9 MAGGIO, SABATO …

VEDERE IL PADRE

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

Un pensiero:

Il Vangelo di Giovanni non è mai particolarmente “emozionante” a una prima lettura, anzi, a volte sembra farraginoso, intricato e incomprensibile, coi suoi lunghi discorsi e le sue frasi enigmatiche e contorte.  

Cosa significa questa richiesta di Filippo? 

Cosa vuol dire “vedere il Padre”? 

Non so, per capirci qualcosa mi rifaccio a un’espressione, piuttosto gergale, in uso tra noi. Quando una persona sta molto bene è solita dire: “sto da Dio!”. Ma non nel senso che si trova presso il Padre, ma nel senso che ritiene di stare come dovrebbe stare Dio: “tutto ok, senza problemi, le cose vanno benissimo, un successo dopo l’altro, ogni cosa che faccio va benissimo! Altrimenti … che Dio sarebbe?”. 

Allora dire: “mostraci il Padre” significherebbe: mostraci la definitiva soluzione della stanchezza della vita, la liberazione dai fastidi e dalle tristezze, dalle oppressioni politiche (i nemici di Israele) e dal fastidio del cammino quotidiano … 

Ora, se un sedicente cristiano dicesse una frase del genere con quello stesso spirito, a mio parere non si potrebbe più definire così, perché  il discepolo capisce chi è Dio guardando Gesù (“Chi vede me vede il Padre”!), comprendendo che la vita del Signore è assai più complessa, tutt’altro che priva di problemi: le sue opere e le sue parole non riscontrano sempre (anzi, raramente, quasi mai) il gradimento del “pubblico”, soprattutto degli uomini pieni di se stessi; il suo desiderio di portare luce nel buio, categoricamente rifiutato; gli ultimi giorni della sua vita un fallimento completo sulla Croce. Insomma … che razza di Dio???

Eppure Gesù ci dice solo questa cosa: che il Padre, Dio,  uno lo può vedere PROPRIO AL CENTRO DI UNA VITA COSÍ: contraddittoria, faticosa, ambigua, gioiosa e straziante.  Ma può “vedere il Padre” SOLO chi , nel mezzo delle cose che capitano,  RIMANE in Lui: ” il Padre rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse”.

E allora, forse, più che dire “stare da Dio”, dovremmo imparare a “stare con Dio”, il quale non cambia l’inesorabile e imprevedibile scenario dei nostri giorni, ma, all’interno di questa stranezza, cambia il nostro cuore per vivere,  dando prospettive di speranza e vita che impediscono alla morte di avere l’ultima parola su di noi. Se Dio, ci dice Gesù, ha la Prima Parola per noi, allora, e solo così, diventerà la parola Ultima e Definitiva in grado di rialzarci, cambiarci, farci riprendere i cammini, con la certezza che nulla, ma proprio nulla è perduto. 

Forse, se ci pensiamo bene, noi non abbiamo abbandonato il Dio del vangelo, di cui parla Gesù, ma quello delle nostre fantasie. 

Quello di Gesù si è rivelato nel modo di vivere del Figlio, che, guarda caso, è proprio molto simile al nostro. Ma lì, proprio lì, SOLAMENTE così, ha qualcosa da dirci. 

Per riflettere: 

Quando penso Dio, sono sicuro di pensare a Gesù?

8 MAGGIO, VENERDÌ …

 

OGGI 

Dal Vangelo secondo Giovanni 

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».

Dal Salmo 2

“Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato” 

Un pensiero … 

In una frase, di poche parole, il Salmo 2, a mio parere condensa tutto il significato di una vita umana: la scoperta di quel legame che nel/dal tuo oggi ti permette di vivere. 

Anzitutto, dire che “qualcuno ci genera”, per Gesù significa comunicarci che il nome di Dio è PADRE, ossia uno che ha la possibilità di  metterti al mondo (che non significa solo un gesto biologico!), di comunicarti  novità e  nuove energie. Un Padre che nel suo Figlio Gesù, per chi lo vuole, ha sempre da suggerire orizzonti e direzioni. 

É bello cominciare la giornata, o concluderla per “innaffiare” quella successiva, con quella Parola di vita che ti permette di ricominciare e trasformarti continuamente, accompagnato dal suono promettente di una memoria, che continuamente ti dà vita e inizio. L’ha detto Giovanni: IN PRINCIPIO ERA IL VERBO. All’inizio di tutto c’è sempre una parola, una suggestione, una comunicazione. Sarebbe bello chiederci quali sono le nostre, quali sono le parole “generative” che ci danno la vita, e quanto tempo riserviamo loro per leggerle e farle scendere sempre più in profondità. 

Inoltre la parola non è un frutto, ma un seme da mettere nella terra della vita: non è una “cosa a disposizione”, ma una VIA – come dice Gesù a Tommaso –  ossia un percorso da fare, a partire dalla Verità che Lui è per noi. 

Ogni OGGI diventa allora una possibilità unica e irripetibile. 

Ogni OGGI sarebbe bello ripetere quelle parole che le persone della mia età, in giovinezza o adolescenza, appendevano sul muro della loro camera: “TODAY IS THE FIRST DAY OF THE REST OF MY LIFE” . Sì, oggi è una possibilità unica per ricomiciare, oggi è il primo giorno del resto della mia vita. 

Attenti a due malattie terribili, che sono il RINVIO e la DIMENTICANZA. Per noi e per la cura della nostra “spiritualità” – che io amo definire il “respiro della nostra concretezza” – sembra che ci sia sempre tempo, e poi, piano piano il rinvio si trasforma in oblio, ma con tutta l’amarezza di sentire che qualcosa dentro di noi non funziona: si sente un vuoto, un’oscurità, la percezione che manchi qualcosa di importante. E allora ci si giustifica, anche perché per riscoprire il positivo della vita occorre guardare negli occhi il negativo che c’è in noi (allora è meglio rinviare!); e anche perché per pulire la casa occorre rimuovere tutta la sporcizia che abbiamo nascosto sotto il letto, tanto non si vede (meglio dimenticare!!) … ma continua a farsi sentire. 

L’unico modo per fare pulizia è tirare fuori la sporcizia. 

PERCHÉ NON RIUSCIAMO A FIORIRE? PERCHÉ I NOSTRI “OGGI” SONO SEMPRE UGUALI AI NOSTRI “IERI”? PERCHÉ CI DIFENDIAMO DALLA VITA CHE URLA DENTRO DI NOI? 

OGGI potrebbe essere un momento speciale per farci “liberare dal male” da Gesù, facendo un bellissimo lavoro di bonifica che Gesù è venuto a inaugurare per coloro che gli rispondono: “sì, lo voglio!”. 

Cosa c’è da perderci? Proprio nulla. 

Anzi! 

7 MAGGIO, GIOVEDÌ …

LAVARE

Dal Vangelo secondo Giovanni

[
Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro:
«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.
Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto;
ma deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono.
In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

Oggi il Vangelo ci fa fare un “passo indietro”

Torniamo agli ultimi gesti e alle ultime parole che Gesù pronuncia e fa, lasciandoli come “eredità” per la “memoria” dei suoi discepoli.

Leggendolo mi colpiscono tre cose: 

1. DEVE COMPIERSI LA SCRITTURA

Deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. 

Gesù  dice queste parole ai suoi discepoli parlando del tradimento di Giuda.  

Strano modo di compiersi della gloria del Figlio di Dio.  Eppure, Gesù pensa che il suo modo  più esatto di “essere Dio” ai piedi di Giuda,  sia proprio quello di continuare ad offrirgli la possibilità di lavare i suoi piedi e  dargli da mangiare, ossia di lavarlo e di nutrirlo, proprio come fa un genitore con il proprio figlio.

La fedeltà più forte del tradimento è segno unico di quella (divina) umanità capace di  riaccendere la possibilità di vivere, anche lì dove la morte sembra avere l’ultima parola. 

Amare, allora, servire la vita, i fratelli,  a partire da Gesù, non sono più  i gesti delle “persone buone”,  ma le potenti decisioni di donne e uomini coraggiosi che sanno che, a volte, si può continuare solo così,  nonostante tutte quelle forze avverse che la vorrebbero asservire, svilire e spegnere. 

Sapendo una cosa: l’amore non può essere né imposto né autoimposto, deve nascere da una comprensione, una consapevolezza e una scelta con radici ben più profonde, e il Vangelo ci racconta COME e QUANTO Dio ci ami, attraverso Gesù.

2. AI PIEDI (dei discepoli)

Gesù si mette ai piedi dei discepoli per dirlo. Lava i loro cammini, non ha paura di “scendere” per incontrarsi con l’odore, a volte sgradevole, della terra e di ciò che si può calpestare lungo la strada: di tutto! In quel gesto Giovanni identifica il gesto eucaristico del dono del suo corpo per noi. E ricorda ai suoi discepoli che un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. 

Beatitudine sarà “mettere in pratica”. 

Il Vangelo parte di lì. 

Solo quello il mandato della memoria del discepolo. 

3. AL POSTO (di Gesù) 

Oppure può capitare che a volte ci si metta “al posto di Gesù”  e/o di Dio. 

Allora capitano i pasticci: quella che voleva essere una Buona Notizia di speranza, amore e liberazione si trasforma in  pessima comunicazione di disperazione, paura, chiusura e oppressione. 

La storia insegna, non abbiamo bisogno di fare troppe esemplificazioni. 

Nel grande e nel piccolo le cose non cambiano. 

Oggi il Vangelo ci invita a prendere una POSIZIONE, a chiederci: ma noi, che ci diciamo cristiani, dove siamo: AI PIEDI, o AL POSTO di Gesù?. 

O da nessuna parte? Ma anche quella è una decisione! 

6 APRILE, MERCOLEDÌ …

LUCE SIA! 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù esclamò:
«Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato.
Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché
non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, 
che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

Un pensiero: 

Leggendo il Vangelo di oggi,  mi è tornata alla mente questa foto che, qualche mattina fa, mentre sorgeva il sole, ho scattato dalla finestra di casa mia. 

Più che spiegare e meditare, oggi vorrei invitarvi a contemplare, ossia a notare con stupore due elementi dell’immagine: il gesto benedicente di Gesù è all’altezza della luce del sole e  della Parola che sorregge con l’altra mano.  

Adesso lo sappiamo, alcuni di noi lo hanno addirittura accettato: Gesù  possiamo sceglierLo come Maestro e Luce per la nostra vita.

La Parola altro non è che il segno della BENE-DIZIONE che Gesù ci offre  come possibilità di luce perenne e costante nel buio della nostra vita:

Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre”. 

Proviamo a fare risuonare nel nostro cuore questa parola, magari quando oggi ci fermeremo due minuti per riavere un po’ di pace nel cuore. Facciamo scendere nel nostro profondo questa convinzione: Gesù desidera solo venire da me per “fare luce” per “essere” la mia luce. 

E poi, l’altra bellissima frase:

non sono venuto per condannare il mondo ma per salvare il mondo

É tempo che ricominciamo a domandarci quanto spazio  ci sia dentro di noi per accoglierne la luminosità, per chiederci se la nostra vita sia una risposta alle tenebre o alla luce, alla morte o alla vita. Proviamo a scendere un po’ nel profondo di noi stessi, ad abbandonarci alla luce di Gesù, a farci abbracciare da questa parola: non sono venuto a condannarti, ma a salvarti, a darti vita, luce e accoglienza!. 

5 MAGGIO, MARTEDÌ …

CHIARE, FRESCHE, DOLCI ACQUE … 

Dal Vangelo secondo Giovanni

Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore
ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Dal Salmo 86

E danzando canteranno:
«Sono in te tutte
le mie sorgenti».

Un pensiero: 

Per conoscere le cose bisogna andare in profondità, la natura ci insegna tutto! 

Me lo diceva stamattina un signore che ascoltava il mio racconto sugli innocenti fili di tenera erbetta, che si insidiano tra i cubetti di porfido del cortile della Parrocchia. Esili e impercettibili all’esterno, ma con radici nascoste, grandi e forti, capaci addirittura di smuovere il cemento. 

Verissimo: la natura ci insegna tutto! Quante cose, esteriormente, “sembrano nulla”, ma “in realtà …” 

Questa cosa la sapeva  benissimo tutta la sapienza biblica, di cui è impregnato anche  il linguaggio di Gesù: uva, pastori, pecore, grano, lievito, le cose di tutti i giorni costellano la lingua del Vangelo e ci parlano del Regno di Dio, in modo chiarissimo e inequivocabile. 

E allora, vediamo come, oggi, ci può venire incontro l’uso di queste parole per vivere la nostra giornata, o concluderla, per chi, magari, leggerà di sera. 

ERA INVERNO 

Sembra un’annotazione buttata lì per caso. Eppure se Giovanni l’ha messa ci sarà un significato. 

Inverno: tempo di attesa, di riposo della terra, di morte apparente, di sogni di frutti,  di sole e di calore. 

É significativo pensare Gesù come la possibilità del riscatto dell’inverno. Il Risorto che, nel Tempio, è la vita oltre la morte, oltre ogni morte che decide di non arrendersi a se stessa, ma si apre, con coraggio e decisione, con esiti a volte assai alterni, al Vivente. 

C’è il Tempio e c’è il Signore. Non sono la stessa cosa. Non è detto che la frequenza del Tempio corrisponda alla ricerca del Signore. Come per  i Giudei, ferventi religiosi, che non vogliono credere in Lui. Anche se gli parlano. Anche se gli fanno delle domande. Non appartengono al gregge di coloro che scelgono Gesù come pastore della loro vita. 

ASCOLTARE, CONOSCERE, SEGUIRE

Quelli che, invece, fanno parte del gregge del Pastore buono sono coloro che ascoltandolo, lo conoscono e lo seguono. Tre verbi diversi che però dicono e definiscono il senso della fiducia e dell’affidamento. Il senso della fede. 

Fede è sempre ascoltare una voce o un’ispirazione, approfondirla e conoscerla sempre di più, e seguirla, ossia renderla possibilità di viaggio e di cammino. Diciamo FEDE, ma potremmo dire anche molto semplicemente VITA.  Perché la fede É questione di vita! Se la mattina, quando ti devi alzare dal letto, non hai una voce che guida i tuoi pensieri, che ti rende responsabile (ossia, capace di risposta), che dà senso a quello che fai e ti fa organizzare il tempo e il senso e il cammino, allora, veramente, quando manca,  senti dentro di te che la migliore cosa da fare è girarsi sull’altro fianco per continuare a dormire. 

La cura della ricerca di ciò che in modo sempre più sensato, profondo e radicale fonda la mia vita è il lavoro di cui maggiormente avremmo bisogno ogni giorno, e, sovente, il più disatteso. 

É acqua, ma non abbiamo tempo per bere. É cibo, ma non abbiamo neanche tempo per mangiare. E non lo dico ironicamente. Però, se non ripartiamo di lì, ho paura che quella seducente voce della resa sull’altro fianco, possa prendere sempre più spazio, magari sotto le spoglie di un attivismo euforico,  immemore della sua vera fame. 

SONO IN TE TUTTE LE MIE SORGENTI

Concludiamo così, tornando all’acqua, all’essenziale. 

Perché tutto parte di lì, dalla nostra sorgente. 

Bene scrive Erri De Luca nel suo libro E disse: “Chi vede un fiume guarda il verso in cui scorre, dove scende secondo la corrente. Ma il futuro di un fiume è alla sorgente”. Ossia, viviamo e “scorriamo” in base a quello che noi scegliamo di mettere “all’inizio”.

E le differenze … sono grandi!

Per riflettere: 

Qual è la mia sorgente? 

4 MAGGIO, LUNEDÍ …

ESCO! 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse:
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

UN PENSIERO … 

Oggi inizia la FASE 2.

Si sente: la strada è più rumorosa, i marciapiedi molto più affollati, unica differenza rispetto a “prima”, una mascherina sulla bocca. 

Si esce! Non vedevamo l’ora. 

Ma si esce … da dove? 

Da casa! 

Solo da casa? 

Beh, sì, è già tanto. Però, sinceramente, voi non avreste anche voglia di uscire, non solo da casa, ma come ci suggerisce il quadro, da qualcos’altro che ci ingabbia, che ci tiene ostaggi, che, aldilà della pandemia ci fa sentire un disagio e un malessere di base che non ci fa sentire all’altezza del nostro cuore, dei nostri desideri e del nostro essere quello che siamo? 

Forse  io sono un po’ paranoico, ma ogni giorno sento questa necessità:  incontrare qualcuno che mi permetta di farlo, che mi consenta di non vivere solo, racchiuso dalle  quattro cornici del quadro, ma mi faccia vivere, mi apra, mi lanci nel mondo, diverso. 

Stamattina, mentre celebravo la Messa leggevo queste parole nel prefazio: “ In Lui (Gesù), vincitore del peccato e della morte, l’universo risorge e si rinnova, e l’uomo ritorna alle sorgenti della vita 

Ecco chi è per me Gesù: Colui che mi permette di tornare quotidianamente “alle sorgenti della vita”. Oltre la morte, oltre il peccato, che non è semplicemente cattiveria, ma opera che esprime la nostra terrificante paura di fidarci di Dio e della sua Promessa. Solo il peso di questa paura ci fa agire con gesti che tendono a “conservare” qualcosa che, per sua natura, esiste solo se si decide di donare: la vita. 

Vita che si chiama così perchè si muove. 

Vita che si chiama così perchè esce. 

Vita che si chiama così perchè non annega in se stessa. 

Vita che si chiama così, perchè sola forza che vince la morte. 

E oggi Gesù, Buon Pastore, nel Vangelo ci svela il SUO segreto, che può diventare anche il nostro, affinché la vita non sia mai sequestrata, distrutta e derubata da nessun brigante (come diceva il Vangelo di ieri): 

“NESSUNO ME LA TOGLIE PERCHÉ IO LA DONO DA ME STESSO”

Ecco perché Gesù è il Risorto! Gesù non può essere ucciso, perchè la sua vita è stata data fino alla fine, senza riserve e ripensamenti. Manco la morte può farcela. 

Nel momento in cui anche noi decidiamo di donare una cosa, nessuno ci deruberà. 

Questa è l’unica forma per riprendere i cammini e USCIRE!

Non solo da casa, ma da noi stessi! 

E magari … dietro al Buon Pastore! 

Buona ripresa a tutti! 

Per riflettere:

Io, da dove e da cosa voglio uscire?

3 MAGGIO, DOMENICA …

VOCI

In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

(Per favore guardate il breve video per capire cosa sto scrivendo)

https://youtu.be/xAdpo2rKur0

Eh, sì, Gesù aveva proprio ragione: le pecore seguono il Pastore perché ne conoscono la voce! Ce l’ha mostrato bene il pastore del video: puoi urlare quanto vuoi, fare le capriole e perdere la berta, ma loro … non  ascolteranno gli estranei. 

Non ascoltare gli estranei non vuol dire che non saranno “sedotte” o “fregate”, ma che il loro cuore non sarà mai lì dove si trovano “ingannate” con il loro corpo. 

La vera posizione della nostra vita non è solo quella fisica del nostro corpo, ma anzitutto quella del nostro cuore: noi siamo là dove è il nostro cuore, non dove ci vedono e ci facciamo vedere; noi siamo là dove sentiamo la verità che scorre dentro di noi e che per mille motivi abbiamo abbandonata, anche se questo ci ha sequestrato la vita, ci ha uccisi interiormente e ci ha letteralmente distrutti. Noi andiamo sempre, un po’ ingenuamente e scriteriatamente,  dove ci porta il cuore, ma non ci chiediamo mai se il nostro cuore batta e dia vita lì, proprio nel posto in cui ci troviamo. 

Ora, il primo passo per riconoscere la bontà della voce del Pastore è questo: riconoscere (o riscoprire) la verità del nostro cuore di pecora. 

Ridirci, con estrema verità, se ci sentiamo “divisi e alienati” e se veramente allontanarci dal Pastore Buono sia  per noi la soluzione che ci faccia finalmente trovare pace, unità e voglia di vivere. 

E perché le pecore ri-conoscono questa voce?

Perché  hanno fatto esperienza del fatto che in quell’ascolto altro non c’era che VITA E VITA IN ABBONDANZA. Perché hanno capito che chiamare ogni pecora per nome, significa che proprio “stando dietro a Lui”, hanno trovato la posizione che le ha rese pastori anche della loro vita. 

Stiamo con il Signore per diventare signori, sovrani; amiamo Dio per ricominciare ad amare noi stessi e il prossimo nostro in modo diverso; accogliamo delle indicazioni di strada, di senso e di passione perché abbiamo capito che Lui, proprio Lui, è la nostra VIA, VERITÁ e la nostra VITA. 

Cristo esiste perchè IO ri-esisto in Lui. 

Se non passo da questa esperienza, con grande serietà e attenzione, Gesù sarà destinato a rimanere  quella statuina impolverata nell’angolo nascosto della mia casa, o il feticcio delle mie proiezioni mentali infantili e immature che non mi riscattano mai dal torpore acquietante e compromissorio con le voci che non mi portano da nessuna parte: “Tanto ci pensa Dio!”.  E Lui, puntualmente, non ci pensa. E allora lo abbandono. E abbandonando Lui … abbandono me stesso. E il ciclo si perpetua infinitamente, perché continuo a non capire che senza incarnazione non c’è Dio; senza di me  (IO) non c’è nessun Cristo; senza pecore non esiste pastore. O meglio, c’è, ma  chissene …. ? Che ci sta a fare un pastore in una fabbrica di macchine? 

Il Pastore fa esattamente il contrario dei ladri e dei briganti, i quali vengono per RUBARE, UCCIDERE e DISTRUGGERE. 

E io …  chi sto ascoltando? 

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Ringrazio e riporto le riflessioni prodotte e sintetizzate dai ragazzi delle medie e dalle loro catechiste: 

“Io sono venuto perché abbiamo la vita e ne abbia in abbondanza”

Pk il pastore donerebbe la sua stessa vita per le sue pecore , come Cristo ha fatto con noi , mentre il ladro si può paragonare al diavolo , ci vuol trarre in inganno e far smarrire la retta via” .

“Chi non entra dal recinto delle pecore dalla porta ma vi sale da un’altra parte è un ladro e un brigante. Speriamo di avere sempre la forza di bussare a quella porta senza cercarne altre che sembrano più facili. La porta che è Gesù che non delude, perchè non è ladro né brigante.”

“Mi colpisce sempre la famigliarità  con la quale il pastore si rivolge alle pecore… le chiama ad una ad una, conosce il loro nome, ha costruito con loro un rapporto chiaro e trasparente, non interessato ed ha sicuramente  dedicato a loro molto tempo.

Mi piace sapere che questo è  il rapporto che il Signore vuole instaurare con noi se sappiamo riconoscere la sua voce  perché  il bello di questo rapporto è  anche che noi siamo liberi di scegliere.”

“Questo passo del vangelo mi dà una grande serenità, perché mi dà la certezza che c’è sempre qualcuno che si occupa di me. Il Signore mi conosce…. Conosce ognuno di noi”.

“Io sono venuto perché abbiano vita e l’abbiano in abbondanza”. Se seguiamo il pastore non dobbiamo temere l’abbondanza della vita nella sua pienezza. 

Proprio così, perché a volte la cosa che ci fa più paura è … vivere in pienezza! 

BUONA DOMENICA! 

2 MAGGIO, SABATO …

AUSTE!*

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, la Chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.
E avvenne che Pietro, mentre andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che abitavano a Lidda. Qui trovò un uomo di nome Enèa, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. Pietro gli disse: «Enèa, Gesù Cristo ti guarisce; àlzati e rifatti il letto». E subito si alzò. Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saròn e si convertirono al Signore.
A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità – nome che significa
Gazzella – la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni ella si ammalò e morì. La lavarono e la posero in una stanza al piano superiore. E, poiché Lidda era vicina a Giaffa, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, gli mandarono due uomini a invitarlo: «Non indugiare, vieni da noi!». Pietro allora si alzò e andò con loro.
Appena arrivato, lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto, che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi, rivolto alla salma, disse: «Tabità,
àlzati!». Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva.
La cosa fu risaputa in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore.

Un pensiero:

I latini dicevano: “nomen omen est”, ossia, “il nome è una promessa, un impegno”. Noi diciamo un po’ più volgarmente: “tutto un programma!”. 

Oggi vorrei che pensassimo questo adagio in riferimento alle persone, incontrate da Pietro, di cui parla il libro degli Atti degli Apostoli. 

Enea.

Beh, anche a chi non l’ha mai studiato, non può non venire in mente l’Eneide (che narra, appunto, le gesta del guerriero Enea) e l’Iliade di Omero. 

Enea è uomo dell’azione, della guerra, dei viaggi, del fato, dell’affidamento agli dei. Insomma, dici Enea e pensi al peperoncino, a una vita scoppiettante e mai ferma, piena di avventure. Una vita …piena di vita! 

Non così per il “povero” Enea della nostra lettura, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. Si direbbe più un anti-Enea che un vero Enea, si direbbe il contrario delle movimentatissime gesta, che riceve in eredità quasi indiretta, colui che porta questo nome. 

E poi Gazzella, Tabità. 

Chi di noi non si intenerisce di fronte a questo meraviglioso mammifero, corridore della Savana, che può raggiungere i 50 km orari? Corridore per vocazione. Corridore per necessità, se pensiamo alla storiella del leone che la rincorre … Corridore, dunque, per vivere! 

Negli Atti degli Apostoli, Gazzella, che era una donna,  in quei giorni si ammalò e morì. 

Insomma, sembra di trovarci davanti a una situazione che ti fa pensare: “ma noi non siamo fatti per questo!”. 

Vero! Infatti siamo fatti per camminare, correre e vivere! 

É interessante il comando che Pietro dà a entrambi i miracolati dall’incontro, attraverso di lui, con Gesù: “ALZATI!” 

Già: prima di camminare, di riprendere le proprie attività, di rifare il letto, occorre fare anzitutto questa cosa: ALZARSI. 

Alzarsi per rimettersi a respirare in modo nuovo, alzarsi per pensare che non possiamo rimanere “coricati” nei nostri pensieri che bloccano il flusso della vita, alzarsi e rimettersi a pensare, da una nuova posizione, il senso delle cose. 

É anzitutto un annuncio di LIBERAZIONE, un moto di GIOIA, di ESULTANZA, per mutare il nostro stato di vita pieno di odio, pregiudizi, morte  e risentimenti che ci fa coricare in noi stessi. 

Dal GIORNO DI PASQUA, l’uomo CAMBIA POSIZIONE, deve cambiare il proprio modo di pensare:  passare da un cuore imprigionato a un cuore libero. Come Pietro dopo la Resurrezione, che sembra avere ammorbidito la sua vita e il proprio nome, duro come la roccia,  davanti al Risorto che ha convertito le sue paure, per suggerire a noi  di immergerci nel nome di Gesù: per ricevere il suo Spirito di vita. 

Questi giorni l’Enea e la Gazzella frustrati che ci sono in noi lo sentono in modo netto: si manifesta ciò che prima era occultato:  il non senso di tanti nostri modi di vivere. 

Il mondo in cui viviamo (e anche il nostro modo) però, non vuole che meditiamo e pensiamo queste cose: ci chiede invece di terrorizzarci davanti alla TV. Non ci chiedono di mutare la mente (per tutta la Quaresima non dicevamo “convertitevi”, ossia, cambia modo di pensare?) , perché se mutiamo la nostra mente e gli togliamo il FONDAMENTO scopriamo che molte della sue concezioni sono semplicemente folli, e, anziché farci correre e vivere, non fanno altro che “farci sognare” il momento di “tornare a letto”.

Altro che “alzati”!  

(*”alzati” in piemontese)

1 MAGGIO, VENERDÍ …

MERAVIGLIOSO!

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e
in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi

Un pensiero … 

Il Vangelo di oggi è ME-RA-VI-GLIO-SO! 

Sicuri di loro stessi, i compaesani di Gesù sciorinano tutte le loro certezze, sotto forma di domanda, per impedire alla Parola che è Gesù, di diventare la RISPOSTA che loro e ogni uomo dovrebbero accogliere per dare senso, cammino, profumo, direzione e profondità a una vita, finalmente riconsegnata a un destino e a un contenuto promettente. 

C’è da pensarci, il Vangelo ci dice che per accogliere Gesù e sentirlo vivo bisogna fare tre cose: 

  1. Si accoglie il Figlio quando ci si converte a Dio convertendosi agli uomini. Loro sono la “casa”, il “tempio”, la “locanda”, la residenza della Sua presenza. E allora nessuno stupore se Gesù che ha tutta quella sapienza e fa tutti quei prodigi sia figlio del falegname, di Maria e che abbia come fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e sorelle che abitano nello stesso paese! Proprio questa è la bellezza del Vangelo: RIPARTE DA NOI. Solo un attento sguardo intorno dice la verità e il senso dei nostri occhi sovente rivolti all’alto in un astratto cielo senza nulla. A volta addirittura senza Dio e solo pieno di noi stessi e delle nostre proiezioni mentali. 
  2. La patria e la casa di Dio, anziché diventare luogo di accoglienza, sono i posti dove il profeta viene disprezzato. La casa naturale della residenza di Gesù dovrebbe essere anzitutto il cuore e la vita dei suoi discepoli, di noi, che ci definiamo cristiani. Gesù risiede profondamente nei miei pensieri e nelle mie logiche, riesce a trasformare le mie mani e le mie parole, mi rende “come Lui”? Nella mia specifica unicità, ma proprio “come Lui”.  E chi vede me, capisce che l’ospite più importante del cuore sia Lui? Gesù diceva: “chi vede me vede il Padre”. E chi vede me, chi vede? 
  3. “Non fece molti prodigi a causa della loro incredulità” … Specifico per quanto riguarda Gesù, generico per quanto riguarda la vita: sovente le cose non capitano per questo solo motivo: NON CI CREDIAMO! E credere significa non arrendersi, lavorare, scavare, sperare, continuare … solo così, quello che non c’è ancora avrà possibilità di esserci. Tutto si trasforma, come il legno lavorato da Giuseppe. Come le convinzioni in futuri che ci vedono coinvolti. Come Gesù, quando ritrova generoso e attento spazio di ospitalità, soprattutto nella MIA casa. 

Auguri a tutti quanti i Giuseppe, maschi e femmine. 

Un ricordo speciale per i “lavoratori” …  

GLI ALBERI (1 maggio)

GLI ALBERI

Visto che oggi è giorno di festa, magari avete più tempo. Vi propongo una bellissima pagina di un libro di Erri de Luca, pertinente con la festa di Giuseppe, che accoglie Gesù nella sua casa diventandone padre: 

L’albero è la  forza verticale di natura, spinta dal suolo a sollevarsi in alto. Somiglia alla postura della specie umana. 

Per capire i falegnami bisogna risalire ai boschi. Chi si è inoltrato in un’assemblea di alberi, è stato accolto alla loro ombra, si è steso sulle sue radici ha potuto ascoltare il coro. Noi moderni siamo abituati all’indifferenza per la materia prima e al culto per il prodotto finito. Siamo abituati a pagare poco la fonte e cara la foce. La scrittura sacra racconta il valore degli alberi, del legno e del lavoro umano. 

Il tronco trasformato in assi ha bisogno di starsene disteso per stagioni intere a dimenticare la linfa
e indurire la fibra. Gesù impara da Iosèf, participio presente del verbo iasàf, aggiungere, accrescere. Ioséf è colui che aggiunge. Questo dovrebbe essere il titolo di ciascuno che viene al mondo, e già con la sua presenza accresce l’umanità di immensità nuova, ricchezza di una vita in più a rincalzo di forze contro lo spreco della morte. Ci vogliono molti Ioséf in una generazione. 

Lui è falegname, un maestro di alberi e di tagli, un fornitore di arnesi per la comunità. Gesù nasce in una stalla, ma cresce in una bottega di artigiano. Fatto è che Gesù ha svolto da fondo a cima il lungo apprendistato da garzone a mastro durante gli anni eterni d’infanzia e adolescenza. Il suo corpo è cresciuto sotto la disciplina del lavoro manuale. E se è vero che in fatto di scrittura sacra era «nato imparato» come si dice al sud, che sapeva discutere alla pari con dottori e studiosi, questa dote non gli era stata data pure in falegnameria. Nella bottega di Ioséf, non gli fu risparmiato nessun grado dell’addestramento, compreso le martellate sulle dita. 

Toccava a lui, Gesù, finire come un legno disteso e immorsato, messo in opera da una volontà di offerta e sacrificio. La sua vita era materia prima. La docilità del legno era la sua. Gli alberi non possono scappare, quando arrivano i tagliatori, restano ad accoglierli e a farsi abbattere. Anche lui come loro non era scappato”. 

(Erri De Luca, Penultime notizie circa Ieshu/Gesù)