Esodo della sua presenza: fiamma che arde e non consuma al Sinai; bruciore del cuore come per i discepoli di Emmaus; fuoco ardente dentro le ossa per il profeta Geremia; lingue di fuoco a Pentecoste; sigillo finale del Cantico dei Cantici: le sue vampe sono vampe di fuoco, una scheggia di Dio infuocata è l’amore.

Sono venuto a gettare Dio, il volto vero di Dio sulla terra. Con l’alta temperatura morale in cui avvengono le vere rivoluzioni.

Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma divisione. La pace non è neutralità, mediocrità, equilibrio tra bene e male. “Credere è entrare in conflitto” (David Turoldo). Forse il punto più difficile e profondo della promessa messianica di pace: essa non verrà come pienezza improvvisa, ma come lotta e conquista, terreno di conflitto, sarà scritta infatti con l’alfabeto delle ferite inciso su di una carne innocente, un tenero agnello crocifisso.

Gesù per primo è stato con tutta la sua vita segno di contraddizione, “per la caduta e la risurrezione di molti” (Luca 2,34). Conosceva, come i profeti antichi, la misteriosa beatitudine degli oppositori, di chi si oppone a tutto ciò che fa male alla storia e ai figli di Dio. La sua predicazione non metteva in pace la coscienza di nessuno, la scuoteva dalle false paci apparenti, frantumate da un modo più vero di intendere la vita. 

La scelta di chi perdona, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare ma servire, di chi non vuole vendicarsi, di chi apre le braccia e la casa, diventa precisamente, inevitabilmente, divisione, guerra, urto con chi pensa a vendicarsi, a salire e dominare, con chi pensa che vita vera sia solo quella di colui che vince.

Come Gesù, così anche noi siamo inviati a usare la nostra intelligenza non per venerare il tepore della cenere, ma per custodire il bruciore del fuoco (G. Mahler), siamo una manciata, un pugno di calore e di luce gettati in faccia alla terra, non per abbagliare, ma per illuminare e riscaldare quella porzione di mondo che è affidata alle nostre cure.  

(E. Ronchi) 

XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, C

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più»

Il fondale unico su cui si stagliano le tre parabole (i servi che attendono il loro signore, l’amministratore messo a capo del personale, il padrone di casa che monta la guardia) è la notte, simbolo della fatica del vivere, della cronaca amara dei giorni, di tutte le paure che escono dal buio dell’anima in ansia di luce. È dentro la notte, nel suo lungo silenzio, che spesso capiamo che cosa è essenziale nella nostra vita. Nella notte diventiamo credenti, cercatori di senso, rabdomanti della luce. L’altro ordito su cui sono intesse le parabole è il termine “servo”, l’autodefinizione più sconcertante che ha dato di se stesso. I servi di casa, ma più ancora un signore che si fa servitore dei suoi dipendenti, mostrano che la chiave per entrare nel regno è il servizio. L’idea-forza del mondo nuovo è nel coraggio di prendersi cura. Benché sia notte. Non possiamo neppure cominciare a parlare di etica, tanto meno di Regno di Dio, se non abbiamo provato un sentimento di cura per qualcosa.

Nella notte i servi attendono. Restare svegli fino all’alba, con le vesti da lavoro, le lampade sempre accese, come alla soglia di un nuovo esodo (cf Es 12.11) è “un di più”, un’eccedenza gratuita che ha il potere di incantare il padrone.

E mi sembra di ascoltare in controcanto la sua voce esclamare felice: questi miei figli, capaci ancora di stupirmi! Con un di più, un eccesso, una veglia fino all’alba, un vaso di profumo, un perdono di tutto cuore, gli ultimi due spiccioli gettati nel tesoro, abbracciare il più piccolo, il coraggio di varcare insieme la notte. 

Se alla fine della notte lo troverà sveglio. “Se” lo troverà, non è sicuro, perché non di un obbligo si tratta, ma di sorpresa; non dovere ma stupore.

E quello che segue è lo stravolgimento che solo le parabole, la punta più rifinita del linguaggio di Gesù, sanno trasmettere: li farà mettere a tavola, si cingerà le vesti, e passerà a servirli. Il punto commovente, il sublime del racconto è quando accade l’impensabile: il padrone che si fa servitore. «Potenza della metafora, diacona linguistica di Gesù nella scuola del regno» (R. Virgili).

I servi sono signori. E il Signore è servo. Un’immagine inedita di Dio che solo lui ha osato, il Maestro dell’ultima cena, il Dio capovolto, inginocchiato davanti agli apostoli, i loro piedi nelle sue mani; e poi inchiodato su quel poco di legno che basta per morire. Mi aveva affidato le chiavi di casa ed era partito, con fiducia totale, senza dubitare, cuore luminoso. Il miracolo della fiducia del mio Signore mi seduce di nuovo: io credo in lui, perché lui crede in me. Questo sarà il solo Signore che io servirò perché è l’unico che si è fatto mio servitore.

(E. Ronchi) 

INSIEME A SAMPEYRE …

Domenica 24 luglio, noi ragazzi del gruppo giovani del Divin Maestro siamo partiti per trascorrere tre giorni insieme in montagna a Sampeyre, a conclusione dell’estate ragazzi.
Che dire, nel complesso è stata un’esperienza unica e indimenticabile, ma allo stesso tempo irripetibile, e solo il ripensarci ci fa venire un po’ di nostalgia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Innanzitutto è stato un piccolo viaggio alla scoperta della natura che ci circonda, in tutte le sue forme e le sue sfumature: domenica pomeriggio infatti, abbiamo fatto una breve passeggiata fino ad arrivare al ponte Tibetano che, devo ammettere, ha sempre il suo perché e rende possibile, inconsciamente, la creazione di un bel quadretto montano con il panorama mozzafiato in mezzo a tutte le alture, ai boschi e al suono dell’acqua del fiume che scorre di sotto.

Martedì invece, abbiamo fatto un’uscita che ci ha occupato l’intera giornata, fino ad arrivare a Colle del Prete, una località a 12.6 km da Sampeyre. E’ stata una giornata indimenticabile, sotto tutti i punti di vista.
In generale questi sono stati giorni in cui abbiamo avuto l’occasione di tirare fuori e mettere in risalto le nostre qualità e doti fisiche ma, oltre a questo, siamo riusciti a mio parere a rafforzare i legami umani creatisi tra i vari componenti del nostro piccolo gruppo, e questa è stata davvero una delle cose più belle e inaspettate che potessero succederci.
Tutto questo è stato reso possibile grazie al fatto che abbiamo avuto modo di passare molto tempo insieme, di lasciarci andare, di aprirci gli uni con gli altri e di chiacchierare liberamente, anche con le persone che magari prima non ci aspettavamo di legare così tanto. Per me ognuno di loro, a modo proprio, occupa uno spazio speciale nel mio cuore, per la loro capacità di ascolto, di comprensione e per la loro disponibilità.

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa piccola vacanza a Sampeyre è stata molto importante anche dal punto di vista del confronto, perché proprio martedì mattina ci siamo riuniti per fare un resoconto finale sull’estate ragazzi di quest’anno, ricordando i momenti più coinvolgenti, ma anche le possibili fatiche e responsabilità riscontrate; inoltre abbiamo cercato di elaborare alcune proposte anche per il nuovo anno, sia per il nostro gruppo di giovani animatori che per l’impegno estivo in sé.
In conclusione, è stato davvero un viaggio pieno di emozioni, di risate e di tanto puro divertimento che, senza ognuno di noi, sono sicura non sarebbe stato lo stesso.

Ci tengo a ringraziare in particolar modo Don Luigi per la possibilità che ci ha dato di stare insieme e di vivere questi giorni in assoluta spensieratezza, e ovviamente anche Angela e Francesca, sempre disponibili e pronte a qualsiasi nostra esigenza.
Grazie Sampeyre e…ad altre mille esperienze così, ricche di umanità.

Francesca Bodeanu

DICIASSETTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Dal Vangelo secondo Luca

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”»…

Questa settimana vi invito a cercare  20 minuti da dedicare a voi stessi soltanto, al silenzio del cuore e all’accoglienza delle bellissime parole di Ermes Ronchi, sintesi magistrale piena di cuore e amore per Gesù,  che commentano egregiamente e in modo insuperabile il Vangelo di domenica. 

“Da sempre i cristiani hanno cercato di definire il contenuto essenziale della loro fede. Gesù stesso ce lo consegna: lo fa con una preghiera, non con un dogma. Insegnaci a pregare, gli hanno chiesto. Non per domandare cose, ma per essere trasformati. Pregare è riattaccarci a Dio, come si attacca la bocca alla fontana; è aprire canali dove può scorrere cielo; è dare a Dio del padre, del papà innamorato dei suoi figli, è chiamare vicino un Dio che sa di abbracci, e con lui custodire le poche cose indispensabili per vivere bene. Ma custodirle da fratelli, dimenticando le parole “io e mio”, perché fuori dalla grammatica di Dio, fuori dal Padre Nostro, dove mai si dice “io”, mai “mio”, ma sempre Tu, tuo e nostro. Parole che stanno lì come braccia aperte: il tuo Nome, il nostro pane, Tu dona, Tu perdona.

La prima cosa da custodire: che il Tuo nome sia santificato. Il nome contiene, nella lingua della Bibbia, tutta la persona: è come chiedere Dio a Dio, chiedere che Dio ci doni Dio. E il nome di Dio è amore: che l’amore sia santificato sulla terra, da tutti. Se c’è qualcosa di santo e di eterno in noi, è la capacità di amare e di essere amati.

Venga il tuo Regno, nasca la terra nuova come tu la sogni, una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.

Dacci il pane nostro quotidiano. Il Padre Nostro mi vieta di chiedere solo per me: «il pane per me è un fatto materiale, il pane per mio fratello è un fatto spirituale» (N. Berdiaev). Dona a noi tutti ciò che ci fa vivere, il pane e l’amore, entrambi necessari, donaceli per oggi e per domani.

E perdona i nostri peccati, togli tutto ciò che invecchia il cuore e lo fa pesante; dona la forza per sciogliere le vele e salpare ad ogni alba verso terre intatte. Libera il futuro. 

E noi, che conosciamo come il perdono potenzia la vita, lo doneremo ai nostri fratelli e a noi stessi, per tornare leggeri a costruire di nuovo la pace.

Non abbandonarci alla tentazione. Non ti chiediamo di essere esentati dalla prova, ma di non essere lasciati soli a lottare contro il male. E dalla sfiducia e dalla paura tiraci fuori; e da ogni ferita o caduta rialzaci tu, Samaritano buono delle nostre vite.

Il Padre Nostro non va solo recitato, va sillabato ogni giorno di nuovo, sulle ginocchia della vita: nelle carezze della gioia, nel graffio delle spine, nella fame dei fratelli. Bisogna avere molta fame di vita per pregare bene. Fame di Dio, perché nella preghiera non ottengo delle cose, ottengo Dio stesso. Un Dio che non signoreggia ma si coinvolge, che intreccia il suo respiro con il mio, che mescola le sue lacrime con le mie, che chiede solo di lasciarlo essere amico. Non potevo pensare avventura migliore”.