GESÚ É NATO IN PRIMAVERA (Quarta domenica del tempo ordinario, C)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Sono nata il 21 a primavera, ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle, potesse generar tempesta … “ … quasi per caso nasce il mio pensiero di oggi per commentare il Vangelo di domenica, grazie a uno scambio di messaggi su Whatsapp con una cara persona a me molto amica. La citazione è relativa a una poesia di Alda Merini, donna, figlia della sua sofferenza, continuamente generata dal dolore del suo esilio e della sua reclusione in un manicomio, per lunga parte della sua vita. Da viva, allora, rifiutata, da morta, oggi, citata da tutti. Ma si sa, i profeti hanno questa brutta sorte. Ma loro continuano a cantare, a vedere una realtà “altra” rispetto a quella brutta, paralizzante e un po’ stupida alla quale ci si abitua più o meno consapevoli. E la follia, anche questo si sa … scatena tempesta, perchè quando muovi le zolle va tutto per aria. Ieri, oggi e sempre. 

Così per Gesù. Ma possibile? Arriva Uno che ti parla di liberazione da prigioni, di vista ridonata, di tempi di grazia – inattesi e ricevuti – di OGGI che finalmente fioriscono come i fiori sotto i piedi di Proserpina e come reazione “tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù”. Ha quasi dell’incredibile. 

Sarà così: bisogna essere folli a dire che possiamo ancora creare e trovare un senso nella nostra società comatosa che non ci invita a GENERARE, ma a DIFENDERCI DA UNA VITA SENZA SENSO, destinata a morire. E allora non pensiamoci, distraiamoci, spariamole grosse, chiamiamo speranza la disperazione e umanità l’egocentrismo esasperato e disperato, attacchiamoci alla spina che ci dà ogni tanto delle scosse di adrenalina pieni di cose accumulate e rancide … ma per favore, non smuoviamo le zolle!

Languendo in un tempo che passa senza mai essere attraversato dalle nostre consapevolezze. 

Accanto al folle Gesù c’era il folle Paolo (seconda lettura), che nella sua “poesia” sulla carità (l’amore, non l’elemosina) scrive che “la carità si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. Se al posto del nome comune di cosa – CARITÁ –  noi mettessimo un NOME PROPRIO DI PERSONA (il nostro), sicuramente qui in Piemonte direbbero: “Cul lì u l’è prupi fol!” . Ossia: “quello è proprio un folle”. Come Alda, come Gesù, come Paolo, come chi decide di vedere oltre, di non arrendersi al piattume e al pattume, inaugurando, a piccoli colpi di zappa quotidiani, esodi di libertà e offerte di mondi nuovi. 

Viva la follia!