7 MAGGIO, GIOVEDÌ …

LAVARE

Dal Vangelo secondo Giovanni

[
Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro:
«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.
Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto;
ma deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono.
In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

Oggi il Vangelo ci fa fare un “passo indietro”

Torniamo agli ultimi gesti e alle ultime parole che Gesù pronuncia e fa, lasciandoli come “eredità” per la “memoria” dei suoi discepoli.

Leggendolo mi colpiscono tre cose: 

1. DEVE COMPIERSI LA SCRITTURA

Deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. 

Gesù  dice queste parole ai suoi discepoli parlando del tradimento di Giuda.  

Strano modo di compiersi della gloria del Figlio di Dio.  Eppure, Gesù pensa che il suo modo  più esatto di “essere Dio” ai piedi di Giuda,  sia proprio quello di continuare ad offrirgli la possibilità di lavare i suoi piedi e  dargli da mangiare, ossia di lavarlo e di nutrirlo, proprio come fa un genitore con il proprio figlio.

La fedeltà più forte del tradimento è segno unico di quella (divina) umanità capace di  riaccendere la possibilità di vivere, anche lì dove la morte sembra avere l’ultima parola. 

Amare, allora, servire la vita, i fratelli,  a partire da Gesù, non sono più  i gesti delle “persone buone”,  ma le potenti decisioni di donne e uomini coraggiosi che sanno che, a volte, si può continuare solo così,  nonostante tutte quelle forze avverse che la vorrebbero asservire, svilire e spegnere. 

Sapendo una cosa: l’amore non può essere né imposto né autoimposto, deve nascere da una comprensione, una consapevolezza e una scelta con radici ben più profonde, e il Vangelo ci racconta COME e QUANTO Dio ci ami, attraverso Gesù.

2. AI PIEDI (dei discepoli)

Gesù si mette ai piedi dei discepoli per dirlo. Lava i loro cammini, non ha paura di “scendere” per incontrarsi con l’odore, a volte sgradevole, della terra e di ciò che si può calpestare lungo la strada: di tutto! In quel gesto Giovanni identifica il gesto eucaristico del dono del suo corpo per noi. E ricorda ai suoi discepoli che un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. 

Beatitudine sarà “mettere in pratica”. 

Il Vangelo parte di lì. 

Solo quello il mandato della memoria del discepolo. 

3. AL POSTO (di Gesù) 

Oppure può capitare che a volte ci si metta “al posto di Gesù”  e/o di Dio. 

Allora capitano i pasticci: quella che voleva essere una Buona Notizia di speranza, amore e liberazione si trasforma in  pessima comunicazione di disperazione, paura, chiusura e oppressione. 

La storia insegna, non abbiamo bisogno di fare troppe esemplificazioni. 

Nel grande e nel piccolo le cose non cambiano. 

Oggi il Vangelo ci invita a prendere una POSIZIONE, a chiederci: ma noi, che ci diciamo cristiani, dove siamo: AI PIEDI, o AL POSTO di Gesù?. 

O da nessuna parte? Ma anche quella è una decisione! 

6 APRILE, MERCOLEDÌ …

LUCE SIA! 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù esclamò:
«Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato.
Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché
non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, 
che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

Un pensiero: 

Leggendo il Vangelo di oggi,  mi è tornata alla mente questa foto che, qualche mattina fa, mentre sorgeva il sole, ho scattato dalla finestra di casa mia. 

Più che spiegare e meditare, oggi vorrei invitarvi a contemplare, ossia a notare con stupore due elementi dell’immagine: il gesto benedicente di Gesù è all’altezza della luce del sole e  della Parola che sorregge con l’altra mano.  

Adesso lo sappiamo, alcuni di noi lo hanno addirittura accettato: Gesù  possiamo sceglierLo come Maestro e Luce per la nostra vita.

La Parola altro non è che il segno della BENE-DIZIONE che Gesù ci offre  come possibilità di luce perenne e costante nel buio della nostra vita:

Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre”. 

Proviamo a fare risuonare nel nostro cuore questa parola, magari quando oggi ci fermeremo due minuti per riavere un po’ di pace nel cuore. Facciamo scendere nel nostro profondo questa convinzione: Gesù desidera solo venire da me per “fare luce” per “essere” la mia luce. 

E poi, l’altra bellissima frase:

non sono venuto per condannare il mondo ma per salvare il mondo

É tempo che ricominciamo a domandarci quanto spazio  ci sia dentro di noi per accoglierne la luminosità, per chiederci se la nostra vita sia una risposta alle tenebre o alla luce, alla morte o alla vita. Proviamo a scendere un po’ nel profondo di noi stessi, ad abbandonarci alla luce di Gesù, a farci abbracciare da questa parola: non sono venuto a condannarti, ma a salvarti, a darti vita, luce e accoglienza!. 

5 MAGGIO, MARTEDÌ …

CHIARE, FRESCHE, DOLCI ACQUE … 

Dal Vangelo secondo Giovanni

Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore
ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Dal Salmo 86

E danzando canteranno:
«Sono in te tutte
le mie sorgenti».

Un pensiero: 

Per conoscere le cose bisogna andare in profondità, la natura ci insegna tutto! 

Me lo diceva stamattina un signore che ascoltava il mio racconto sugli innocenti fili di tenera erbetta, che si insidiano tra i cubetti di porfido del cortile della Parrocchia. Esili e impercettibili all’esterno, ma con radici nascoste, grandi e forti, capaci addirittura di smuovere il cemento. 

Verissimo: la natura ci insegna tutto! Quante cose, esteriormente, “sembrano nulla”, ma “in realtà …” 

Questa cosa la sapeva  benissimo tutta la sapienza biblica, di cui è impregnato anche  il linguaggio di Gesù: uva, pastori, pecore, grano, lievito, le cose di tutti i giorni costellano la lingua del Vangelo e ci parlano del Regno di Dio, in modo chiarissimo e inequivocabile. 

E allora, vediamo come, oggi, ci può venire incontro l’uso di queste parole per vivere la nostra giornata, o concluderla, per chi, magari, leggerà di sera. 

ERA INVERNO 

Sembra un’annotazione buttata lì per caso. Eppure se Giovanni l’ha messa ci sarà un significato. 

Inverno: tempo di attesa, di riposo della terra, di morte apparente, di sogni di frutti,  di sole e di calore. 

É significativo pensare Gesù come la possibilità del riscatto dell’inverno. Il Risorto che, nel Tempio, è la vita oltre la morte, oltre ogni morte che decide di non arrendersi a se stessa, ma si apre, con coraggio e decisione, con esiti a volte assai alterni, al Vivente. 

C’è il Tempio e c’è il Signore. Non sono la stessa cosa. Non è detto che la frequenza del Tempio corrisponda alla ricerca del Signore. Come per  i Giudei, ferventi religiosi, che non vogliono credere in Lui. Anche se gli parlano. Anche se gli fanno delle domande. Non appartengono al gregge di coloro che scelgono Gesù come pastore della loro vita. 

ASCOLTARE, CONOSCERE, SEGUIRE

Quelli che, invece, fanno parte del gregge del Pastore buono sono coloro che ascoltandolo, lo conoscono e lo seguono. Tre verbi diversi che però dicono e definiscono il senso della fiducia e dell’affidamento. Il senso della fede. 

Fede è sempre ascoltare una voce o un’ispirazione, approfondirla e conoscerla sempre di più, e seguirla, ossia renderla possibilità di viaggio e di cammino. Diciamo FEDE, ma potremmo dire anche molto semplicemente VITA.  Perché la fede É questione di vita! Se la mattina, quando ti devi alzare dal letto, non hai una voce che guida i tuoi pensieri, che ti rende responsabile (ossia, capace di risposta), che dà senso a quello che fai e ti fa organizzare il tempo e il senso e il cammino, allora, veramente, quando manca,  senti dentro di te che la migliore cosa da fare è girarsi sull’altro fianco per continuare a dormire. 

La cura della ricerca di ciò che in modo sempre più sensato, profondo e radicale fonda la mia vita è il lavoro di cui maggiormente avremmo bisogno ogni giorno, e, sovente, il più disatteso. 

É acqua, ma non abbiamo tempo per bere. É cibo, ma non abbiamo neanche tempo per mangiare. E non lo dico ironicamente. Però, se non ripartiamo di lì, ho paura che quella seducente voce della resa sull’altro fianco, possa prendere sempre più spazio, magari sotto le spoglie di un attivismo euforico,  immemore della sua vera fame. 

SONO IN TE TUTTE LE MIE SORGENTI

Concludiamo così, tornando all’acqua, all’essenziale. 

Perché tutto parte di lì, dalla nostra sorgente. 

Bene scrive Erri De Luca nel suo libro E disse: “Chi vede un fiume guarda il verso in cui scorre, dove scende secondo la corrente. Ma il futuro di un fiume è alla sorgente”. Ossia, viviamo e “scorriamo” in base a quello che noi scegliamo di mettere “all’inizio”.

E le differenze … sono grandi!

Per riflettere: 

Qual è la mia sorgente? 

4 MAGGIO, LUNEDÍ …

ESCO! 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse:
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

UN PENSIERO … 

Oggi inizia la FASE 2.

Si sente: la strada è più rumorosa, i marciapiedi molto più affollati, unica differenza rispetto a “prima”, una mascherina sulla bocca. 

Si esce! Non vedevamo l’ora. 

Ma si esce … da dove? 

Da casa! 

Solo da casa? 

Beh, sì, è già tanto. Però, sinceramente, voi non avreste anche voglia di uscire, non solo da casa, ma come ci suggerisce il quadro, da qualcos’altro che ci ingabbia, che ci tiene ostaggi, che, aldilà della pandemia ci fa sentire un disagio e un malessere di base che non ci fa sentire all’altezza del nostro cuore, dei nostri desideri e del nostro essere quello che siamo? 

Forse  io sono un po’ paranoico, ma ogni giorno sento questa necessità:  incontrare qualcuno che mi permetta di farlo, che mi consenta di non vivere solo, racchiuso dalle  quattro cornici del quadro, ma mi faccia vivere, mi apra, mi lanci nel mondo, diverso. 

Stamattina, mentre celebravo la Messa leggevo queste parole nel prefazio: “ In Lui (Gesù), vincitore del peccato e della morte, l’universo risorge e si rinnova, e l’uomo ritorna alle sorgenti della vita 

Ecco chi è per me Gesù: Colui che mi permette di tornare quotidianamente “alle sorgenti della vita”. Oltre la morte, oltre il peccato, che non è semplicemente cattiveria, ma opera che esprime la nostra terrificante paura di fidarci di Dio e della sua Promessa. Solo il peso di questa paura ci fa agire con gesti che tendono a “conservare” qualcosa che, per sua natura, esiste solo se si decide di donare: la vita. 

Vita che si chiama così perchè si muove. 

Vita che si chiama così perchè esce. 

Vita che si chiama così perchè non annega in se stessa. 

Vita che si chiama così, perchè sola forza che vince la morte. 

E oggi Gesù, Buon Pastore, nel Vangelo ci svela il SUO segreto, che può diventare anche il nostro, affinché la vita non sia mai sequestrata, distrutta e derubata da nessun brigante (come diceva il Vangelo di ieri): 

“NESSUNO ME LA TOGLIE PERCHÉ IO LA DONO DA ME STESSO”

Ecco perché Gesù è il Risorto! Gesù non può essere ucciso, perchè la sua vita è stata data fino alla fine, senza riserve e ripensamenti. Manco la morte può farcela. 

Nel momento in cui anche noi decidiamo di donare una cosa, nessuno ci deruberà. 

Questa è l’unica forma per riprendere i cammini e USCIRE!

Non solo da casa, ma da noi stessi! 

E magari … dietro al Buon Pastore! 

Buona ripresa a tutti! 

Per riflettere:

Io, da dove e da cosa voglio uscire?

3 MAGGIO, DOMENICA …

VOCI

In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

(Per favore guardate il breve video per capire cosa sto scrivendo)

https://youtu.be/xAdpo2rKur0

Eh, sì, Gesù aveva proprio ragione: le pecore seguono il Pastore perché ne conoscono la voce! Ce l’ha mostrato bene il pastore del video: puoi urlare quanto vuoi, fare le capriole e perdere la berta, ma loro … non  ascolteranno gli estranei. 

Non ascoltare gli estranei non vuol dire che non saranno “sedotte” o “fregate”, ma che il loro cuore non sarà mai lì dove si trovano “ingannate” con il loro corpo. 

La vera posizione della nostra vita non è solo quella fisica del nostro corpo, ma anzitutto quella del nostro cuore: noi siamo là dove è il nostro cuore, non dove ci vedono e ci facciamo vedere; noi siamo là dove sentiamo la verità che scorre dentro di noi e che per mille motivi abbiamo abbandonata, anche se questo ci ha sequestrato la vita, ci ha uccisi interiormente e ci ha letteralmente distrutti. Noi andiamo sempre, un po’ ingenuamente e scriteriatamente,  dove ci porta il cuore, ma non ci chiediamo mai se il nostro cuore batta e dia vita lì, proprio nel posto in cui ci troviamo. 

Ora, il primo passo per riconoscere la bontà della voce del Pastore è questo: riconoscere (o riscoprire) la verità del nostro cuore di pecora. 

Ridirci, con estrema verità, se ci sentiamo “divisi e alienati” e se veramente allontanarci dal Pastore Buono sia  per noi la soluzione che ci faccia finalmente trovare pace, unità e voglia di vivere. 

E perché le pecore ri-conoscono questa voce?

Perché  hanno fatto esperienza del fatto che in quell’ascolto altro non c’era che VITA E VITA IN ABBONDANZA. Perché hanno capito che chiamare ogni pecora per nome, significa che proprio “stando dietro a Lui”, hanno trovato la posizione che le ha rese pastori anche della loro vita. 

Stiamo con il Signore per diventare signori, sovrani; amiamo Dio per ricominciare ad amare noi stessi e il prossimo nostro in modo diverso; accogliamo delle indicazioni di strada, di senso e di passione perché abbiamo capito che Lui, proprio Lui, è la nostra VIA, VERITÁ e la nostra VITA. 

Cristo esiste perchè IO ri-esisto in Lui. 

Se non passo da questa esperienza, con grande serietà e attenzione, Gesù sarà destinato a rimanere  quella statuina impolverata nell’angolo nascosto della mia casa, o il feticcio delle mie proiezioni mentali infantili e immature che non mi riscattano mai dal torpore acquietante e compromissorio con le voci che non mi portano da nessuna parte: “Tanto ci pensa Dio!”.  E Lui, puntualmente, non ci pensa. E allora lo abbandono. E abbandonando Lui … abbandono me stesso. E il ciclo si perpetua infinitamente, perché continuo a non capire che senza incarnazione non c’è Dio; senza di me  (IO) non c’è nessun Cristo; senza pecore non esiste pastore. O meglio, c’è, ma  chissene …. ? Che ci sta a fare un pastore in una fabbrica di macchine? 

Il Pastore fa esattamente il contrario dei ladri e dei briganti, i quali vengono per RUBARE, UCCIDERE e DISTRUGGERE. 

E io …  chi sto ascoltando? 

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Ringrazio e riporto le riflessioni prodotte e sintetizzate dai ragazzi delle medie e dalle loro catechiste: 

“Io sono venuto perché abbiamo la vita e ne abbia in abbondanza”

Pk il pastore donerebbe la sua stessa vita per le sue pecore , come Cristo ha fatto con noi , mentre il ladro si può paragonare al diavolo , ci vuol trarre in inganno e far smarrire la retta via” .

“Chi non entra dal recinto delle pecore dalla porta ma vi sale da un’altra parte è un ladro e un brigante. Speriamo di avere sempre la forza di bussare a quella porta senza cercarne altre che sembrano più facili. La porta che è Gesù che non delude, perchè non è ladro né brigante.”

“Mi colpisce sempre la famigliarità  con la quale il pastore si rivolge alle pecore… le chiama ad una ad una, conosce il loro nome, ha costruito con loro un rapporto chiaro e trasparente, non interessato ed ha sicuramente  dedicato a loro molto tempo.

Mi piace sapere che questo è  il rapporto che il Signore vuole instaurare con noi se sappiamo riconoscere la sua voce  perché  il bello di questo rapporto è  anche che noi siamo liberi di scegliere.”

“Questo passo del vangelo mi dà una grande serenità, perché mi dà la certezza che c’è sempre qualcuno che si occupa di me. Il Signore mi conosce…. Conosce ognuno di noi”.

“Io sono venuto perché abbiano vita e l’abbiano in abbondanza”. Se seguiamo il pastore non dobbiamo temere l’abbondanza della vita nella sua pienezza. 

Proprio così, perché a volte la cosa che ci fa più paura è … vivere in pienezza! 

BUONA DOMENICA! 

2 MAGGIO, SABATO …

AUSTE!*

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, la Chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.
E avvenne che Pietro, mentre andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che abitavano a Lidda. Qui trovò un uomo di nome Enèa, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. Pietro gli disse: «Enèa, Gesù Cristo ti guarisce; àlzati e rifatti il letto». E subito si alzò. Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saròn e si convertirono al Signore.
A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità – nome che significa
Gazzella – la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni ella si ammalò e morì. La lavarono e la posero in una stanza al piano superiore. E, poiché Lidda era vicina a Giaffa, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, gli mandarono due uomini a invitarlo: «Non indugiare, vieni da noi!». Pietro allora si alzò e andò con loro.
Appena arrivato, lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto, che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi, rivolto alla salma, disse: «Tabità,
àlzati!». Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva.
La cosa fu risaputa in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore.

Un pensiero:

I latini dicevano: “nomen omen est”, ossia, “il nome è una promessa, un impegno”. Noi diciamo un po’ più volgarmente: “tutto un programma!”. 

Oggi vorrei che pensassimo questo adagio in riferimento alle persone, incontrate da Pietro, di cui parla il libro degli Atti degli Apostoli. 

Enea.

Beh, anche a chi non l’ha mai studiato, non può non venire in mente l’Eneide (che narra, appunto, le gesta del guerriero Enea) e l’Iliade di Omero. 

Enea è uomo dell’azione, della guerra, dei viaggi, del fato, dell’affidamento agli dei. Insomma, dici Enea e pensi al peperoncino, a una vita scoppiettante e mai ferma, piena di avventure. Una vita …piena di vita! 

Non così per il “povero” Enea della nostra lettura, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. Si direbbe più un anti-Enea che un vero Enea, si direbbe il contrario delle movimentatissime gesta, che riceve in eredità quasi indiretta, colui che porta questo nome. 

E poi Gazzella, Tabità. 

Chi di noi non si intenerisce di fronte a questo meraviglioso mammifero, corridore della Savana, che può raggiungere i 50 km orari? Corridore per vocazione. Corridore per necessità, se pensiamo alla storiella del leone che la rincorre … Corridore, dunque, per vivere! 

Negli Atti degli Apostoli, Gazzella, che era una donna,  in quei giorni si ammalò e morì. 

Insomma, sembra di trovarci davanti a una situazione che ti fa pensare: “ma noi non siamo fatti per questo!”. 

Vero! Infatti siamo fatti per camminare, correre e vivere! 

É interessante il comando che Pietro dà a entrambi i miracolati dall’incontro, attraverso di lui, con Gesù: “ALZATI!” 

Già: prima di camminare, di riprendere le proprie attività, di rifare il letto, occorre fare anzitutto questa cosa: ALZARSI. 

Alzarsi per rimettersi a respirare in modo nuovo, alzarsi per pensare che non possiamo rimanere “coricati” nei nostri pensieri che bloccano il flusso della vita, alzarsi e rimettersi a pensare, da una nuova posizione, il senso delle cose. 

É anzitutto un annuncio di LIBERAZIONE, un moto di GIOIA, di ESULTANZA, per mutare il nostro stato di vita pieno di odio, pregiudizi, morte  e risentimenti che ci fa coricare in noi stessi. 

Dal GIORNO DI PASQUA, l’uomo CAMBIA POSIZIONE, deve cambiare il proprio modo di pensare:  passare da un cuore imprigionato a un cuore libero. Come Pietro dopo la Resurrezione, che sembra avere ammorbidito la sua vita e il proprio nome, duro come la roccia,  davanti al Risorto che ha convertito le sue paure, per suggerire a noi  di immergerci nel nome di Gesù: per ricevere il suo Spirito di vita. 

Questi giorni l’Enea e la Gazzella frustrati che ci sono in noi lo sentono in modo netto: si manifesta ciò che prima era occultato:  il non senso di tanti nostri modi di vivere. 

Il mondo in cui viviamo (e anche il nostro modo) però, non vuole che meditiamo e pensiamo queste cose: ci chiede invece di terrorizzarci davanti alla TV. Non ci chiedono di mutare la mente (per tutta la Quaresima non dicevamo “convertitevi”, ossia, cambia modo di pensare?) , perché se mutiamo la nostra mente e gli togliamo il FONDAMENTO scopriamo che molte della sue concezioni sono semplicemente folli, e, anziché farci correre e vivere, non fanno altro che “farci sognare” il momento di “tornare a letto”.

Altro che “alzati”!  

(*”alzati” in piemontese)

1 MAGGIO, VENERDÍ …

MERAVIGLIOSO!

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e
in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi

Un pensiero … 

Il Vangelo di oggi è ME-RA-VI-GLIO-SO! 

Sicuri di loro stessi, i compaesani di Gesù sciorinano tutte le loro certezze, sotto forma di domanda, per impedire alla Parola che è Gesù, di diventare la RISPOSTA che loro e ogni uomo dovrebbero accogliere per dare senso, cammino, profumo, direzione e profondità a una vita, finalmente riconsegnata a un destino e a un contenuto promettente. 

C’è da pensarci, il Vangelo ci dice che per accogliere Gesù e sentirlo vivo bisogna fare tre cose: 

  1. Si accoglie il Figlio quando ci si converte a Dio convertendosi agli uomini. Loro sono la “casa”, il “tempio”, la “locanda”, la residenza della Sua presenza. E allora nessuno stupore se Gesù che ha tutta quella sapienza e fa tutti quei prodigi sia figlio del falegname, di Maria e che abbia come fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e sorelle che abitano nello stesso paese! Proprio questa è la bellezza del Vangelo: RIPARTE DA NOI. Solo un attento sguardo intorno dice la verità e il senso dei nostri occhi sovente rivolti all’alto in un astratto cielo senza nulla. A volta addirittura senza Dio e solo pieno di noi stessi e delle nostre proiezioni mentali. 
  2. La patria e la casa di Dio, anziché diventare luogo di accoglienza, sono i posti dove il profeta viene disprezzato. La casa naturale della residenza di Gesù dovrebbe essere anzitutto il cuore e la vita dei suoi discepoli, di noi, che ci definiamo cristiani. Gesù risiede profondamente nei miei pensieri e nelle mie logiche, riesce a trasformare le mie mani e le mie parole, mi rende “come Lui”? Nella mia specifica unicità, ma proprio “come Lui”.  E chi vede me, capisce che l’ospite più importante del cuore sia Lui? Gesù diceva: “chi vede me vede il Padre”. E chi vede me, chi vede? 
  3. “Non fece molti prodigi a causa della loro incredulità” … Specifico per quanto riguarda Gesù, generico per quanto riguarda la vita: sovente le cose non capitano per questo solo motivo: NON CI CREDIAMO! E credere significa non arrendersi, lavorare, scavare, sperare, continuare … solo così, quello che non c’è ancora avrà possibilità di esserci. Tutto si trasforma, come il legno lavorato da Giuseppe. Come le convinzioni in futuri che ci vedono coinvolti. Come Gesù, quando ritrova generoso e attento spazio di ospitalità, soprattutto nella MIA casa. 

Auguri a tutti quanti i Giuseppe, maschi e femmine. 

Un ricordo speciale per i “lavoratori” …  

GLI ALBERI (1 maggio)

GLI ALBERI

Visto che oggi è giorno di festa, magari avete più tempo. Vi propongo una bellissima pagina di un libro di Erri de Luca, pertinente con la festa di Giuseppe, che accoglie Gesù nella sua casa diventandone padre: 

L’albero è la  forza verticale di natura, spinta dal suolo a sollevarsi in alto. Somiglia alla postura della specie umana. 

Per capire i falegnami bisogna risalire ai boschi. Chi si è inoltrato in un’assemblea di alberi, è stato accolto alla loro ombra, si è steso sulle sue radici ha potuto ascoltare il coro. Noi moderni siamo abituati all’indifferenza per la materia prima e al culto per il prodotto finito. Siamo abituati a pagare poco la fonte e cara la foce. La scrittura sacra racconta il valore degli alberi, del legno e del lavoro umano. 

Il tronco trasformato in assi ha bisogno di starsene disteso per stagioni intere a dimenticare la linfa
e indurire la fibra. Gesù impara da Iosèf, participio presente del verbo iasàf, aggiungere, accrescere. Ioséf è colui che aggiunge. Questo dovrebbe essere il titolo di ciascuno che viene al mondo, e già con la sua presenza accresce l’umanità di immensità nuova, ricchezza di una vita in più a rincalzo di forze contro lo spreco della morte. Ci vogliono molti Ioséf in una generazione. 

Lui è falegname, un maestro di alberi e di tagli, un fornitore di arnesi per la comunità. Gesù nasce in una stalla, ma cresce in una bottega di artigiano. Fatto è che Gesù ha svolto da fondo a cima il lungo apprendistato da garzone a mastro durante gli anni eterni d’infanzia e adolescenza. Il suo corpo è cresciuto sotto la disciplina del lavoro manuale. E se è vero che in fatto di scrittura sacra era «nato imparato» come si dice al sud, che sapeva discutere alla pari con dottori e studiosi, questa dote non gli era stata data pure in falegnameria. Nella bottega di Ioséf, non gli fu risparmiato nessun grado dell’addestramento, compreso le martellate sulle dita. 

Toccava a lui, Gesù, finire come un legno disteso e immorsato, messo in opera da una volontà di offerta e sacrificio. La sua vita era materia prima. La docilità del legno era la sua. Gli alberi non possono scappare, quando arrivano i tagliatori, restano ad accoglierli e a farsi abbattere. Anche lui come loro non era scappato”. 

(Erri De Luca, Penultime notizie circa Ieshu/Gesù)

30 APRILE, GIOVEDÌ

Cosa mi impedisce? 

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etíope, eunùco, funzionario di Candàce, regina di Etiòpia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaìa.
Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e
accòstati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaìa, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui.
Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:“Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché
è stata recisa dalla terra la sua vita”.
Rivolgendosi a Filippo, l’eunùco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù.
Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunùco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua;
che cosa impedisce che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunùco, ed egli lo battezzò.
Quando
risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunùco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa.

Non so se capita anche a voi, ma a volte le parole mi fanno venire in mente delle canzoni.

Oggi, nel racconto degli Atti degli Apostoli, la parola “carro” ha fatto venire a galla (dal deposito oggetti del mio cervello) uno spiritual che a me piace molto: Swing low, sweet chariot … Ossia “dondola dolce carro … arriva per portarmi a casa”. 

Anche su un carro, sulla strada che  scendeva da Gerusalemme a Gaza,  l’Eunuco stava tornando a casa dopo aver visitato la città santa del popolo eletto. 

(Quanto assomiglia, questo inizio, a quello della famosa parabola del Buon Samaritano, dove un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico). 

L’uomo eunuco legge il rotolo del profeta Isaia dove si parla del Servo di Jhawhè, descritto come pecora condotta al macello, dalla indescrivibile discendenza, la cui vita é stata recisa dalla terra. 

Proprio come  lui: senza possibilità di discendenza, senza possibilità di appartenere al popolo eletto, allontanato dalla stessa Legge di Mosè, perché impossibilitato di portare sulla carne il segno dell’alleanza … sarà anche stato amministratore di tutti i beni della regina di Etiopia, ma puoi avere tutte le cose della terra, se la vita non ti scorre dentro, se il futuro ti è chiuso, vivi da morto (non è di nuovo il poveretto della parabola, malmenato e buttato violentemente in un fosso?). 

Solo la spiegazione di quella parola – da parte di Filippo – sentita tanto enigmatica quanto vicina alla vita del suo lettore, diverrà comprensione, attraverso l’annuncio di Gesù – Salvatore di ogni uomo –  che anche per l’eunuco la vita non era giunta al termine, ma anzi, attraverso il gesto del Battesimo, che “liquefaceva” tutti quei pensieri così distruttivi, poteva entrare nel senso di una vita salvata e destinata a essere feconda e piena di futuro perché radicata nel Dio che dà la vita a tutti i figli che lo accolgono come loro Salvatore. 

Filippo diventa il Buon Samaritano dell’annuncio di una Salvezza, che è tale a partire dal momento dell’accordo di una fiducia accogliente e ospitale. Dal momento in cui, come ci ricordavano i ragazzi domenica scorsa, la “locanda” del cuore apre la sua porta al messaggero e al Messaggio che “non c’è morte che tenga” nell’orizzonte del Vangelo e della speranza che annuncia. 

Il solitario eunuco non è più lo stesso: quando risale sul suo carro è pieno di gioia! 

E pieno di gioia prosegue la sua strada. Ossia, vive. Vive riempito da una presenza che sarà luce continua sul suo cammino. 

Ora, io penso che questa Parola ci riguardi tutti da vicino. Forse l’eunuco è anche nostro compagno di viaggio, anche lui si accosta a noi, sale sul nostro carro, scende con noi per battezzarci e ricordarci che mai nulla (se non noi) ci impedirà di immergerci nell’acqua che dà vita e continuare, con lo sguardo risollevato, anche se con fatica, il nostro cammino. Personale e comunitario. 

29 APRILE, MERCOLEDÌ…

CONFLITTI

Dagli Atti degli Apostoli

In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samarìa.

Uomini pii seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. Sàulo intanto cercava di distruggere la Chiesa: entrava nelle case, prendeva uomini e donne e li faceva mettere in carcere.

Quelli però che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola.

Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.

Dal Vangelo secondo Giovanni

Voi mi avete visto, eppure non credete.

Un pensiero:

Perché si dice che la Parola di Dio è Parola di vita? 

Anzitutto perché contiene e trasmette la Vita, che è Gesù, ma poi perché parla sempre DELLA nostra vita e ALLA nostra vita. 

Il mondo e le situazioni nelle quali accade, se facciamo attenzione,  corrispondono inevitabilmente alle location delle nostre personalissime esperienze, e proprio lì – se ci crediamo – può accadere l’incredibile esperienza di avere trovato quel “tesoro” che ci permette di investire in qualcosa che, a dispetto di ogni contraddizione, ci consente di non fermarci mai, ma anzi, apre scenari inaspettati, inediti e sovente assai fruttuosi. 

Proprio come capita nel Libro degli Atti degli Apostoli: si apre con una violenta persecuzione e si chiude con grande gioia in quella città.

Una persecuzione è un evento drammatico: c’è  addirittura un super fariseo (come si definiva Paolo) che cerca di distruggere la Chiesa.  

Cosa succede però? Quelli che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola, e quelli che sentivano erano molto interessati vedendo anche dei segni in grado di liberare dagli spiriti malvagi, di rimettere in piedi, di riallineare cammini  … INIZIA COSÍ L’EVANGELIZZAZIONE. 

Non è che la stessa cosa capita così anche nelle nostre vite? 

Non è che proprio nei momenti di massima “agitazione” interiore, insicurezza e minaccia il ricorso alla speranza, che è Gesù, sia l’unica vera forza e vita in grado di riempire, ancora e nonostante tutto, le nostre membra infiacchite, ferite  e demotivate? Il nostro confidare in Lui la porta di accesso a processi di trasformazione altrimenti impossibili? In quel momento capita che un evento, brutto come una persecuzione, che per noi può avere mille volti diversi,  diventi la possibilità di scoprire veramente l’alleanza con quel  Salvatore che crea in me un respiro nuovo, rieduca i passi del mio cammino e mi fa rialzare. 

E ritorna la gioia che non è l’ebete sorriso incantato di chi “lascia che sia, tanto ci pensa Dio”, ma operosità rinnovata e rinvigorita in un cuore che ospita il Risorto. 

E capisci che quella città della Samaria, sono proprio io. 

Sono proprio io che devo essere evangelizzato! Ossia, che IO devo diventare Vangelo,  IO devo essere nutrito, istruito, fecondato,  saziato e guidato da quella PAROLA DI VITA. 

Se la mia relazione con Gesù non passa di lì, anche se sono un super-cristiano, rischio proprio di vivere quella situazione che Gesù  sbatte in faccia ai suoi interlocutori: VOI MI AVETE VISTO, MA NON CREDETE. Noi lo vediamo, andiamo a Messa, diciamo le Preghiere: ma. … permettiamo alla Parola di Dio di evangelizzarci, ossia di rendere la nostra  vita COMUNICAZIONE BUONA, ricevuta e donata?

Leggevo queste belle parole di Michaeldavide Semeraro: “ogni volta che la Parola di Dio ritrova il suo posto d’onore non solo liturgico, ma esistenziale nella vita delle comunità ecclesiali e nel vissuto di ogni singolo credente, le cose, pur rimanendo uguali nella sostanza, sono avvertite in modo profondamente diverso”.

Quindi, anche  se dobbiamo ancora aspettare qualche giorno in più per celebrare insieme l’Eucarestia, la nostra recezione esistenziale della Parola può sempre avvenire. 

A partire di lì troviamo vita.

E poi faremo festa. 

Per riflettere: 

Domande che dovremmo farci ogni volta che ascoltiamo o leggiamo la Parola di Dio: 

“É reale? Mi riguarda? Mi appella? Mi rendo conto che è possibilità unica di rigenerazione?”