SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA … cronache dal nostro mondo che riguardano tutti
Riportiamo la trascrizione della Conferenza sul CONGO. Condotta da Anselme Bakudila, suo fratello Valere con la moglie Dolores (medico a Kinshasa) e Maria Chiara Tropea, rappresentante delle “donne in nero”
Non possiamo più soffermarci ad additare vittime e carnefici, ma si percepisce un grande bisogno di collaborazione perché la guerra è una tragedia che coinvolge tutti.
Il Congo.
(Valere Bakudila – agronomo)
Prima volta dopo 50 anni transizione pacifica del potere.
Questo non significa che sia stato un passaggio del tutto pacifico perché la popolazione, la chiesa cattolica, molte associazioni,… hanno spinto molto e con molta fatica perché venissero indette elezioni democratiche.
In realtà l’attuale presidente non è stato eletto democraticamente perché chi è al potere lo è in funzione di un accordo poco chiaro.
Il problema è sempre che da una parte c’è un grande desiderio di cambiamento, dall’altra un grande desiderio di non perdere potere.
La gente vuole andare avanti, crescere come popolazione, ma ci sono ancora molte sacche di inconsapevolezza del proprio potenziale e i bambini di strada rimangono tantissimi, bambini che vengono lasciati a se stessi adducendo a pretesto il loro essere stregoni quindi soggetti pericolosi per la comunità.
Le comunità rurali hanno perso la memoria delle loro tradizioni e, di conseguenza, impoverite della loro cultura, si spostano verso le città ritenute più sicure, potenzialmente in grado di permettere loro lo sopravvivenza. E in questo modo si perdono altre conoscenze.
La necessità allora è di operare una trasformazione al basso, formando persone in grado di tornare nella loro terra di origine e renderla produttiva.
Resta il problema dell’occupazione e della scarsa sicurezza in determinati distretti (es. Congo Orientale).
(Dolores Nembunzu – medico)
Dopo un breve inquadramento storico geografico spiega che il suo ruolo di medico si è costruito nel tempo e, ascoltando un bisogno misconosciuto della popolazione femminile.
Infatti a seguito di parti difficili o complicati succede che alcune donne residuino problematiche di vario genere tra cui un’incontinenza mista per la presenza di fistole o di perdita del tono muscolare. Questo le rende delle emarginate, soprattutto all’interno delle comunità rurali, dove non hanno accesso a servizi sanitari in loco (distanza dai centri sanitari, costi per il viaggio, costi per le cure, gestione della famiglia,…) e vengono considerate reiette per la loro imbarazzante situazione socio-sanitaria.
Poter raggiungere queste donne, farle venire nella capitale per curarle gratuitamente, informarle sui loro diritti, formarle su temi di prevenzione e cura e poi chiedere loro di essere i tramiti per le altre donne delle loro comunità di origine, esprime in pieno tutta la potenzialità della popolazione femminile di questa terra.
In effetti sono le donne che mandano avanti le famiglie, sono le donne ad essere fortemente recettive nei confronti del cambiamento non solo per se stesse, ma anche, in prospettiva, per migliorare la vita futura dei loro figli.
(Maria Chiara Tropea – operatrice Donne in nero contro la guerra)
A proposito di potenzialità e coraggio si inserisce anche la protesta non violenta e caparbia delle “Donne in nero contro la guerra”, un’associazione ormai internazionale nata da un gruppo di donne israeliane che hanno detto “no” all’occupazione israeliana dei territori palestinesi.
Dopo un breve inquadramento storico e geografico della frammentazione di Israele e dei conflitti che si sono generati e che perdurano tuttora all’interno del Paese la presenza di donne forti e risolute nell’opporsi alla politica espansionistica e coloniale del loro governo rimanda alla stessa forza potenziale delle donne del Congo.
Sono essenzialmente donne, madri e mogli, che chiedono al proprio governo e a tutti governi del mondo pari dignità per tutte le persone, il diritto di non essere uccisi solo perché si sta chiedendo di poter tornare nella propria casa, il dovere di non invadere e occupare la terra di altri rendendoli profughi in casa propria.
(Anselme Bakudila)
Cosa fare allora?
Non è più il tempo di piangere sul bambino coperto di mosche o di incriminare il ricco occidentale sfruttatore, ma è tempo di collaborare affinché la protesta delle popolazioni desiderose di un cambiamento riceva una risposta dalle altre persone, anche quelle che vivono al di fuori del territorio interessato.
Questo significa non ignorare i movimenti di protesta, ma all’occorrenza farne parte, significa formarsi una coscienza solidale, ma critica, ragionare tenendo conto di quanta parte attiva abbiano le multinazionali e le lobbies nell’impoverimento dei Paesi.
Una riflessione su tutte: il coltan, minerale utilizzato per la realizzazione di telefonini e altri prodotti tecnologici moderni vede Uganda e Ruanda importanti esportatori, ma curiosamente questi Paese non ne possiedono, e lo prendono in Congo.
E il Congo non ne ha alcun beneficio.