FESTA DI CRISTO, RE DELL’UNIVERSO

DALL’ ALFA ALL’ OMEGA! 

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»
.

E ti viene subito in mente: “guarda come sono  cattivi Pilato e i dottori della Chiesa” e … “guarda com’è bravo Gesù”, per il loro modo di vivere il rapporto con il potere. I primi lo usano per loro stessi, Gesù lo adopera per gli altri. Tutto vero, ma non tutto esatto questo giudizio negativamente moralistico, perchè il POTERE – ossia ciò che POSSIAMO fare noi per dare senso alla nostra vita – sta molto a cuore al Vangelo. Noi siamo abituati a pensare il nostro legame con Dio più sotto la lente del DOVERE, ma se il nostro dovere non promana dal nostro desiderio di fare qualcosa per POTERE FARE qualcosa di sensato, buono e significativo, diventa mero esercizio esteriore privo di anima e di vita, perchè lì dentro non ci siamo noi. Il potere non è un problema, il problema per il Vangelo è se il suo esercizio mira il senso delle cose in modo giusto o errato, perchè a seconda di cosa punta dipende il nostro vivere e il nostro morire. Dunque, non dobbiamo solo domandarci che cosa “dobbiamo” fare, ma anche che cosa POSSIAMO FARE, che cosa POSSIAMO VOLERE e che cosa VOGLIAMO POTERE. Il Signore Gesù ogni domenica ci dà delle indicazioni molto precise, e i dialoghi con i personaggi che incontra – oggi si tratta di Ponzio Pilato – in fondo ci rappresentano benissimo.

Anche noi siamo chiamati a domandargli se Lui è veramente un Re, o meglio, se è il nostro Re. Anche noi siamo interpellati a fare diventare le  domande che Gli rivolgiamo delle domande che “ci riguardano”, ci aiutano a essere, ad accrescere e fare fiorire il nostro stare al mondo, attivi e presenti a noi stessi e ai nostri cammini. Pilato è un po’ “distratto” e superficiale in realtà, fa le domande ma non attende le risposte, perchè a lui interessa solo mantenere la sua posizione dominante, e il modo di Gesù di esprimere la sua regalità lo fa ridere. Uno che accoglie, perdona, guarisce, ama … come può essere un re? I Re fanno il contrario. Il problema è che Pilato non capisce che la regalità è una condizione che riguarda anzitutto l’anima e, in un secondo momento la sua esternazione in gesti concreti. Non capisce che la regalità non è legata a ciò che si possiede, ma è la condizione umana di chi senza paura si dona per dare senso al proprio esistere. Pilato non capisce e muore di paura, Gesù “sta nella verità” che è il Padre e vive di libertà.

Per questo … è il vero RE! E così rende “signori” tutti coloro che decidono di seguirlo come loro Signore.

 

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DISASTRI e DESIDERI

 Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il
sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,
le
stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora,
nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

Gesù era un osservatore. Domenica scorsa, sentivamo che si era seduto davanti al tesoro del Tempio per vedere “come” la gente faceva le offerte. Gesù, uomo di qualità –  che impara attentamente dalla realtà che lo circonda per scoprire che all’occhio e al cuore attenti “tutto parla” – oggi ci chiede di imparare dalla pianta del fico il processo della maturazione del frutto, che è sempre una dinamica di cambiamento: da un ramo nudo, a dei teneri germogli che si trasformano in foglie e iniziano a generare  frutti dolcissimi. 

Anche il Regno di Dio è come la pianta del fico: chi lo accoglie vede che nella sua vita le cose cominciano a trasformarsi. É vero, a volte la sua logica è un po’ scomoda perchè  pone davanti a quella verità che “mette a nudo” le piante come la stagione dell’autunno; che fa sentire spaesati e abbandonati come una folata di vento invernale che soffia su rami apparentemente inerti e abbandonati; che premia la tenacia di chi sta e permette alla Parola di portare frutto e concimare le radici della propria vita e a un certo punto fa respirare il profumo della primavera; per accorgersi con gioia che, quella che sembrava una morte in realtà si sta finalmente rivelando una vita piena e generosa, estiva. E Gesù lo dice: è venuto affinché chi  accoglie Lui porti molto frutto.  

E allora ben venga se seguire i passi del Maestro ogni tanto porta al fallimento le nostre “cosmologie esistenziali”. Dove i cieli riflettono pallide luci di soli opachi, flebili raggi lunari che, più che illuminare, rendono assai “lunatici” coloro che li ricevono, stelle che smettono di rimanere attaccate al cielo delle illusioni, e sgonfiano la tronfia processione di quelle che noi, personalmente, abbiamo nominato nostri riferimenti. Anche le “star” di Hollywood hanno bisogno di qualche “ritocchino” estetico ogni tanto … ; e allora ben venga. Ben venga che certe luci lascino spazio ad altre più luminose, ben venga che la luna rifletta la potenza e il calore di un astro affidabile, ben vengano i disastri (caduta di astri) se sono in grado di accendere desideri (dalle stelle) in grado di rifarci sperare, vivere e fruttificare con lo sguardo elevato verso la vita, verso Gesù, verso il Suo Regno e dunque … per la nostra terra. Quindi, nessuna paura, nessuno sa quando, eccetto chi vuole fidarsi e si mette in cammino! 

TRENTADUESIMA DOMENICA

 MONETINE 

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava
come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato
parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

GUARDATEVI DA … l’orientamento dello sguardo del nostro cuore corrisponde alle attese e ai desideri che lo alimentano. L’occhio si poggia sempre su ciò che cerca il cuore e la tensione che ne nasce allea le mani, le orecchie, i piedi, i sentimenti per dare vita a quello che si cercava e si pensa di avere trovato. Ricevere saluti nelle piazze, stare al di sopra degli altri, avere i primi posti … quanta inconscia e mascherata similitudine nel nostro piccolo e sulla scena della nostra limitata quotidianità. Per Gesù questi atteggiamenti non sono all’altezza del cuore umano e della grandezza dei figli Dio, nati non solo per essere destinatari di attenzioni e privilegi, ma missionari (mittenti!) in grado di costruire e aprire mondi nuovi grazie a degli atteggiamenti che, evangelicamente,  spingono continuamente a uscire, donare e condividere. Non per fare moralismi a buon mercato, che non servono a nessuno, ma soprattutto per dichiarare che ci sono delle cose che quando vengono assolutizzate non ci fanno vivere, anzi. L’originalità di Gesù, però, non si ferma alla denuncia e alla condanna, perchè il Maestro, quando dice che delle cose non sono funzionali all’umana realizzazione, propone sempre delle alternative. In questo caso propone ai suoi discepoli (noi), di guardare alla vedova del tempio che non ha paura di 

DONARE TUTTO … Il tutto c’è, anche negli scribi, certamente, ma bisogna sempre chiedersi da quali desideri sono alimentate le nostre totalità. 

COME … e non semplicemente QUANTO. Il valore delle nostre quantità dipende sempre dalla profondità che diamo al nostro modo di vivere. Troppo facile gettare migliaia di euro quando se ne posseggono miliardi. Molto più difficile gettarne due, quando se ne hanno … solo due. Tutto. Questa donna “ha dato tutto quello che aveva per vivere”. Gli altri hanno dato per avere onore, complimenti, rinvii, opportunità, rendiconti. E l’offerta diventa una compera. Per la povera donna, un dono. Chiaro, chi di noi ci riuscirà? Solo Gesù è la vedova del Tempio. Ma l’invito del Figlio rimane chiaro: “siate come il Padre vostro che è nei cieli”. La tensione alimenta l’attenzione e l’attenzione permette di trovare nuove strade e nuove  liberazioni. 

PARTE DEL SUPERFLUO … questa l’ho sentita da una catechista, e mi ha colpito: per qualcuno a essere “importante e di valore” è  “il superfluo”. Quante volte capita anche a noi: diamo valore a ciò che valore non ha … Per me, per noi, cosa ha veramente valore, per cosa siamo disposti a dare la nostra vita? Cosa possiamo identificare come “essenziale”? 

 “Che cosa mi dice questo testo? Che cosa dico io a “lui”, partendo dalla mia esperienza di vita? Cosa mi suggerisce, mi smuove, mi propone … mi irrita?”. 

XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, b

 SCUTA! 

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Sembra una domanda da niente quella che lo scriba rivolge a Gesù, ma per uno che si barcamenava dal mattino alla sera tra 10 comandamenti, 365 precetti e 248 prescrizioni che dovevano servire a cercare e definire in modo sempre più preciso il senso del comando di Dio, chiedere quale sia IL PIÚ IMPORTANTE significa: “qual è quella unica parola, quel comando, quell’orientamento dal quale dipende tutto il resto?”.

Significativo chiederlo al Signore, che aveva la pretesa di essere IL Figlio di Dio, dunque Colui che viveva come il Padre, che lo conosceva, che ne poteva parlare a pieno titolo. Ancora più sorprendente  che Gesù riduca tutto quel dedalo intricatissimo di numeri e collegamenti a  un unico comandamento sorgivo: quello dell’amore di Dio, del prossimo e di se stessi, che soltanto nella loro unità possono salvaguardare il gesto del dono della propria vita. Perchè se non so amare me stesso non so amare neanche il mio prossimo, e se non so amare il mio prossimo – volto visibile dell’invisibile presenza di Dio – non posso neanche dire di amare il Signore.

Altra cosa interessante: siamo davanti a un comandamento. Di solito quando si da un comando si usa l’imperativo; ebbene, nella formulazione del comando non compare a proposito dell’amore, che viene coniugato al futuro (“amerai”), ma a proposito dell’ascolto: “Ascolta, Israele!”. Come dire: se non c’è un ascolto non c’è amore, e se non c’è amore … non nascono neanche le storie d’amore, ossia quelle delle nostre umanissime vite. “Che cosa mi dice questo testo? Che cosa dico io a “lui”, partendo dalla mia esperienza di vita? Cosa mi suggerisce, mi smuove, mi propone … mi irrita?”.